Alla fine del 2023, il mercato dell’Internet of Things in Italia valeva 8,9 miliardi. In questi anni, le tecnologie IoT si sono moltiplicate, trovando numerosi ambiti di applicazione. Nella casa, che diventa intelligente, per lo smart building, lo smart metering, la smart factory. Correndo sulle auto dotate di connessione e abilitando il concetto di smart city e così via.
«Questo mercato nel 2015 toccava appena i 2 miliardi – racconta Giulio Salvadori, Direttore degli Osservatori Internet of Things, Connected Vehicle & Mobility e Smart City del Politecnico di Milano – ed è cresciuto in modo esponenziale in otto anni, nonostante alcuni rallentamenti subiti nel 2020, per poi tornare a crescere del 9% anno su anno tra il 2022 e il 2023».
Auto connessa e smart metering: settori da 3 miliardi
I settori IoT che vanno per la maggiore sono principalmente due: l’auto connessa, quindi veicoli dotati di connessione internet e automobili intelligenti, per un valore di circa 1,5 miliardi di euro, e lo smart metering.
«La normativa ha guidato questo mercato, che vale 1,4 miliardi di euro, portando le utility a distribuire contatori connessi per la telelettura e telegestione dei contatori di energia elettrica, gas e acqua – precisa Salvadori. Seguono altri mercati, per valore, come lo smart building (con 1,3 miliardi), le smart city (circa 1 miliardo) e così via. In totale in Italia esistono 140 milioni oggetti connessi, a livello consumer e industriale».
Le assicurazioni avanti, come le Telco
In ambito finance, a cavalcare l’onda dell’internet delle cose sono principalmente le assicurazioni che, rispetto alle banche, sono più avanti nella sperimentazione e nella adozione all’interno dell’offerta di protezione, posizionandosi alla stregua delle Telco.
«Da oltre un decennio le assicurazioni distribuiscono le blackbox, che oggi sono 100 milioni e vengono utilizzate per monitorare lo stile di guida dell’assicurato per calcolare in modo personalizzato il premio assicurativo – commenta Salvadori. Mentre più innovative sono le soluzioni per la smart home, con polizze assicurative basate sui rischi legati alla possibilità di incendi, fumi, allagamenti in casa, tramite la installazione di sensori IoT. Anche se sul mercato non hanno avuto lo stesso successo delle soluzioni per l’Auto. Inoltre, molte compagnie assicurative, come Unipol e Generali, hanno creato delle divisioni dedicate allo sviluppo di servizi che si basano su tecnologie IoT».
Insurtech e altri attori
Sempre in ambito assicurativo, molto diffuse anche grazie all’ingresso delle insurtech sono le polizze instant, che sfruttano una necessità di copertura emergente, sfruttando ad esempio la geolocalizzazione per inviare notifiche push: dallo skipass per andare a sciare fino alla polizza viaggio perché mi trovo già in aeroporto.
«C’è una certa invadenza, dal punto di vista della privacy, ma d’altronde sono i consumatori a dare il loro consenso in cambio di una esperienza personalizzata e istantanea, dal tipico spirito insurtech. Ma, oltre alle classiche compagnie assicurative, si conferma la presenza di altri attori, come ad esempio i produttori delle case automobilistiche – sottolinea Salvadori. Toyota ad esempio distribuisce ai suoi clienti una tecnologia che permette di variare il premio a seconda dello stile di guida e del motore utilizzato sui veicoli ibridi: difatti, il premio cambia se guido in elettrico o con motore a combustione, tenendo conto della maggiore o minore predisposizione a fare incidenti a seconda dello stile di guida».
Modelli pay per use per la banca
Il mondo bancario resta invece indietro. Rischiando di perdere l’occasione di ideare molti use case, sia per il mondo consumer, sia per le piccole e medie imprese, che necessitano di oggetti connessi per innovare l’offerta e ideare nuovi modelli di business per l’erogazione del credito.
«In primis, per abilitare una serie di modelli di business in pay per use, che permettono ad esempio a una impresa di pagare un macchinario sulla base dei pezzi prodotti o delle performance realizzate a livello di fatturato – illustra Salvadori. È una innovazione sostenibile, ma servirebbe che la banca agganciasse il piano di credito ai dati raccolti con dispositivi IoT, andando oltre l’analisi finanziaria per la concessione dei finanziamenti.
Anche nel mondo consumer il modello pay per use potrebbe avere applicazioni: ad esempio per pagare una lavatrice sulla base del ciclo di lavaggi fatti. Haier ha già lanciato una funzionalità che segue questa logica, per rateizzare gli acquisti sulla base del reale utilizzo monitorato dai sensori connessi».
I dati potenzieranno il mercato IoT
La chiave di volta saranno i dati. Utili alle banche per ideare soluzioni innovative per aziende e PMI, e alle assicurazioni per trovare nuove soluzioni di protezione che si basano sulla raccolta dei dati di salute degli assicurati, ambiti dove c’è ampio margine di crescita.
«Inoltre – continua Salvadori –, la normativa aiuterà a spingere il mercato IoT andando a superare alcuni ostacoli relativi alla privacy, permettendo ai consumatori di richiedere l’accesso ai dati monitorati e alle imprese di cambiare banche e assicurazioni riprendendosi le informazioni raccolte, arginando il rischio lock-in dei fornitori».
Due ostacoli: l’interoperabilità e la cultura
Tuttavia, resta un problema di interoperabilità nell’ecosistema dell’internet delle cose: esistono più sistemi, di numerose aziende, e alla fine fanno fatica a dialogare tra loro, a leggere i dati, a ricorrere a un unico formato e comunicare tra dispositivi di brand differenti.
«Tutto ciò limita i progetti di più attori, perché il modello pay per use richiede comunque la presenza di un fornitore di servizi, di qualcuno che si occupa dell’analisi del dato, del produttore del macchinario che integra il dispositivo connesso e appunto della banca – precisa Salvadori. E questo vale sia per il mondo consumer sia corporate.
Ma persiste una ritrosia culturale che frena la condivisione delle informazioni sui numerosi clienti, tra più attori, che non vogliono perdere il contatto con il cliente e rischiare, penalizzando infine il consumatore, che ha meno servizi, più basici e poco interoperabili».
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di dicembre 2024 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop.