Transizione ESG: chi fa bene e chi resta indietro. E cosa possono fare le banche

Transizione ESG: chi fa bene e chi resta indietro
Gianluca Natalini, ESG Business Owner di CRIF

Prosegue il percorso di transizione ESG delle imprese italiane. E anche il credito bancario si sta progressivamente orientando verso le aziende più virtuose e che hanno avviato un percorso di trasformazione. Ci sono settori produttivi che hanno ottenuto buoni risultati e altri, invece, che per loro natura affrontano qualche sfida in più e hanno bisogno di soluzioni mirate, anche dal mondo bancario.

È quello che emerge dall’ultimo ESG Outlook di CRIF e oggi a define banking next, il podcast sulla banca del futuro che AziendaBanca realizza insieme a CRIF, approfondiamo questo tema insieme al nostro ospite, Gianluca Natalini, ESG Business Owner di CRIF.

AG. Partiamo dalle definizioni di base: che cosa si intende per “rischio di transizione ESG”? Quali sono gli effettivi pericoli per le imprese?

GN. Il rischio di transizione fa parte della valutazione delle imprese ai fattori ambientali, appunto la E di ESG. Il rischio di transizione è uno dei tre elementi che rientra in questa valutazione ambientale: indica il rischio di perdere fatturato in seguito allo spostamento dell’economia verso un modello a basse emissioni di carbonio e più sostenibile sotto il profilo ambientale.

Ci sono altri elementi nella valutazione ambientale, come l’esposizione al rischio fisico, cioè a fenomeni naturali acuti, come una inondazione, oppure cronici, come il graduale innalzamento del livello del mare. E poi ci sono i rischi relativi al capitale naturale, come la gestione dei rifiuti o dell’acqua, oppure il rispetto per la biodiversità.

AG. Oggi parliamo nello specifico del rischio di transizione, il primo elemento che hai citato, quindi della ripercussione economica che un’azienda può subire se non avvia un percorso di maggiore sostenibilità. Dall’ESG outlook di CRIF emerge che in generale diminuiscono le imprese nelle classi di rischio di transizione più elevato, mentre aumentano, di consequenza, quelle a rischio basso o moderato. Come dobbiamo interpretare questi dati?

GN. Le imprese italiane stanno affrontando la sfida della transizione ecologica con maggiore efficacia rispetto al passato. L’outlook mostra che le piccole e medie imprese italiane hanno registrato segnali concreti di miglioramento. La quota di quelle classificate nelle due fasce di rischio più elevato, cioè “alto” e “molto alto”, è diminuita del 6,6%, mentre l’insieme di quelle a impatto “basso” o “moderato” è cresciuto di oltre il 9%.

Questi numeri ci dicono quindi che sempre più aziende stanno ottenendo risultati nel muoversi verso dei modelli di business a basse emissioni di carbonio. Hanno cioè adottato delle strategie e degli investimenti efficaci per ridurre la loro esposizione ai rischi legati alla transizione ecologica di cui parlavamo poco fa.

È un segnale di maturità del mondo imprenditoriale italiano anche nel segmento delle PMI. E dimostra che le aziende stanno iniziando a trasformare i fattori ESG in leve strategiche per restare competitive anche in futuro.

AG. Come si determina il rischio, come calcolate lo score che permette di dire questa azienda ha un rischio elevato, quest’altra invece moderato?

GN. Nello stimare lo score che valuta il rischio di transizione delle imprese, gioca un ruolo centrale il livello corrente di emissioni di gas serra, che viene indicato con l’espressione tecnica “GHG intensity”.

Questo parametro permette di stimare gli investimenti che l’impresa deve effettuare per raggiungere i target di riduzione stabiliti a livello settoriale. Parliamo quindi di un dato concreto, di costi a carico dell’impresa.

La nostra analisi mostra i valori medi, utilizzando come parametro i grammi di CO2 emessa per euro di fatturato. In base al livello delle emissioni GHG e alle informazioni di bilancio, che possono essere settoriali o relative a una singola impresa, CRIF va a stimare l’esposizione dell’azienda al rischio di subire perdite derivate da mutamenti della regolamentazione, della domanda e della tecnologia. E valutiamo anche l’impatto di diversi scenari di transizione sui principali indicatori di bilancio.

Rispetto al 2023, vediamo un lieve calo della GHG intensity complessiva. E questo ci dice che, nel complesso, sta migliorando l’efficienza ambientale delle nostre PMI. Restano, però, delle differenze significative tra i comparti. I servizi, che sono caratterizzati da una forte prevalenza del capitale umano, risultano più virtuosi. Mentre i comparti produttivi e industriali restano quelli più penalizzati.

AG. Ci sono settori più a rischio di altri?

GN. Ci sono situazioni particolarmente critiche nell’ambito dell’agricoltura e dei trasporti e logistica. In questi casi abbiamo visto un aumento dell’intensità emissiva. L’agricoltura ha affrontato una serie di difficoltà economiche e tecniche che hanno rallentato l’adozione di pratiche a minor impatto ambientale.

Mentre il traffico marittimo, aereo e stradale continua a essere una fonte significativa di emissioni: per i trasporti e la logistica, la transizione energetica richiede investimenti ingenti, per modernizzare le flotte e le infrastrutture. E sconta anche l’aumento dei costi energetici.

AG. Beh sappiamo che ci sono dei settori produttivi in cui è oggettivamente molto difficile diminuire rapidamente le emissioni di CO2…

GN. Vero, ma abbiamo anche dei casi virtuosi. Un esempio è il mining – oil and gas. Che, per evitare ogni equivoco, resta il più emissivo in termini assoluti, ma ha fatto registrare un calo significativo perché ha ridotto la propria dipendenza dai combustibili fossili e ha aumentato il consumo energetico da fonti rinnovabili.

Abbiamo visto miglioramenti apprezzabili anche nei comparti dei prodotti non metallici, così come da utilities e aziende energetiche, grazie a investimenti in tecnologie meno emissive a un mix energetico che si sta progressivamente orientando alle fonti rinnovabili.

AG. Quali altri settori stanno facendo bene e quali, invece, soffrono?

GN. Possiamo citare la farmaceutica, che è penalizzata da una pressione normativa molto forte e dal fatto che la riconversione dei propri processi produttivi richiede costi molto elevati. E un discorso analogo vale anche per la chimica.

Migliorano in modo rilevante la meccanica strumentale, il tessile/abbigliamento e il commercio di autoveicoli: qui ci sono stati investimenti importanti in tecnologie pulite, accompagnati dall’adozione di pratiche sostenibili e da un adeguamento a nuove normative.

Tra i settori virtuosi possiamo citare l’insieme del “Leisure”, quindi turismo, ristorazione e attività ricreative, e i buoni progressi di meccanica e immobiliare. Proprio nell’immobiliare abbiamo riscontrato un dimezzamento del rischio di transizione rispetto al 2023.

Direi che il quadro generale dell’ESG Outlook è complesso ma incoraggiante: il nostro sistema produttivo ed economico è in trasformazione.

AG. Questi dati guardano alla transizione ESG dalla prospettiva del rischio, di un qualcosa che l’azienda deve fare, quasi subisce. Proviamo a dare una lettura diversa, diciamo il rischio di transizione come una opportunità?

GN. Personalmente preferisco vedere la valutazione ESG dal punto di vista delle opportunità. Stiamo ragionando in un’ottica di meglio-lungo periodo, qualcosa di ben diverso dal rischio di credito.

La banca non deve guardare a un’impresa a rischio di transizione come a una realtà a cui togliere le fonti di finanziamento, ma come una opportunità per creare un percorso di miglioramento ed evoluzione.

Il vero rischio è quello di assistere, nel medio-lungo periodo, alla scomparsa di imprese che non hanno saputo compiere un percorso di transizione. La direzione da intraprendere è la stessa sia per le banche sia per le aziende clienti: per questo ci vedo una opportunità.

AG. Per completare la transizione, le imprese hanno bisogno di investimenti. E, quindi, di finanziamenti e di credito. Che ruolo stanno giocando le banche in questo quadro e con quali strumenti?

GN. L’ESG Outlook ha proprio lo scopo di misurare l’eterogeneità della transizione ecologica. I settori produttivi stanno evolvendo, sì, ma lo fanno con traiettorie differenziate. E gli istituti finanziari, così come i policy maker e le imprese, devono essere in grado di intervenire con strumenti mirati alle esigene di ciascun settore. Trasformando tutti i percorsi, anche quelli più complessi, in una leva di sviluppo sostenibile.

Nel 2024 abbiamo riscontrato un calo della quota di finanziamenti a imprese fortemente esposte al rischio di transizione, passata dal 30,3% del 2023 al 29,3%. È invece cresciuta di molto la percentuale di crediti destinata alle realtà più virtuse, che in un anno è passata dal 29,4% al 38,1%.

Il dato ci dice che il sistema bancario italiano sta canalizzando sempre più risorse verso le aziende che stanno lavorando alla transizione ecologica, con una sinergia positiva tra mondo del credito e imprese.

AG. C’è il rischio di lasciare indietro le imprese per cui la transizione ecologica è più sfidante? Come può una banca fare business e accompagnare al contempo l’impresa cliente in questo percorso?

GN. Posso dire che oggi questo pericolo non c’è: le banche non smetteranno di lavorare con un’impresa per il rischio di transizione. Stanno invece allargando il loro catalogo prodotti per individuare soluzioni creditizie, e non, che possano favorire il percorso di cambiamento delle imprese clienti.

La scelta finale, ovviamente, resta all’imprenditore. Ma la banca può cogliere l’opportunità di assisterlo in questo percorso.

AG. E la tecnologia può dare una mano? Possiamo aspettarci un contributo anche dall’intelligenza artificiale?

GN. L’ESG è qualcosa di completamente nuovo per la banca, un ambito in cui servono nuove competenze che, spesso, non sono presenti.

L’intelligenza artificiale può quindi essere di ausilio nell’interpretare una serie di documenti nuovi che vengono oggi richiesti, penso ai bilanci di sostenibilità, ai piani di transizione o a piani industriali che incorporano il tema della transizione.

L’AI può e, anzi, deve essere usata per affiancare i gestori, velocizzarne i percorsi di formazione, aiutarli a leggere agevolmente e velocemente i documenti forniti dall’imprenditore. La tecnologia può ancora una volta affiancare il personale della banca.

E l’intelligenza artificiale è in prima fila perché permette di estrapolare le informazioni chiave dai documenti e supportare il dialogo tra gestore e impresa cliente.

 

La Rivista

Ottobre 2025

Relazione Banca e Impresa

Credito mirato e servizi aggiuntivi

Tutti gli altri numeri