CheckSig punta alla licenza MiCAR nel 2026. Cresce nel B2C, in attesa di partner bancari

CheckSig punta alla licenza MiCAR nel 2026
Da sinistra: Paolo Mazzocchi, COO; Michele Mandelli, Managing Partner e Ferdinando Ametrano, CEO di CheckSig

Dovrebbe arrivare nel primo trimestre del 2026 l’autorizzazione MiCAR per CheckSig. Il dialogo con Consob, avviato con il prefiling già a novembre 2024, viene definito “positivo e in fase avanzata” dalla fintech.

E dovrebbe portare all’autorizzazione dei 4 servizi MiCAR offerti dal 2019: custodia e amministrazione di cryptoattività, scambio cripto-fiat e cripto-cripto, servizi di esecuzione ordini.

Zero licenze in Italia

Sarebbe una piccola svolta, per il contesto italiano, visto che delle 102 licenze emesse finora ai sensi del Regolamento MiCA nessuna, zero di zero, è arrivata da Consob e Banca d’Italia. I tedeschi, per capirci, sono a quota 27, gli olandesi a 20, i francesi a 10 (e questi tre Paesi, quindi, pesano per oltre la metà del totale).

«L’Italia sembra orientata a una sorta di selezione naturale, frutto di un processo di autorizzazione molto rigoroso – osserva Ferdinando Ametrano, Amministratore Delegato e co-founder di CheckSig – da cui emergeranno probabilmente pochi operatori, in grado di rispettare standard elevati».

Chi resterà e chi emigrerà

I 150 operatori iscritti al “vecchio” registro OAM hanno tempo appena fino al 31 dicembre 2025 per presentare domanda ufficiale di autorizzazione e potere, così, continuare a operare temporaneamente, in regime di grandfathering, fino al 30 giugno 2026. A oggi 1 solo operatore ha una istanza presentata e ancora in corso, mentre 45 hanno interlocuzioni informali con le Autorità e 7 hanno presentato un pre-filing informale.

«Per gli operatori minori – osserva Ametrano – si apre la strada dell’arbitraggio regolamentare, sfruttando iter più semplici e minori oneri di governance in altre giurisdizioni. E anche questa fase è temporanea, in attesa della vigilanza unificata ESMA, prevista dal market integration package».

Numeri in crescita (ma manca il boost delle banche)

Nel frattempo, CheckSig ha annunciato che l’aumento di capitale è stato sottoscritto per oltre 3 milioni di euro, a fronte di una valutazione pre-money di 30 milioni, portando così la valutazione post-money ad almeno 33 milioni. Nel Q3 del 2025 ha registrato una crescita dei ricavi del 136%, per 1,3 milioni di euro, delle masse in custodia (+127%, 170 milioni di euro) e dei clienti (1.100, +109% su base annua).

Certo, questi numeri sono il frutto di una crescita legata a un modello diretto, B2C, nell’attesa che il settore bancario e finanziario tradizionale rompa gli indugi e integri Bitcoin (e altri criptoasset) nella propria offerta di investimento, sviluppando tutto in-house o appoggiandosi a partner specializzati.

«Alcuni consulenti finanziari ci mettono in contatto diretto con i loro clienti – racconta Michele Mandelli, Managing Director e co-founder di CheckSig – perché la banca per cui lavorano non offre esposizione al Bitcoin. E i consulenti non vogliono perdere i loro clienti. Molte banche italiane sono in attesa da uno o due anni. Intanto, in Europa sono partite le offerte cripto di realtà come BBVA, Santander e Commerzbank, mentre sono ormai consolidate quelle di fintech come Revolut e N26. Per non parlare del grande successo degli ETF su Bitcoin ed Ethereum: quello di Blackrock ha infranto ogni record».

Le mosse sulle Stablecoin

La definitiva istituzionalizzazione di Bitcoin nel contesto italiano è quindi rinviata al 2026. Nel frattempo, le banche nostrane guardano con interesse alle Stablecoin e seguono i lavori per l’Euro Digitale, che nell’attuale contesto si conferma una necessità geopolitica (ma lo sappiamo da anni). 

Il movimento del settore privato in ambito Stablecoin viene giudicato positivamente da CheckSig ed è un primo segnale di risposta europea alla forte spinta che gli USA stanno imprimendo a queste iniziative, con lo scopo ultimo di canalizzare risorse nei Treasury americani, proteggendo il debito pubblico nazionale e il ruolo del dollaro.

Nessuno di questi progetti appare come una minaccia diretta a Bitcoin, che si candida al ruolo di “oro digitale”, specie nel quadro più ampio di una possibile dollarizzazione globale, non potendo realmente competere come strumento di pagamento digitale.

Una “garanzia” di valore

Questa funzione di riserva di valore è al centro anche di una funzionalità offerta da CheckSig, che permette ai propri clienti di utilizzare gli asset cripto in custodia come “garanzia” di un prestito concordato (in autonomia) con un privato o un’azienda.

Questa tipologia di prestiti P2P vede CheckSig operare come “custode” dei criptoasset messi a garanzia, con meccanismi di allerta in caso di loro svalutazione e addirittura la loro liquidazione automatica in caso di eccessivo ribasso.

Certo, il Loan-to-Value è bassino (per un prestito di 300.000 euro, serve l’equivalente di 1 milione in criptoasset), ma chi presta il proprio denaro ottiene circa il 10%, pur avendo una garanzia cripto. Finora sono stati concordati prestiti P2P per circa 5 milioni di euro di valore, in gran parte tra privati e/o microimprese e con durate di breve termine, tra 1 e i 2 anni.

 

 

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