I casi di successo in ambito startup sono una miniera di consigli utili per chi lavora in ambito insurtech o fintech. In un episodio del nostro podcast #define banking, di cui questo articolo è un adattamento testuale, abbiamo intervistato Andrea Battista, fondatore di Net Insurance.
Siamo partiti dalla storia dell’azienda (raccontata nel libro Exit Strategy) per estrarne alcuni spunti utili a spiegare come si può fare innovazione insurtech.
AG. Possiamo riassumere in 60 secondi la storia di Net Insurance?
AB. Net Insurance è una compagnia di assicurazione, nell’ambito dei rami Protezione per famiglie e PMI. Nasce nel 2000, ma viene rifondata nel 2019 tramite un’operazione di SPAC.
Che cosa è una SPAC? È un veicolo che viene quotato in borsa e raccoglie capitali, che vengono poi immessi in un’azienda che riparte così da zero.
La storia di questi ultimi anni di Net Insurance è raccontata nel mio libro, Exit Strategy.
AG. Cerchiamo, ora, di dare una serie di consigli a chi vuole portare innovazione in ambito assicurativo, proprio a partire da questa esperienza. Nel libro si legge che “il punto di partenza per fondare una nuova realtà è vedere dove gli altri non hanno ancora visto”, quindi trovare uno spazio di innovazione. Da dove nasce questa intuizione? E quanto conta l’esperienza pregressa dei fondatori?
AB. “Vedere dove gli altri non hanno ancora visto”, cioè investire in un business case prima che diventi conosciuto a molti, è un qualcosa di banale, che nasce da una teoria di grande lignaggio, la cosiddetta “visione austriaca dell’imprenditore”.
L'imprenditore, per questa visione del mondo, è colui che scopre, non colui che crea. Colui che vede, perché mette insieme, per usare la celebre metafora di Steve Jobs, i puntini. E questi puntini sono parte della propria esperienza: non hanno, di per sé, un particolare significato. È l’intuizione imprenditoriale a unirli e farne un progetto.
L’esperienza pregressa è quindi fondamentale. La conoscenza del business specifico, così come i filtri concettuali con cui guardare al mondo.
AG. Altro passaggio: “la killer application è come il principe azzurro, non la troverete”. Che significa per chi fa innovazione?
AB. Molto spesso, in settori e progetti complessi, pensiamo che ci sia un’unica idea o innovazione tecnologica, a volte persino una sola persona, che può fare la differenza e mettere a terra l’idea imprenditoriale, creando valore sostenibile nel tempo.
Ma quando un’attività è complesso è quasi impossibile che ci sia un solo elemento, la killer application appunto, che permetta non solo di operare e competere, ma di fare la differenza. Pensiamo alla catena del valore nelle assicurazioni: servono competenze, sistemi e processi in attività molto diverse come underwriting, sinistri, gestione dei clienti, post vendita etc.
Non serve trovare una killer application, ma armonizzare e bilanciare molti elementi diversi per avere successo nel medio e lungo periodo.
AG. L’idea imprenditoriale deve confrontarsi con la realtà, il “qui e ora” del mercato. Molti fallimenti di startup, in passato, derivano da una mancata o scorretta percezione delle reali opportunità. Quali sono i rischi maggiori di cui tenere conto?
AB. Il mercato è indubbiamente il giudice supremo. Un’opportunità che ha tutte le carte in regola a livello teorico può trasformarsi in un progetto che non decolla e poi fallisce. Non esiste un solo motivo, in realtà.
L’errata lettura delle opportunità, il non aver considerato i fatti, possono essere assolutamente centrali.
Nel caso di Net Insurance abbiamo fatto una scommessa importante sul fatto che la tecnologia digitale sarebbe stata un fattore abilitante per permettere a un nuovo arrivato, di piccole dimensioni, di realizzare velocemente ed efficientemente una catena del valore completamente nuova, adatta ai segmenti di business specialistici.
Questa lettura è stata corretta, ma certamente correva il rischio di affidarsi a tecnologie di moda, passeggerre.
A volte è una questione di persone e di integrazione tra i membri del team. A volte è una comprensione errata della domanda: penso di avere individuato un bisogno importante, invece la domanda è insufficiente.
Di nuovo, gli elementi di un’impresa di successo sono tanti e vanno bene armonizzati.
AG. Tra questi c’è la capacità di adattarsi alle circostanze. Servono pianificazione e analisi, ovviamente, ma anni di permacrisi ci hanno abituato a cambiamenti frequenti nelle condizioni del mercato. Nel libro c’è l’espressione “surprise index”, una misura di quanto la strategia effettivamente perseguita si sia allontanata dalle direttrici annunciate in precedenza. Come si uniscono pianificazione e adattamento?
AB. Senza piano non c’è nulla da adattare. E, quindi, partiamo dalla pianificazione, dal piano di impresa. Ogni delta, positivo o negativo, sarà realizzato a partire da qui.
Se è un buon piano, avrà certamente dei delta individuabili, che non cambiano la fotografia evolutiva dell’impresa.
Bisogna anche sapere presentare i piani: è una skill che serve al buon imprenditore. L’aspetto comunicativo è centrale , specie se ci si finanzia con capitali terzi di investitori sofisticati, come nel caso della SPAC di Net Insurance.
