Paylab X. Quanto costa il P2P?

Interoperabilità, pricing e capacità di aggredire nuovi mercati. Sono i tre ambiti di discussione che gravitano attorno al P2P: soluzione che ha visto gli albori nel 2015, grazie al lancio commerciale delle app per il mercato italiano create da SIA e ICBPI e che nel 2016 si potrebbe spogliare della veste di prova inaugurata da alcune banche italiane per diventare un servizio a pagamento.

I due player italiani...

BoniNumeri alla mano, il P2P sembra poter contare su una ottima base di clientela: Jiffy, il servizio di SIA sviluppato in collaborazione con GFT, è offerto ai clienti di «13 gruppi bancari – afferma Gabriele Boni, Direttore Divisione Financial Institutions di SIA –, per un totale di circa 50 banche aderenti, e centinaia di migliaia di utenti attivi». Mentre in merito a ZAC, il servizio offerto da ICBPI, «è disponibile come soluzione da integrare all’interno dei wallet bancari di tutti gli istituti di credito che si appoggiano alla banca di II livello. MySi (app di CartaSi specializzata per i pagamenti sia card present che card not present) integrerà invece la funzionalità “Conto MySi” CartaSi – spiega Raffaele Sandroni, Direzione Business Development e Innovazione di CartaSi – e sarà messa a disposizione di tutti i clienti. Vogliamo estendere il servizio di P2P con questa funzionalità che permetterà trasferimenti di denaro in modalità “real time” tra utenti registrati ai Pagamenti MySi con Conto MySi attivo o fra utenti con MySi attivo e utenti registrati al servizio ZAC di ICBPI. Aumenteremo l’usabilità del servizio grazie all’interoperabilità fra wallet, con l’obiettivo di permettere agli utenti di trasferire importi tra wallet e clienti di diverse banche, a prescindere dalla applicazione utilizzata».

... e il confronto con gli OTT

Portale
Perché l’interoperabilità è un fattore preponderante per il successo del peer-to-peer italiano, soprattutto per via della concorrenza con i tanti player OTT che hanno già attivato, o sono in direttiva di avviare, servizi analoghi: dallo “storico” PayPal, al software di posta di Mountain View (per ora attivo solo negli Stati Uniti e in Inghilterra), passando anche per Whatsapp, WeChat e Messenger di Facebook. «Ma anche altre startup nazionali, come Satispay – ricorda Valeria Portale, Researcher del Politecnico di Milano –, oppure il servizio Chat & Cash di Banco Popolare, un’applicazione per scambiare, fra un’immagine e un messaggio, un massimo di 120 euro quotidiani, anche tra più persone. Bisogna riconoscere però che l’Italia si sta muovendo d’anticipo, soprattutto prima dell’entrata in vigore della nuova Direttiva sui pagamenti (PSD 2), dimostrando che c’è un forte interesse in Italia, oltre che a livello internazionale, verso questi nuovi metodi di pagamento».

Il P2P entra nel wallet

Intanto, il trasferimento di fondi in peer-to-peer sta conquistando i wallet bancari. «Il P2P ha quindi trovato posto nel nostro nuovo wallet – commenta Roberto De Agostini, Project Manager Mobile Payments di Banca Mediolanum – portando con sé una serie di novità anche nella user experience offerta alla clientela, come ad esempio la possibilità di autorizzare l’invio didenaro in modo semplice, tramite l’impronta digitale».

E se fosse una bolla?

SquarciaBen venga, quindi, la possibilità di scambiare piccole somme di denaro tra utenti anche di banche diverse. Ma una volta terminato il periodo di prova gratuito offerto da alcune banche il servizio continuerà ad attrarre ancora l’interesse degli utenti? Il fenomeno potrebbe sgonfiarsi all’improvviso. «La vera sfida consisterà nell’offrire un modello di pricing (commissione, abbonamento, etc.) in grado di mantenere il servizio appeal anche al termine del periodo di prova gratuito – sostiene Paola Squarcia, Responsabile del progetto Mobile Payment di BNL Gruppo BNP Paribas. Potrà essere utile lavorare, inoltre, anche a livello di sistema per rendere più efficace e conveniente l’utilizzo quotidiano di questi moderni strumenti fornendo ai clienti un’adeguata formazione».

Il prezzo? Nel canone o a operazione

Bisogna però capire da dove partire per elaborare il giusto pricing del P2P. «Si potrebbe integrare il prezzo del servizio già nel canone del conto corrente o nel contratto di multicanalità –Pacileo esemplifica Francesco Pacileo, Responsabile multicanalità e servizi innovativi di Banca Popolare di Vicenza – ma bisognerebbe capire quante transazioni, e di quale importo, esegue in media il cliente, per non incorrere nella proposizione di una soluzione che alla fine risulti poco conveniente. Oppure pensare a un costo forfettario a operazione, includendo un numero di trasferimenti gratuiti. O ancora ispirarci ad altri modelli di servizio come quello di MyBank, e ampliare l’ambito di utilizzo del P2P (come fatto anche da Widiba) per consentire ai clienti di utilizzarlo al posto del bonifico online: e ancora una volta il problema è capire quale prezzo stabilire».

