La banca del futuro e l’approccio Open

Al workshop “Open Unlocks the Banking potential”, organizzato da AziendaBanca in collaborazione con Red Hat, si è parlato di come l’approccio “open” è destinato a cambiare il banking: dall’inizio dell’open banking all’open source, con l’apertura al contributo delle community, la collaborazione è una delle parole chiave dei prossimi anni. Tenendo ben presente il tema della sicurezza. AziendaBanca RedHat Open banking WS

Apertura e collaborazione sono la migliore risposta alla disruption portata da FinTech e BigTech. Mentre si apre l’era dell’Open Banking, AziendaBanca ha organizzato, in collaborazione con Red Hat, l’evento “Open Unlocks the Banking potential” per capire come l’approccio Open, declinato nelle sue tante sfaccettature, possa aiutare a costruire la banca del futuro. Una banca con servizi rinnovati, costi ridotti, approccio lean e agile per continuare a operare in un contesto in cui la PSD2 aumenterà la competizione. L’attivazione di sinergie e la ricerca del dialogo con realtà esterne sono essenziali per introdurre in azienda spunti innovativi: dal FinTech alle tecnologie Open Source.

Open source e API

L’evento si è aperto con lo scenario tracciato da Tim Hooley, Chief Technology Emea FSI di Red Hat, che ha sottolineato come le tecnologie open source stiano già contribuendo ad accelerare l’innovazione di diverse banche europee. «Molti leader dei servizi finanziari, impegnati nel tentativo di conciliare la valorizzazione della customer experience e la necessità di rendere le loro organizzazioni più snelle, stanno via via acquisendo maggior consapevolezza circa il fatto che l’open source possa incrementare la produttività degli sviluppatori. Nel contempo stanno prendendo atto del fatto che le tradizionali fonti di vantaggio competitivo non possono più essere sostenute. Al contrario invece, le tecnologie open source possono fornire nuovi vantaggi tra cui ad esempio una riduzione del time to market. Le open API rappresentano poi un meccanismo consolidato e accettato per abilitare ecosistemi e già oggi alcuni leader hanno rivisitato le loro strategie in questa direzione, tra cui ad esempio BBVA, Nordea, e la DBS Bank di Singapore. Il software open source non solo infatti consente di avere a disposizione un software costantemente aggiornato e, pertanto, un codice migliore, ma anche una minore dipendenza dai software vendor. La Fintech Open Source Foundation, un’associazione no profit che promuove l’innovazione open nei servizi finanziari, vede crescere il numero di realtà aderenti impegnate a sviluppare progetti condivisi, tra cui JP Morgan e Morgan Stanley, a dimostrazione che da parte dei grandi player vi è non solo un’attenzione crescente per iniziative in grado di generare innovazione ma anche la disponibilità a condividerla».

Work in progress nelle banche europee

Secondo Ludovic Tran, Managing Director Banking Practice Lead in Francia di Accenture, nel tentativo di conciliare un miglioramento della value proposition con una crescita profittevole, le banche europee hanno già individuato dei modelli di servizio in cui tradurre le opportunità offerte dalla tecnologia open in servizi rivolti al cliente finale. «Il concetto di “apertura”, in termini di business e di IT, non è nuovo in quanto tale ma ha già investito settori diversi da quello finanziario, tra cui ad esempio quello turistico con Expedia. L’open banking sta trasformando in profondità gli standard bancari e anche in vista dell’entrata in vigore della PSD2 stanno emergendo due diversi tipi di posizionamento, quello di banca come piattaforma e quello di banca come servizio. BBVA ha utilizzato un approccio di banca come servizio e facendo leva sulle open API è riuscita a mettere a punto una serie di iniziative di marketing. In veste di piattaforma aperta, ha messo a disposizione non solo dei suoi clienti, ma anche della più ampia platea di potenziali utenti interessati, una serie di mobile app tra cui BBVA Baby Planner, BBVA Valora, che consente al singolo privato, rispettivamente, di accede a servizi per la cura del bambino (nursey, pediatri …) e non solo di cercare un immobile ma anche di individuare negozi e servizi disponibili nell’area prescelta. Agli e-merchant, invece, la banca spagnola ha offerto la possibilità di offrire prestiti pre-autorizzati ai propri clienti in modo tale da rendere il prodotto di finanziamento disponibile immediatamente nel momento in cui è il cliente a chiederlo. Il gruppo ING ha scelto invece di adottare un modello di piattaforma in grado di fornire servizi a 360° agli imprenditori, dai piccoli operatori fino alle imprese corporate. Ma le soluzioni e i modelli adottati possono essere molto eterogenei: Deutsche Bank ad esempio, in collaborazione con IATA, l’International Air Transport Association, sta sviluppando una soluzione di pagamento dedicata all’acquisto dei biglietti, alternativa ai circuiti delle carte di credito».

