Il mattone per le precedenti generazioni è da sempre stato lo strumento di investimento per eccellenza e, con il passaggio generazionale, i giovani si troveranno a ereditare questo patrimonio.
«L’Italia è il primo paese al mondo in cui l’eredità è il principale veicolo di trasferimento della ricchezza (fonte The Economist) e si stima che il valore di questa ricchezza trasmessa tramite eredità raggiunga i 400/450 miliardi di euro di valore – racconta Monica Regazzi, Chief Financial Officer di Rexer. Di questa, circa la metà è costituita da patrimonio immobiliare, che ammonta quindi a circa 200 miliardi di euro in totale, circa il 10% del PIL nazionale».
Non si sa quanti siano esattamente questi immobili, ma se ne conosce il valore complessivo, pari a circa 200 miliardi di euro, in crescita del 20% dal 2019 al 2023.
Le sfide
Tuttavia, questo passaggio ereditario comporta già oggi delle sfide future: in particolare guardando all’anno di costruzione di questi immobili e alla bassa classe energetica che accomuna lo scenario immobiliare italiano.
«Lo stock abitativo italiano, stimato in circa 36 milioni di abitazioni, è molto datato e presenta oltre metà delle abitazioni costruite nel periodo 1945-1981, mentre un ulteriore 18% ha costruzione antecedente il 1945 – evidenzia Regazzi. Come diretta conseguenza la situazione in termini di efficienza energetica non è delle migliori: si stima che il 66% delle abitazioni sia attualmente in una classe energetica bassa (F-G), mentre negli altri principali paesi europei le percentuali sono significativamente più contenute: ad esempio in Germania è il 45%, in Francia e Spagna il 25%».

Con l’approvazione della Direttiva Casa Green (aprile 2024) il tema della classe energetica è divenuto più che mai centrale. Nonostante a livello nazionale la direttiva debba essere ancora recepita e attuata, il possibile obbligo per tutte le abitazioni di raggiungere la classe E entro il 2030 e la classe D entro il 2033 ha generato il timore di sanzioni e limitazioni sugli immobili.
«Questi fattori hanno conseguenze dirette sul mercato: l’acquirente di un immobile finisce per farsi scontare dal prezzo di acquisto l’investimento necessario per ristrutturare e mettere a norma l’immobile – aggiunge Regazzi. Dobbiamo anche considerare che i costi di ristrutturazione sono aumentati enormemente negli ultimi anni e questo finisce ancor più per ridurre il prezzo degli immobili vecchi, in classe energetica bassa, a fronte del forte aumento di quelli nuovi, in classe energetica alta».
Pochi immobili recentemente ristrutturati
Il quadro del mercato residenziale vede pertanto un’ampia presenza (60% circa) di immobili da ristrutturare o definiti “abitabili” che però, data la loro inefficienza energetica, verosimilmente necessiteranno di un intervento di ristrutturazione nel medio periodo.
Gli immobili recentemente ristrutturati sono invece presenti in misura limitata sul mercato, quelli di nuova costruzione quasi rari. Questa situazione ovviamente si trasmette sui prezzi: le nuove costruzioni sono cresciute quasi del 40% nell’ultimo quinquennio, mentre la variazione rilevata sulle abitazioni esistenti è inferiore al 4%.
La desertificazione dei piccoli comuni
Inoltre, non va dimenticato che l’Italia è costituita da piccoli comuni che si stanno spopolando: è probabile, dunque, che la prossima generazione scelga di rivendere, se non direttamente rinunciare all’immobile ereditato per via della sua collocazione geografica.
«La sfida sarà quella di saper cogliere sempre di più i progetti di riqualificazione urbana, la domanda di nuovi immobili è più viva che mai e, per i piccoli comuni, di riuscire ad essere attrattivi – conclude Regazzi –, ovvero capaci di offrire opportunità economiche, lavorative, di studio e soprattutto di interesse turistico».