Via libera alla riforma del sistema Credito Cooperativo. A vincere è il modello del Gruppo unico, ma alle singole BCC resta la possibilità di scegliere la strada dell’autonomia e staccarsi dalla holding unica. A capeggiare nel modello di integrazione previsto dal decreto sono ICCREA Holding e Cassa Centrale Banca, che diventeranno il nuovo veicolo di controllo del sistema con un patrimonio complessivo di 1,7 miliardi.
Una capogruppo Spa
L’autoriforma delle BCC prevede quindi la costituzione di una Capogruppo in forma di Spa e dotata di licenza bancaria. Il capitale sarà detenuto in misura maggioritaria dalle BCC, così da assicurare un controllo a livello azionario delle stesse banche che la holding deve vigilare e controllare, con un capitale sociale non inferiore al miliardo di euro. Diversi i poteri della Capogruppo: possibilità di definire gli indirizzi strategici, forte influenza sulle banche aderenti così da rispettare i requisiti prudenziali, ma anche il diritto di nominare oppure opporsi alla nomina di uno o più Consiglieri di Amministrazione fino al concorrere della maggioranza delle BCC. Inoltre, per mettere a fattor comune il patrimonio del Credito Cooperativo, il contratto di adesione alla Capogruppo prevede la garanzia in solido delle obbligazioni assunte sia dalla holding, sia dalla banche aderenti.
18 mesi di tempo
Il decreto concede 18 mesi dall’emanazione dei regolamenti di Bankitalia per trasmettere il contratto di coesione ma il nuovo Gruppo, che sarebbe tra i più patrimonializzati in Italia grazie a una dotazione di 19-20 miliardi, potrebbe vedere la luce già nell’ultimo trimestre dell’anno: la bozza del nuovo contratto di coesione, composta da 40 articoli, è infatti già pronta.
Chi uscirà dalla holding?
Ma le 364 banche del sistema Credito Cooperativo potranno anche scegliere la via del “way out”, aperta a chi non voglia aderire alla nuova holding, a patto di contare su una soglia patrimoniale (conta il patrimonio netto, non le riserve) pari a 200 milioni, esser pronta a versare una imposta straordinaria del 20% sulle stesse riserve e trasformarsi in una Società per azioni. Le BCC che potrebbero scegliere la via d’uscita sono una decina, secondo il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e, tra queste, le voci più decise provengono dal sistema di BCC del Gruppo Cabel, in Toscana, dalla BCC di Bologna e da Cassa Padana che, insieme a Chianti Banca, presenta un patrimonio superiore ai 200 milioni, oltre a qualche banca del sud. Senza dimenticare la prima BCC per patrimonio: quella di Roma, con oltre 700 milioni di euro, che tuttavia non ha mostrato segnali di dissenso. E il gruppo delle BCC altoatesine, ovvero il Gruppo Raiffeisen che ha scelto di rimanere autonomo. Conti alla mano, se le banche citate dovessero uscire (a eccezione di Roma), l’impatto sul patrimonio della nuova holding sarebbe di un miliardo in meno rispetto ai 20 miliardi detenuti oggi dalle BCC.
Fusioni e aumenti di capitale in vista
Insomma, il decreto legge sta portando le BCC di fronte a un aut aut: scegliere di aderire alla nuova holding, perdendo una parte di autonomia, oppure rimanere a sé stanti ma abbandonare la veste di mutualità per diventare una Spa. Un percorso, quello del way out, che potrebbe richiedere alle piccole BCC, non in possesso di un patrimonio all’altezza, di ricorrere a fusioni e aumenti di capitale per mantenere la loro tanto proclamata autonomia, come afferma anche il Presidente della Cooperazione Trentina Giorgio Fracalossi.
Il commento di Federcasse
Federcasse, naturalmente, è contraria all’uscita delle banche dalla nuova holding. Definendola una azione che «va nel senso contrario rispetto a quello ufficialmente perseguito, in quanto favorisce la frammentazione bancaria e finisce con lo scoraggiare il fare banca con finalità mutualistiche, indebolendo di fatto la “coerenza cooperativa” dell’intero sistema», si legge in una nota.
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