L’86% delle banche centrali, secondo un sondaggio della Banca dei regolamenti internazionali, sta valutando il lancio di una CBDC, una valuta digitale pubblica.
Solo il 14% si trova in una fase di sviluppo avanzato, ma l’enorme interesse suscitato dalle monete digitali pubbliche è indubbio.
Perché le banche centrali (e i governi) sono così interessate alle CBDC? Perché hanno degli oggettivi vantaggi, certo, ma anche perché, come abbiamo visto in un altro articolo, si trovano a rispondere all’offensiva delle criptovalute lanciate dalle Big Tech.
In uno scontro tra pubblico e privato per il controllo della moneta (spoiler: in genere, vince chi ha un esercito).
C’è però un ulteriore aspetto: le CBDC sono anche uno strumento di geopolitica nelle mani dei Paesi, esattamente come le valute tradizionali. E se nel “vecchio mondo” comanda ancora il dollaro, non è certo un caso se a guidare l’innovazione nelle valute digitali sono i mercati emergenti.
La sfida al dollaro come valuta (digitale) di riferimento
Iniziamo dal digital euro. Come sottolineato da Fabio Panetta nella lectio cooperativa sull’euro digitale tenuta presso Federcasse a dicembre 2021, il mercato europeo dei pagamenti digitali vede, oggi, una presenza fortissima di aziende americane.
I due circuiti di carte più noti gestiscono circa due terzi delle transazioni, mentre nei pagamenti online c’è un altro operatore specializzato a stelle e strisce. Che Panetta non nomina, ma è PayPal.
Il tema del predominio americano nei pagamenti digitali non è nulla di nuovo. Tutti ricordiamo le iniziative di diversi Paesi a favore degli schemi di pagamento nazionali, ad esempio in Russia.
Con le CBDC, però, il tema si complica. Perché in palio non c’è solo la sovranità monetaria interna, ma anche l’importanza della propria valuta (digitale, in questo caso) nel contesto mondiale. Oggi, il dollaro è la moneta di riferimento.
Ma se sul mercato arrivasse una valuta digitale, con tutta una serie di vantaggi in termini di efficienza, rapidità, sicurezza e affidabilità dei pagamenti internazionali, non avrebbe senso usarla per i pagamenti transfrontalieri?
Le ambizioni cinesi...
Se lo sono chiesti i cinesi, che dal 2013 lavorano a ritmo serrato sul loro e-yuan, in sperimentazione nelle sfortunate e boicottate Olimpiadi invernali di Pechino. E di cui si attende l’adozione su larga scala, forse già nel 2022. Uno strumento di pagamento nativamente digitale potrebbe fare presa sui partner dell’Asean, facendo le scarpe al dollaro fisico?
... e gli scrupoli europei
In Europa ci stiamo più umanitariamente chiedendo se seguire o no il percorso cinese. Vogliamo correre il rischio di “eurizzare” le economie dei paesi emergenti nostri partner (meglio lasciarlo fare ad altri, forse?), magari ponendo un vincolo all’uso dell’euro digitale da parte dei non residenti in UE.
La bassa volatilità e il basso rischio dell’euro digitale, infatti, lo renderebbero molto interessante per gli investitori istituzionali. E potrebbero portare alla destabilizzazione del ruolo delle banche centrali delle economie emergenti con un maggiore legame con la UE.
L’urgenza del tema emerge chiaramente dalle dichiarazioni di Corrado Passera, CEO di Illimity, all’evento Reply “Le nuove filiere della finanza digitale” del 18 novembre 2021.
«La creazione dell’Euro Digitale è tra le urgenze alle quali dobbiamo dare la massima priorità. Se avremo l’Euro Digitale tra cinque anni, come sento dire, sarà troppo tardi: dobbiamo accelerare nella creazione di uno strumento competitivo e alternativo al Dollaro Digitale o al Renminbi Digitale, che peraltro la Cina è già pronta a diffondere su larga scala nei prossimi mesi. C’è in gioco non solo una perdita di competitività, ma la nostra sovranità. Affidarsi alla valuta di altri porterebbe alla perdita dell’indipendenza della propria politica monetaria, economica e fiscale, espressione delle nostre democrazie. La posta è quindi altissima e va ben oltre i confini della finanza arrivando alla collocazione geopolitica della UE».
L’euro digitale è un elemento strategico per il futuro dell’Unione Europea. Che richiederebbe una forte cooperazione tra autorità pubbliche e governi: il problema è che se le tematiche monetarie appartengono alla BCE, la politica estera (e un sacco di altre cose che l’euro digitale chiama in ballo) sono invece di competenza dei Governi nazionali. Che spesso non eccellono per armonia e convergenza di obiettivi.
Un trattato internazionale per le CBDC?
Un ulteriore aspetto riguarda la collaborazione internazionale per creare un sistema di pagamenti cross-border, a beneficio del commercio internazionale e dell’inclusione. Se oggi un’azienda italiana può esportare in Cina è anche perché esiste un sistema bancario e finanziario internazionale che segue regole e standard condivisi, che permettono di trasferire un pagamento in renminbi verso l’Italia e convertirlo in euro.
Si dovrà definire come farlo anche con le valute digitali: di uniformare le iniziative nazionali, in un qualche momento futuro, se ne è parlato anche al G20 del 2021.
Ma è, appunto, un qualcosa che si farà in futuro, al momento opportuno. E pazienza se a oggi 80 Paesi stanno lavorando all’introduzione di una moneta digitale. Per ora, ciascuno va per sé. E non è sorprendente, vista la posta in gioco.