Come competere sui prodotti di deposito

Il conto deposito è una commodity? Wei Ke di Simon Kucher & Partners ci ha spiegato come competere e differenziarsi nei depositi, usando leve diverse dal prezzo: perché i depositi non sono tutti uguali.conto deposito strategie marketing

Il tasso costa

In un contesto di tassi di interesse zero competere sul rendimento dei prodotti di deposito ha lo svantaggio fondamentale di essere molto costoso per la banca. Soprattutto perché, come dimostrano alcuni dati forniti da Ke e relativi al mercato nordamericano, quando si compete sul tasso di interesse i clienti dimostrano una “zona di indifferenza” tra un’offerta e l’altra pari a circa 40 bps. In sostanza, per convincere il cliente a migrare verso la propria offerta bisogna offrire 40 punti base più della concorrenza.
Un po’ caro, di questi tempi.

Tre meccanismi (incompleti) dagli USA

Il fatto è che il conto deposito non va necessariamente visto come una commodity. Alcune idee alternative vengono sempre dal mercato del Nord America: l’obiettivo è farsi scegliere dal cliente, senza ricorrere al rialzo del tasso di interesse indiscriminatamente per tutta la clientela. Una prima strategia è offrire dei bonus per il non-prelievo: un meccanismo del tutto analogo al nostro vincolo e su cui, pertanto, non mi soffermerei troppo. Una seconda strategia è offrire un bonus in caso di versamenti continui: Bank of Montreal offre tassi di interesse in crescita graduale se il deposito di denaro, anche di importi ridotti, si prolunga nel tempo a intervalli regolari. Qualcosa di simile, nella logica, a un Piano di Accumulo: ricompenso la costanza nel risparmio. Una terza strategia, un po’ grezza ma efficace, è quella di sorteggiare premi tra i clienti: non a caso oltreoceano la propone MoneyCart, parte del gruppo Walmart.

Guardare alla personalizzazione

Queste tre strategie hanno comunque uno svantaggio importante: per implementarle ci vogliono investimenti significativi, in un arco di tempo che, in alcuni casi, ha richiesto 2 anni. Mancano poi di personalizzazione, cioè di un elemento vincente dell’offerta di BigTech e FinTech: sono meccanismi di fidelizzazione indifferenziati, almeno quanto il rialzo del tasso di interesse. Non c’è ascolto del cliente, la comunicazione resta unidirezionale.

Come ti profilo la clientela

E invece, sottolinea Ke, guardare al profilo dei clienti è essenziale per costruire una strategia. Ke ha portato l’esempio di una banca americana (non meglio identificata per evidenti ragioni) che ha individuato diversi gruppi di clientela. Un 21% (ma la percentuale ha un’importanza relativa, conta la logica di profilazione) di “active money manager”: persone con una certa disponibilità economica che vogliono gestire attivamente il loro risparmio e sono quindi molto attente al prezzo (cioè al tasso di interesse). Un secondo gruppo (il 32%) sono invece i “builders”: giovani professionisti che iniziano a risparmiare, anche somme non particolarmente elevate, e cercano soprattutto motivazione e consiglio, con un’attenzione minore al prezzo. È evidente che il primo gruppo sia più interessato a una qualche forma di “vincolo”, mentre il secondo a un meccanismo incentivante basato sulla costanza del deposito.

La lezione delle FinTech

Un altro fronte di innovazione dei prodotti di deposito riguarda l’esperienza. E, come detto, qui i principali innovatori sono del mondo FinTech. Negli USA, ad esempio, Dyme ha puntato sul “risparmio impulsivo”, permettendo ai clienti di accantonare denaro inviando un SMS con scritto “sì” a specifiche richieste della banca. Qapital, invece, ha scelto un meccanismo analogo con l’accantonamento di determinate somme in modo automatico quando il cliente conferma il verificarsi di un determinato evento, come l’essere andato in palestra. Una soluzione già in uso anche presso alcune FinTech nostrane.

Un PFM meno complicato

Un esempio ad hoc è invece dedicato al Personal Financial Management: strumenti proposti da diverse neobank e anche da qualche banca tradizionale, ma il cui uso risulta a volte un po’ complicato dalla necessità di settare categorie, obiettivi e preferenze. L’americana PNC ha in qualche modo ribaltato l’approccio: il cliente apre in autonomia un wallet virtuale e deve rispondere alle domande sulle sue esigenze. Poi, in base alle risposte, PNC gli propone il prodotto più adatto. La definizione del bisogno viene prima della proposta del prodotto. O del tasso, ovviamente.

 

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