La trasformazione del contact center è appena iniziata. Ma serve una strategia

Contact center in banca
Marco Tommasucci, Key Account Manager Finance di ComApp

La corsa delle banche alla digitalizzazione, scattata con l’inizio della pandemia, si è bruscamente arrestata? Se il lockdown e il distanziamento sociale hanno costretto il Finance a correre ai ripari, remotizzando la relazione con il cliente e trasferendola sul contact center, gli investimenti in innovazione sembrano mancare di una visione strategica complessiva. «Ora che la pandemia sembra sotto controllo – afferma Marco Tommasucci, Key Account Manager Finance di ComApp – non c’è la capacità di guardare oltre. Tutte le banche hanno investito per tamponare l’emergenza, ma in poche hanno progettato un processo radicale di trasformazione e lo stanno portando avanti».

Poco new e poco normal

Certo, il canale di servizio digitale è stato potenziato come alternativa alla filiale ed è aumentato il parco installato. Ma il “new normal” è meno rivoluzionario di quello immaginato 18 mesi fa. «Al momento vedo poco sia di new sia di normal – commenta Tommasucci –, perché poche realtà stanno cogliendo l’opportunità di rivedere in toto la strategia di customer service che questo periodo offre. Il mantra dovrebbe essere “adotto, non adatto”, prendere quindi quanto di buono il mercato ha reso disponibile out-of-the-box per adeguarci a uno scenario drammaticamente cambiato e che impone innovazione».

Tecnologia, consulenza e mercato

A guidare questa trasformazione dovrebbero essere soprattutto tre driver principali: la tecnologia, ormai semplice e accessibile; la consulenza per ridisegnare i processi e l’erogazione del servizio; e la conoscenza del mercato. «Questo ultimo aspetto è fondamentale – aggiunge Tommasucci – perché è il momento di aprire gli occhi, guardarsi intorno e beneficiare anche delle esperienze altrui. Pensiamo alle filiali di nuova generazione di cui parliamo da anni: chi può dirci che cosa sono realmente? Non basta sostituire i colleghi di agenzia con un totem evoluto ma bisogna ridisegnare in chiave digitale l’esperienza umana. Alcune banche, in Italia e all’estero, sono più avanti delle altre ed è possibile imparare dai loro progetti e dai loro errori».

Come l’AI genera valore

Una prospettiva umano-centrica serve anche a considerare nella giusta prospettiva molti hype tecnologici degli ultimi anni. «L’intelligenza artificiale, per esempio – prosegue Tommasucci – è diventata qualcosa di ordinario, al punto che non ci chiediamo più quale beneficio possa portare alla relazione. Un bot è utile a rispondere alle domande più banali, ma non può fare tutto: se dice al cliente “aspetta, ti passo il mio collega umano che può aiutarti meglio”, gli fa capire che la banca tiene a lui e vuole risolvere il suo problema. Comunica valore, ammettendo i propri limiti».

I dati devono diventare informazione

Un nuovo approccio che vale anche per i dati. Un altro tema al centro dell’attenzione da diverso tempo, «ma che dovremmo affrontare parlando più correttamente di informazione – osserva Tommasucci. All’interno delle aziende, Finance e non solo, c’è un grande patrimonio informativo: digitalizzare i documenti e renderli ricercabili non basta affatto. Per fare la differenza serve un accesso alle informazioni strutturato, profilato ed efficace. Come potrei abilitare una relazione remota capace di fornire empatia e contatto umano tramite il contact center, se chi ci lavora non ha a disposizione informazioni accessibili, chiare e ricercabili in base al ruolo di ciascuno? Come faccio a pensare che un consulente possa essere efficace, magari operando da casa, senza il supporto di un team leader o di una knowledge?».

Gli strumenti non sono un limite

E non servono necessariamente nuove tecnologie da implementare, può bastare anche utilizzare in modo diverso ciò che già esiste. «Nell’ultimo periodo, con buona pace di strutture IT e Governance, abbiamo imparato che gli strumenti sono ormai solo una facility – spiega Tommasucci – e non possono essere additati come alibi o scusanti. È il momento di capire come posizionare questi strumenti all’interno dell’erogazione del nostro servizio, sotto tutti i punti di vista (organizzativo, di sicurezza, di compliance). La fattibilità non è più un problema: le piattaforme cloud hanno introdotto capacità e funzionalità e una modalità di continuous deployment talmente evoluto da farci dimenticare qualsiasi vincolo. Il vero limite è la chiarezza dell’obiettivo che vogliamo raggiungere».

Il momento dello step successivo

Gli strumenti di costruzione di un diagramma architetturale, d’altronde, sono ormai diventati di così alto livello che il disegno dell’erogazione del servizio può concentrarsi su valore e tempo, le parole chiave del customer service, anziché sui “constraint”. «Dimentichiamoci il numero dei data center e delle sedi – conclude Tommasucci –, la necessità di gestire i canali in modo omogeneo e così via. Il customer care è tecnologicamente evoluto da molto tempo: sono state le banche stesse a volerlo. È il momento di adottare interamente questo modello, sfruttando pienamente il potenziale di una tecnologia che nei fatti e nei numeri ha già dimostrato di essere virtuosa, efficace e soprattutto resiliente nel garantire il servizio ai clienti finali».

 

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di settembre 2021 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop

 

La Rivista

Settembre 2025

Le nuove sfide dell'AML

L'attenzione di normativa e vigilanza verso i fenomeni emergenti, tra cui crypto, IBAN virtuali, finanziamenti con garanzia pubblica...

Tutti gli altri numeri