La revisione del regolamento europeo eIDAS potrebbe aprire l’opportunità di ottimizzare la user experience dei clienti di banche e assicurazioni (e non solo), a partire dall’onboarding e dalla identificazione del cliente
Identità digitale e automazione dei processi. Sono i due principali driver di trasformazione dei business model in tutti i settori, ma particolarmente in quelli bancario e assicurativo, al centro del dibattito dell’InTrust Day 2022, organizzato da Intesa (società di Kyndryl).
Tutto in un wallet
L’identità digitale, in particolare, è sotto i riflettori perché nel 2023 si concluderà l’iter legislativo per la revisione della Direttiva Europea eIDAS. E anche nell’ambito dell’identità digitale la normativa europea seguirà un principio già affermato con l’open banking e il GDPR: il cittadino ha la piena sovranità sui propri dati, che può portare da un fornitore di servizi all’altro. Nel nuovo assetto, in particolare, i cittadini avranno a disposizione un wallet digitale (detto EuDI) che contiene tutte le loro identità: diplomi, lauree, carte di identità, certificazioni e così via.
Un’identità interoperabile in Europa...
Il wallet consentirà a ogni cittadino di provare la propria identità a fornitori di servizi digitali pubblici e, auspicabilmente, privati in tutta l’Unione Europea. E qui i nodi da sciogliere sono due. Il primo è uniformare il quadro dell’identità digitale nell’Unione: finora eIDAS ha portato a risultati molto diversi negli Stati membri e sono rari i servizi che consentono un uso transfrontaliero dei sistemi nazionali di ID.
L’Italia, da questo punto di vista, se la cava bene con un 60% di maggiorenni che dispone di SPID.
… e per il settore privato
Il secondo obiettivo è consentire l’utilizzo dell’identità digitale europea anche per accedere ai servizi offerti da privati. E qui invece l’Italia se la cava maluccio, perché a oggi la penetrazione di SPID come elemento di autenticazione è davvero modesta.
Ecco quindi che eIDAS introduce una serie di novità e di servizi fiduciari, come gli attributi (ad esempio, l’essere maggiorenne o il luogo di residenza) e le attestazioni (pensiamo ai titoli di studio) che permetteranno al cittadino di “qualificarsi” presso i fornitori di servizi privati. Semplificandogli parecchio la vita, ad esempio per aprire un conto corrente presso una banca estera dimostrando di avere superato i processi di KYC e AML presso una banca italiana. E viceversa, ovviamente.
Il controllo al cittadino
Un aspetto fondamentale del wallet EuDI riguarda la sicurezza e il controllo dei dati, che non devono poter essere utilizzati per analisi comportamentali, ad esempio. Per l’Italia, viene dato per scontato che il ruolo di wallet EuDI sarà ricoperto da un’evoluzione dell’app IO, che ha conquistato un’ampia fetta della cittadinanza durante il biennio della pandemia. C’è comunque forte attesa per il rilascio del primo prototipo di wallet, che permetterà di saperne di più in tema di sicurezza, di customer experience e, soprattutto, di nuovi business model.
Quali use case?
L’opportunità più evidente sembra essere nell’onboarding dei nuovi clienti e di autenticazione di quelli esistenti, con il vantaggio di rendere più snelli e rapidi molti processi, riducendo i costi per le aziende. Ma le caratteristiche tecnologiche del wallet consentono d'immaginare servizi evoluti e di nuova generazione, basati sulla grande quantità di dati verificati che banche e compagnie assicurative dispongono sui loro clienti.
Dall’identità alla user experience
E l’identità digitale del futuro si intreccia con il secondo driver di sviluppo, cioè l’evoluzione dei processi verso modelli a elevata automazione. Perché un riconoscimento seamless del cliente è il primo passo per una user experience distintiva. E sul tema si sono confrontate aziende dei settori Automotive, Servizi, Energy, Beauty e Banche.
Serve consapevolezza progettuale
Al di là delle differenze specifiche di ogni settore (pensiamo al peso della regolamentazione per banking e utilities), le esperienze di queste aziende hanno alcuni elementi in comune.
Il primo è la necessità di consapevolezza: la tecnologia è un mezzo per raggiungere un obiettivo, non un fine in sé. Ed è quindi essenziale avere le idee molto chiare su quali processi si va a digitalizzare e su come si integreranno con il resto dell’organizzazione.
Attenzione al tempo
Secondo elemento: il fattore tempo è fondamentale. E lo è da due punti di vista. Il primo è la pazienza: i progetti richiedono tempo, così come il cambiamento culturale, e i risultati arrivano con il tempo, non ci vuole fretta.
Il secondo punto di vista è ancora più importante: serve lungimiranza. I tempi di implementazione di alcuni progetti impongono di trasformarsi non per il business di oggi, ma per il modello di business del futuro. Non bisogna rincorrere le tecnologie ma, piuttosto, cercare di anticiparne l’impatto sulle abitudini dei clienti.
L’importanza dello standard
Terzo: servono standard e partnership. La standardizzazione, come nel caso delle API, è essenziale per muoversi in un contesto competitivo che guarda sempre più agli ecosistemi e al mix di prodotti di diverse aziende nel medesimo customer journey, sul modello dell’embedded finance.
E le partnership con altre aziende, sia sul fronte commerciale sia su quello tecnologico, è indispensabile per la continua evoluzione della user experience, in linea con le attese del cliente.
Investire in tempo di crisi
Ultimo elemento in comune: anche in un contesto di crisi, non bisogna smettere d'investire. Gli ultimi anni hanno trasformato lo scenario in cui si muovono le imprese, ma tagliare oggi il budget d'innovazione significa accumulare un ritardo verso i competitor che, quando la crisi sarà superata, potrebbe rivelarsi incolmabile.