Ci penserà la MiCAR a fare decollare l’offerta di investimenti in criptoasset da parte di banche e player finanziari incumbent? I dati ci dicono che la domanda di questi servizi, in Italia, c’è e risulta in crescita. Nel panorama dell’offerta, però, troviamo soprattutto fintech e player “nativi” del mondo cripto, spesso con sede al di fuori dei confini UE.
Dietro le quinte, in realtà, i progetti e i rumour non mancano. Segno che le banche, abituate a muoversi in scenari normativi definiti e chiari, stanno attendendo l’arrivo della MiCAR. E non c’è da sorprendersi, visto l’atteggiamento del Regolatore verso bitcoin e criptoasset che è orientato, come visto anche di recente, a una estrema prudenza.
La domanda di cripto
Sul potenziale divario di domanda e offerta si è focalizzata la ricerca “La diffusione dei Crypto-Asset e della Blockchain nel settore finanziario: analisi della domanda dei Consumatori e dell’offerta delle Banche in Italia”, sviluppata da Boerse Stuttgart Group in collaborazione con l’Osservatorio Blockchain & Web3 del Politecnico di Milano.
I dati (che risalgono a fine 2023, prima dell’ultima impennata al rialzo di BTC) ci dicono che l’11% degli italiani ha criptoasset (includendo tutto: criptovalute, altri token, NFT e così via) e un altro 10% ne ha posseduti in passato. Tra questi ultimi, probabilmente, molti hanno sperimentato con le criptovalute durante gli alti e bassi degli scorsi anni.
Oltre a questo 21% complessivo di italiani che ha già avuto a che fare con i criptoasset, almeno un ulteriore 21% sarebbe intenzionato ad acquistarli in futuro. Per un mercato complessivo potenziale stimato in 14 milioni di persone.
Un pubblico nuovo
Attenzione, però. Questi due gruppi di clienti hanno in comune solo la percentuale: per il resto, sono profondamente diversi. Da un lato gli early adopter e gli hodler, tipicamente giovani e digitali, che in alcuni casi hanno acquistato cripto come prima forma di investimento della loro vita, veicolando somme di piccolo importo mediante app, exchange e neobanche.
Alcuni di loro ci hanno rimesso nei vari criptoinverni, ma probabilmente oggi rosicano un po’, vedendo i nuovi massimi di Bitcoin.
Dall’altro una “next generation” di utenti, trasversale alle generazioni dalla X in poi, che raggiunge il 49% tra chi ha un reddito superiore ai 60mila euro l’anno e, probabilmente, è interessato a differenziare il proprio portafoglio. Questa seconda ondata di clienti è stata, finora, intrigata dal mondo cripto, ma non convinta. E probabilmente gli si avvicinerà cercando un player istituzionale, percepito come affidabile.
Un limite di offerta
Oggi a intercettare questa domanda di criptoasset sono soprattutto gli exchange, usati dal 32% degli investitori, seguiti da app di trading, 26%; app bancarie (presumibilmente neobanche e banche digitali), 20%; e wallet, 17%. Per la custodia degli asset, invece, ben il 37% degli utenti continua ad affidarsi a un exchange, il 30% a un servizio di trading finanziario generico e, dato interessante, l’8% usa un hardware wallet.
I potenziali futuri cripto investitori, invece, nel 25% dei casi preferirebbero utilizzare una app bancaria e nel 19% un servizio di trading. Va comunque evidenziato che il 41% di loro non sa quale strumento potrebbe utilizzare. E, in generale, dalla ricerca emerge chiaramente una scarsa conoscenza di questi temi: sottoposto a un test, appena il 13% del campione ha risposto correttamente alla maggior parte delle domande.
Le opportunità per le banche
Ma quali servizi potrebbero offrire, le banche? Ci sono due ambiti possibili, sinergici tra loro. Il primo riguarda trading e investimento, il secondo la custodia degli asset. I dati del Politecnico di Milano rivelano che 63 delle 100 principali banche mondiali hanno attivato progetti che riguardano StableCoin, criptovalute o CBDC (che, va sottolineato, sono assai diverse).
Le banche italiane, secondo la ricerca, stanno lavorando soprattutto sulla compravendita di asset cripto per la clientela consumer, guardando anche a fornitori tecnologici e fintech a cui appoggiarsi per velocizzare il time to market ed esternalizzare alcune attività. Nessun progetto è stato invece mappato per quanto riguarda il fronte della custodia degli asset, nonostante la recente emissione dei primi token da parte di CDP, nell’ambito del pilot regime. I potenziali partner non mancano, compresa Boerse Stuttgart Digital, che ha promosso la ricerca, e che è parte del gruppo Borsa di Stoccarda: al settore, evidentemente, non guardano solo le startup.