Poi c’è la capacità di adattamento. Che può richiedere una revisione degli obiettivi, dei numeri, ma anche del business model. Bisogna resistere alla tentazione di aggiungere cose e cambiare continuamente, magari senza ammettere di essersi sbagliati.
Può accadere, ovviamente, ma direi non più di una o due volte nel giro di qualche anno. Il rischio è che il “surprise index” arrivi a valori molto elevati, che possono portare alla disaffezione di investitori e stakeholder.
AG. Un altro passaggio dice “le minacce possono venire da fuori, specie se sei troppo impegnato a guardare che cosa accade dentro l’azienda”. Su LinkedIn si vedono spesso post a proposito delle “vanity metrics”, di dati che non sono realmente importanti per un’azienda. Quali sono i giusti KPI per capire se una startup sta facendo bene?
AB. I KPI, come cerco di dimostrare nel libro, sono un'area dove forse non bisogna esagerare con l'innovazione. Si rischia altrimenti di guardare a metriche che lasciano il tempo che trovano, quando non diventano metriche di pura vanità.
Se il consenso dell’industria si basa sull’evoluzione del numero di clienti, però, bisognerà misurarsi con quello, anziché provare a dimostrare che non serve a molto.
Nell’assicurativo, le metriche fondamentali sono l'andamento della patrimonializzazione e il processo di creazione di valore, quindi di utile netto, generato su base pruriennale.
Serve avere un set di metriche relativamente sofisticate, ma anche sintetiche, per dialogare con gli investitori. Potrei citare anche il Combined Ratio e tutti i KPI comunemente accettati.
Metriche strane o inusuali, invece, mi sembrano un modo per lanciare la palla in tribuna e non confrontarsi con ciò che il mercato apprezza. Gli investitori di qualità questo gioco non te lo fanno fare.
AG. Abbiamo citato poco fa che servono le giuste persone e la capacità di farle lavorare un team. Come si trovano? E c’è un momento, nel percorso di crescita dell’impresa, in cui serve cambiare la squadra?
AB. In Net Insurance ho seguito un modello preciso, che qui ha funzionato bene. In altri contesti, in passato, ne ho utilizzati altri. Non c’è, quindi, un unico approccio corretto.
In primis, ho pensato subito all’intero team, come un insieme. Questo consente di valutare la fitness del singolo manager, ma anche la coerenza della squadra.
Questo, ovviamente, è più facile se si individuano persone con cui si è già lavorato in passato, messe alla prova sul campo e non in una serie di colloqui. Quando questo non è possibile, propendo per ricerche molto scientifiche, con advisor di prima qualità.
Occorre, poi, valorizzare i talenti interni. Nel nostro caso, volevamo rifondare Net Insurance con business completamente nuovi e quindi non potevamo trovare tutte le risorse all’interno. Dove le abbiamo trovate, però, le abbiamo valorizzate a vari livelli. Un nuovo progetto imprenditoriale è un’occasione di rilancio per tutti.
Se c’è bisogno di cambiare, poi, bisogna farlo in maniera veloce e diretta, senza farsi troppi problemi. Certo, il team andrebbe disegnato per fare almeno una parte del percorso insieme, direi fino alla exit o al primo piano industriale. Arrivati a questo primo traguardo, bisogna fare delle valutazioni per la fase successiva, a livello sia singolo sia collettivo.
Nel caso di Net Insurance, il team che ha seguito la fase 1 fino all’exit è in buona parte anche quello post exit.
AG. Eccoci arrivati alla exit. Punto di arrivo per i fondatori e punto di partenza per l’azienda, che continua a esistere anche quando i fondatori fanno cassa. Come possiamo definire una buona exit e come ci si arriva?
AB. La exit è un punto d'arrivo, sì, ed è un punto di partenza, sì. Ma se è l'uno e l'altro vuol dire che in realtà non è nessuno dei due.
Nel libro provo a proporre una tesi innovativa rispetto alla pratica e a ciò che pensano la maggior parte dei fondatori di startup.
La exit è un momento di discontinuità. Se non accelera lo sviluppo dell’impresa, o addirittura lo decelera, allora non è una buona exit. È positiva la exit che crea un effetto leva industriale e operativo: l’impresa ex-post crea più valore dell’impresa ex-ante, o di quello che avrebbe ragionevolmente creato senza exit.
La buona exit ha al centro l’impresa, non i fondatori. Io arrivo a dire che è sbagliato “fare cassa” con la exit: se si vuole valorizzare l’impresa, non può essere quello l’obiettivo.
È giusto che gli azionisti monetizzino: il loro lavoro è ottenere il legittimo guadagno sull’investimento che hanno fatto. Per lasciare spazio a nuovi capitali e know-how. L’impresa deve venire prima del fondatore e degli azionisti.
Nel caso della exit di Net Insurance, molti investitori sono usciti, ma il fondatore ha re-investito, rendendo credibile la fase successiva del progetto. A tre anni dalla exit, tutte le metriche mostrano uno sviluppo accelerato, in tutti i valori fondamentali, dall’utile al valore e alle assunzioni.
Questa è “la buona exit”, in cui l'impresa è una creatura a sé stante rispetto ai suoi azionisti, finanziatori, investitori, orientata al medio-lungo periodo e non al breve.