Il welfare è già multiplo. Manca integrazione

Caregiver

Il welfare alternativo è in crescita. Anche grazie alle iniziative spontanee delle famiglie. La sesta edizione del Rapporto Assimoco sottolinea l’esigenza di maggiore integrazione per coordinare le nuove forme di welfare.

Il welfare pubblico non basta più

Perché il primo dato emergente è chiarissimo. Quasi l’80% dei capi famiglia ritiene che il solo welfare pubblico non basta già più (e basterà sempre meno) per soddisfare i bisogni sociali del nucleo famigliare. La ragione è sotto gli occhi di tutti, con un welfare pubblico in progressiva contrazione e peggioramento. Per esempio, dal punto di vista dei tempi di attesa per le prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale.

Come sta evolvendo il welfare

Normale, quindi, che il 72,4% dei cosiddetti caregiver (intesi in senso evolutivo, cioè di persona che si prende cura della famiglia con decisioni assicurative e finanziarie e non, quindi, sinonimo di prestatore di mera assistenza) esplori forme alternative di welfare. E il Sesto Rapporto del Gruppo Assimoco, “Un Neo-Welfare per la Famiglia. Cooperare per costruire un welfare integrato”, commissionato a Ermeneia, Studi e Strategie di Sistema, parla di un welfare alternativo che è già realtà. Da quello assicurativo a quello aziendale, fino a forme quasi spontanee di welfare famigliare, interfamigliare e di territorio.

Una mano la dà la famiglia

Per il 50,7% dei caregiver la scelta privilegiata resta il welfare pubblico (ed è normale che sia così, pensando ai costi) ma con la consapevolezza che questo può non essere sufficiente. Nell’ultimo anno, la spesa delle famiglie per sopperire alle esigenze sanitarie, ad esempio, è cresciuta del 24%. La prima forma di welfare alternativo è proprio quello famigliare e interfamigliare, che attinge cioè al reddito e al patrimonio della famiglia, o a quello delle altre generazioni. Rientra in questa categoria anche la risorsa “tempo”, che vede quindi i nonni impegnati nella cura dei nipoti. La percentuale di utilizzo varia tra il 22,5% e il 29,7%.

Uno sguardo nuovo sulle polizze

Parliamo di macrocategorie, non di singoli strumenti. All’interno delle 4 classi (pubblico, famigliare, assicurativo, territoriale) individuate si potrebbero infatti identificare almeno (almeno!) 13 categorie distinte. Si capisce così perché nel welfare assicurativo troviamo un dato di penetrazione che varia tra il 18,5% e il 37,8% delle famiglie, a seconda che si prendano in considerazione la copertura dei beni famigliari, il rischio salute, infortuni, vita, pensione integrativa o i PAC. Il welfare assicurativo è stato riconsiderato dalle famiglie dopo la “lezione” della crisi: il 59% delle famiglie ha mantenuto le coperture e il 19% si è assicurato maggiormente. La percezione del rischio è diventata più chiara.

Quanto conta il territorio

E poi c’è il welfare territoriale. Un concetto importante, interessante e decisamente variopinto, perché spazia dal volontariato al welfare di vicinato, con cooperative, associazioni e gruppi spontanei, includendo anche il welfare aziendale e di categoria. Riguarda tra il 12,5% e il 18,2% degli intervistati.

2,2 strumenti a famiglia: serve integrazione

Ogni caregiver fa ricorso, in media, a 2,2 tipologie di welfare. Ma la varietà è molto elevata: il 44% ne usa un solo tipo, il 19,4% due, il 19,5% tre, fino al 6% che ne utilizza sei o più. Che cosa manca? L’integrazione. Perché se la stella polare delle famiglie resta ancora il welfare pubblico, c’è un forte interesse anche per quello assicurativo, e resterà certamente il ruolo di paracadute della famiglia, con le varianti locali di associazioni e imprese. Proprio per questo il 78,5% dei capi famiglia vorrebbe un aiuto qualificato nella scelta delle diverse tipologie di welfare e della loro combinazione, tenendo conto anche dei bisogni, delle priorità e delle risorse economiche di ciascuna famiglia.

«Questo Osservatorio – afferma Ruggero Frecchiami, Direttore Generale del Gruppo Assimoco – è nato dall’intuizione che la crisi avrebbe allargato il gap tra i bisogni di welfare delle famiglie e la capacità dello Stato di farvi fronte. Siamo sempre convinti che la risposta sia nella creazione di un nuovo modello di welfare: questa sfida culturale è rilevante, perché richiede azione, cooperazione e innovazione. I modelli del passato non funzionano più: già oggi vediamo risposte creative ma non organizzate, anche sul territorio. Questa mutazione richiede una risposta integrata, con soluzioni sistemiche».