PSD2: il Business è coinvolto da ora

PSD2 open banking cetif

Un primo punto sulla PDS2 era l’obiettivo dell’incontro del 24 marzo scorso del’HUB di ricerca sui Digital Payments del CeTIF.

 

Al centro del dibattito il tema “PSD2 is on: TPPs and new services”. Carlo La Rosa, Research Manager, ci racconta che cosa è emerso dal confronto.

Domanda. Carlo, nonostante il grace period possiamo già iniziare a fare qualche considerazione sulla PSD2. Che cosa è emerso dal dibattito?
R. Abbiamo iniziato a valutare, sia dal punto di vista diretto delle banche sia con l’analisi di use case internazionali, il tema di AISP e PISP: quali sono le reali opportunità sul mercato? E come avviare il passaggio verso un modello di open banking?

D. Già: come?
R. Innanzitutto, abbiamo fatto una mappatura delle iniziative ecosistemiche a livello europeo, in cui l’Italia è ben presente. Abbiamo individuato quattro cluster, diciamo quattro macromodelli. Il primo sono le strutture interbancarie, come CBI Globe. Il secondo le iniziative private possedute da banche, come Fabrick. Un terzo modello sono le iniziative private ma non possedute da banche, e qui il riferimento è Open Banking in UK. Un quarto modello sono le iniziative ecosistemiche come la STET in Francia. Successivamente abbiamo individuato in quali processi e servizi queste iniziative possono portare valore aggiunto alle banche e ai clienti finali.

D. Questi primi mesi di PSD2 sono andati secondo le attese?
R. In estrema sintesi, dal nostro tavolo emerge che durante il grace period le banche stanno sì perfezionando gli aspetti inerenti alla compliance, tanto che ormai anche sulla strong customer authentication sono quasi tutte pronte, ma anche avviando nuove opportunità di business. In generale, si vuole aumentare il presidio della banca nell’esperienza di acquisto del cliente. Il pagamento non è il punto conclusivo dell’acquisto di un prodotto, ma il punto di accesso a nuovi servizi. 

D. Restiamo sulla PSD2 in senso stretto e sui due modelli: AISP e PISP. Come vengono valutati dalle banche?

R. Abbiamo proposto alle banche una serie di use case, chiedendo loro quali sono concretamente utilizzati e quali invece no, ma anche quale sia il valore di ciascuno per il cliente e per la banca. In generale, per l’AISP il principale beneficio trasmesso e comunicato al cliente è l’aggregazione di spese, movimenti e così via, con funzionalità di base di analisi della spesa.

D. E gli use case più sofisticati per i clienti privati e soprattutto per le imprese?
R. Al momento le banche vedono un ostacolo principale: l’utilizzo e la comprensione da parte del cliente. Si pensa soprattutto ad arricchire il portafoglio di servizi che abbiano immediata utilità, mentre strumenti come la previsione delle spese future non vengono ritenuti elemento di competizione con altre banche in quanto già largamente diffuso come servizio. Vale anche sul fronte Corporate: le grandi imprese dispongono già di strumenti per avere una visione completa delle attività e dei depositi presso le banche. Su questo tema diventa molto più interessante l’integrazione con ERP e altri applicativi aziendali.

D. Passiamo ai PISP, allora.
R. Lato retail banking non si riscontrano particolari driver di valore per il cliente. Ci sono invece molti spunti di arricchimento dei servizi nella collaborazione con soggetti terzi, in ottica ecosistemica, soprattutto con realtà non finanziarie. Un esempio è quello delle banche americane che permettono di pagare istantaneamente le corse con Uber: la collaborazione con un’azienda innovativa non arricchisce in senso stretto il portafoglio di servizi, ma permette di mantenere il presidio sull’esperienza del cliente. C’è inoltre molto interesse anche per l’integrazione con soggetti extrafinanziari, come Telco o Utilities.

D. E questi sono gli scenari futuri. Ma, a oggi, quanto vengono concretamente usate le API esposte dalle banche?
R. Il numero di chiamate alle API è relativamente contenuto, poche migliaia di fronte a decine e decine di milioni di clienti bancari italiani. Ma anche i servizi attualmente disponibili non sono poi così numerosi e non c’è stata ancora una massiccia comunicazione ai clienti da parte dei player coinvolti. Per ora le banche hanno lavorato su compliance e IT, la parte Business sta iniziando a vedere nuovi scenari su questi temi.

D. Oltre alle piattaforme di open banking, si stanno affacciando sul mercato anche altre piattaforme collaborative. Come dobbiamo immaginarci lo scenario di mercato prossimamente?
R. Oggi vediamo alcuni player che permettono una contaminazione tra attori diversi, generando valore concreto. E questo è interamente utile. Ben vengano, quindi, nuove piattaforme e la collaborazione tra di esse. Oggi ci sono banche native digitali costruite quasi interamente su piattaforme esterne: come centro di ricerca possiamo immaginare un futuro prossimo in cui aprire una banca, dal punto di vista tecnologico, sia un’operazione agevole, che permetta di focalizzarsi sul business e non sulle infrastrutture.