Apple Vision Pro e banking: dalla filiale virtuale alla banca immersiva

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Il lancio commerciale degli Apple Vision Pro si è svolto come da copione: code davanti ai negozi, unboxing in diretta social, condivisione di video di early adopter che vagano per la città agitando le mani davanti a sé. Con relativa ondata di meme per sbeffeggiarli.

È inevitabile chiedersi quale sarà l'impatto su banche e compagnie assicurative di questo dispositivo, che inaugura una visione ben precisa delle realtà virtuale, intesa come realtà aumentata. A differenza di altre declinazioni dell'idea di metaverso, il visore di Apple non esclude il mondo esterno dalla nostra percezione. 

Non veniamo portati in un mondo virtuale. Sono dati, immagini e servizi che si "integrano" alla realtà in cui ci troviamo. E possiamo interagire con entrambe le dimensioni, utilizzando le nostre mani. 

Realtà aumentata e banche

Secondo l’agenzia di sviluppo tech lituana UXDA, la prossima generazione di servizi finanziari potrebbe basarsi su una app con una interfaccia creata ad hoc per i visori di Apple. L’obiettivo è creare una esperienza immersiva e personalizzata, ovviamente con un pizzico di intelligenza artificiale.

Un modello decisamente diverso rispetto a quello visto finora. Negli scorsi anni, l’hype del metaverso ha portato diverse banche a investire denaro per acquisire “terreni virtuali” in questa o quell’altra piattaforma.

Alcune realtà hanno poi effettivamente edificato delle “filiali virtuali” nei mondi del metaverso: ma si trattava di semplici vetrine online, spazi patrimoniali in cui non venivano erogati servizi. Anzi: alcune erano tappezzate di messaggi che invitavano i clienti a diffidare di altri utenti che proponevano servizi o che si spacciavano per impiegati della banca.

Operazioni di marketing e, al contempo, prime sperimentazioni di qualcosa di cui tutti parlavano, avviate più per FOMO (Fear of Missing Out, in pratica il timore di perdere un treno buono) che per precise strategie.

Uno spazio immersivo bancario, non una filiale

Ora, però, l'approccio di Apple ha proposto una visione diversa e dirompente del futuro. E facciamo quindi nostro il dubbio posto da UXDA: ha senso replicare nella realtà virtuale un modello “brick and mortar”, se i mattoni (bricks) sono solo virtuali?

Se davvero si imporrà un modello di realtà aumentata, e non immersiva, allora l’esperienza va ripensata da zero: non è il nostro avatar a entrare in una filiale di mattoni digitali.

Sono i servizi della banca a entrare nello spazio in cui ci troviamo.

Più facile a dirsi che a farsi, ovviamente. Occorre decidere che cosa mostrare e quando, in che modo navigare all’interno dei dati. E come trasformare la modalità di fruizione dei servizi, in primis quelli di consulenza, facendo sì che il valore dell’intervento del personale della banca (per quanto da remoto) venga moltiplicato ed esaltato dallo strumento tecnologico. Simulazioni di investimento, grafici, analisi in tempo reale del patrimonio: si potrebbe fare davvero moltissimo. Senza muoversi dall'ufficio o dal salotto.

Certo, ci sono le doverose considerazioni relative alla privacy, alla prevenzione delle frodi e alla sicurezza dei dati. La tecnologia Optic ID di Apple, sottolinea UXDA, è già un primo passo importante in termini di miglioramento della sicurezza grazie alla biometria, attraverso la scansione dell’iride del cliente/utente. Non piacerà a tutti, come ogni riconoscimento biometrico, ma è un esempio delle potenzialità. 

La “demo” di UXDA

Tutto questo è, ovviamente, qualcosa che verrà nel futuro. Ma per provare a immaginarlo, UXDA ha diffuso un concept di “spatial banking”, che potrebbe diventare realtà intorno al 2030, riassunto in due video YouTube:

 

 

 

 

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