Il modello a quattro parti...

La standardizzazione del pricing è il risultato della partecipazione di più attori. È quanto fa notare Master- Card, sulla base delle esperienze e sperimentazioni effettuate a livello internazionale sul P2P. «Gli standard già esistenti all’estero per il peerto-peer tra le carte di pagamento, ad esempio per i prodotti di debito – conferma Massimiliano Gallo, Head of Acceptance Development & Merchant Engagement Italy & Greece di MasterCard – sono stati realizzati attraverso un modello a quattro parti, che prevede quindi il coinvolgimento di issuer, acquirer, card holder e merchant».

... e la figura del merchant

Ed ecco che nel P2P appare un’altra figura: quella del commerciante. «Perché per la sua definitiva affermazione, bisogna superare l’idea che il peer-to-peer sia uno strumento prettamente consumer e pensato unicamente per lo scambio di denaro tra privati – sottolinea De Agostini. Bisogna piuttosto allargare i casi d’uso e rendere il servizio uno strumento di pagamento completo, che permetta anche di pagare i commercianti o i professionisti, oppure anche la P.A. (per esempio le tasse scolastiche). Una estensione dal P2P al P2B, che tocca anche il P2G (Person-to-Government). Solo in questo modo potremo essere una alternativa concreta ai grandi player OTT, come PayPal».

SIA pronta ai test del P2B

Una prospettiva non così lontana, dato che SIA ha già iniziato la sperimentazione del P2B con qualche primo esercente. «Prevediamo un‘evoluzione di Jiffy – continua Boni – ad esempio, per estendere il servizio di pagamento anche tra conti correnti e carte e tra le stesse carte di pagamento, affiancando il P2B ai mobile proximity payments con HCE o ai mobile remote payments». «Sicuramente – prosegue Squarcia – sarà necessario fare delle analisi approfondite sui settori merceologici che potranno ottenere maggiori benefici da questo servizio e, soprattutto, capire il reale interesse del merchant a dotarsi di una app per accettare i micropagamenti quando utilizza già un POS, un mobile POS, un registratore di cassa online, etc.». Inoltre, come precisa Pacileo, «con il P2B si capovolgerebbe anche l’onere del pricing che, invece di ricadere sul consumatore, finirebbe per diventare, come tutti i sistemi di incasso, un costo a carico del merchant, anche se probabilmente si troverebbe alleggerito dalle commissioni previste dai circuiti». «O forse – aggiunge Luciano Cavazzana, Presidente e Amministratore Delegato di Ingenico Italia –, si potrebbe pensare a un modello Person-to-POS, così da non ledere il modello a quattro parti e non imporre al merchant ulteriori costi di struttura».
 
IL BUONO PASTO ENTRA NEL BORSELLINO ELETTRONICO
BacciNel wallet, oltre ai servizi di P2P, trovano posto anche i buoni pasto. Dematerializzati, naturalmente, con benefici soprattutto per i consumatori che utilizzano i ticket. «È dal 1994 che abbiamo iniziato il nostro percorso di virtualizzazione dei voucher su una carta – racconta Antonio Bacci, CIO di Edenred Italia – il servizio è cresciuto negli anni e, da quest’anno, grazie agli incentivi introdotti a dicembre con la Legge di Stabilità e validi a partire dal primo luglio, si concretizza in importanti vantaggi di defiscalizzazione per le aziende che offrono ai propri dipendenti i ticket dematerializzati. Inoltre, abbiamo recentemente introdotto un ulteriore elemento di innovazione che consiste in una app mobile su cui virtualizzare la carta e pagare quindi direttamente al POS. Il buono pasto elettronico sta sempre più diventando una realtà grazie a una infrastruttura di accettazione preesistente di qualità che, con i piccoli, è rappresentata dalla nostra rete di POS proprietari e con la grande distribuzione viene risolta attraverso un progetto di integrazione diretta con le casse dei punti vendita. I piccoli esercenti food continuano a essere un target poco penetrato dal POS bancario, è per questo motivo che abbiamo creato una nostra infrastruttura collegata a un POS con i nostri servizi di base, unico modo fino a oggi per aggredire un mercato poco penetrato dal punto di vista della moneta elettronica. Adesso però guardiamo al multiservizio, quindi alla possibilità di abilitare presso questi esercenti tutti i pagamenti di moneta elettronica, facendo leva sull’obbligo dettato dal Decreto Legge sulla fiscalità». I servizi che gravitano attorno al ticket Ha portato il buono pasto nel wallet anche QUI Group!: «un ticket elettronico e defiscalizzato – aggiunge Fabio Impedovo, Senior Consultant di QUI Group! – attorno a cui vogliamo costruire una serie di servizi a valore aggiunto da integrare direttamente nel wallet: carte dematerializzate, cash back ma anche dare la possibilità ai clienti di acquistare dalla app coupon utilizzando le carte di pagamento virtualizzate, oppure abilitare il passaggio “P2P” di denaro o virtual coin tra carta e carta».