Il caso italiano: Cerved e il Fintech District

A raccontare l’esperienza di open innovation maturata da Cerved in collaborazione con il FinTech District è stato Corrado Chiodi di Cerved, affiancato da Alessandro Longoni, Head of FinTech District, che ha illustrato il ruolo di motore per l’innovazione svolto dalla community che ha sede a Milano. «Il Fin- Tech District è una comunità aperta di startup diventata emblema del FinTech a Milano e in Italia. Abbiamo sede presso l’edificio Copernico Isola for S32 e veniamo spesso identificati con questo palazzo ma il perimetro delle nostre iniziative è di gran lunga più ampio, dato che il nostro obiettivo è quello di rappresentare un gateway per l’innovazione ed essere in Italia il team di riferimento con cui co-creare con le startup. Nel nostro ecosistema partecipano anche investitori, professionisti, imprese corporate e financial institutions. A distanza di un anno dal lancio della nostra iniziativa tutti i principali FinTech hub internazionali hanno deciso di stendere con noi accordi di collaborazione basati su una logica di grande apertura, grazie ai quali oggi possiamo avere uno continuo scambio opportunità, e non solo, a beneficio di tutti i membri delle nostre community. La comunità di startup è attualmente composta da 111 realtà, che hanno già in Italia almeno una sede operativa e un progetto già avviato, e che fanno riferimento a diversi ambiti operativi tra cui quelli degli smart payments, dell’artificial intelligence e della blockchain».

Il progetto lanciato con Cerved, ribattezzato Data Driven Competition, ha visto l’adesione di più di 50 realtà che per circa due mesi e mezzo hanno avuto libero accesso alle API messe a disposizione da Cerved per sviluppare nuovi casi d’uso in grado di generare valore a partire dal suo patrimonio informativo. Al termine della competizione sono stati selezionati cinque finalisti. Nel dettaglio, a contendersi il primo premio di 10mila euro messo in palio da Cerved sono state le società: Cardo, che ha sviluppato una piattaforma per l’anticipo fatture dedicata agli investitori istituzionali; Ecomate, che facendo leva su algoritmi di intelligenza artificiale ha messo a punto uno scoring di sostenibilità; Moneymour che si è focalizzata sull’elaborazione di una valutazione istantanea per l’erogazione di finanziamenti ai clienti di siti di e-commerce; Studiomapp che ha definito un sistema in grado di effettuare una valutazione sulla qualità di vita delle aree urbane sulla base della presenza di servizi; e 200Crowd un sistema che aiuta le startup a ad avviare round di finanziamento. «A valutare le idee che sono state sviluppate nel corso della competition è stata una giuria composta da persone di Cerved e da partner provenienti da Vodafone e dalla piattaforma di open banking Fabrick – ha precisato Corrado Chiodi, Business Development Manager Corporate di Cerved.

I criteri utilizzati per la valutazione dei progetti sono stati tre: l’integrazione con i dati Cerved, il livello di innovazione del caso d’uso e il potenziale commerciale. A vincere la competizione è stata Cardo, la piattaforma che aiuta gli investitori istituzionali a scegliere tra gli investimenti alternativi tra cui l’anticipo fatture, il P2P lending, e il Real Estate Crowdfunding. Tre le motivazioni che hanno portato a questa scelta: l’elevata sinergia con i dati Cerved, il livello di innovazione e il grande potenziale commerciale. A guidarci nella scelta di lanciare questa competition sono stati diversi stimoli: volevamo sia ricevere un feedback sulla nostra API platform da parte delle FinTech, e i risultati sono stati estremamente positivi, sia stimolare la creazione di nuovi casi d’uso. Ma al di là della competitizione in quanto tale, siamo riusciti a creare una serie di iniziative: le startup che hanno utilizzato i dati Cerved nel corso della competition stanno ora cercando di utilizzare il know how maturato secondo una logica di “productfication”. Con il vincitore Cardo stiamo cercando di costruire un modello di business integrato andando a integrare completamente il nostro patrimonio informativo sulla piattaforma. Con alcuni finalisti e con altre startup, che hanno partecipato all’iniziativa ma che non sono arrivate in finale, stiamo invece costruendo dei proof of concept per rispondere a esigenze specifiche dei nostri clienti».

Più apertura, più protezione

A una maggiore apertura della banca nei confronti del contesto circostante, può fare da contraltare un’esposizione maggiore ai rischi. Ma più apertura può coordinarsi con più protezione. Come bilanciare quindi costi e opportunità derivanti dall’Open Banking? A descrivere i diversi atteggiamenti delle banche italiane nei confronti del tema è stata Silvia Attanasio, Responsabile della Ricerca di ABI Lab. «Tra i principali nuovi elementi normativi che impattano sui percorsi di trasformazione verso i paradigmi di Open Banking vi sono sia la direttiva europea PSD2, sia il regolamento generale sulla protezione dei dati GDPR. Le due normative a prima vista rappresentano due direttrici di segno opposto, ma sono complementari nel guidare l’apertura verso uno sviluppo che tuteli al contempo i dati del cliente. La PSD2 rappresenta infatti il punto di partenza dell’ecosistema bancario in quanto promuovendo lo sviluppo di un mercato aperto, favorisce la standardizzazione, introducendo più efficaci meccanismi di scambio e trasferimento di informazioni tra i vari attori. Il GDPR indica invece la modalità con cui possono essere costruiti dei presidi di difesa a tutela dei dati personali degli individui, stimolando presidi di governo e una nuova visione più strutturata di rischi. In questo contesto l’IT rappresenta un tassello fondamentale per rafforzare i propri asset distintivi e contemporaneamente sviluppare nuove opportunità».

I tanti modelli di Open Banking

A inizio marzo ABI Lab ha rilevato sia l’andamento dei budget dedicati all’IT, sia quali sono le priorità di investimento. Ne è emerso come il budget sia quasi sempre in crescita per le banche italiane e come tra le priorità si collochi non solo l’investimento in piattaforme di API e Open Banking, e la modernizzazione dei core banking systems, ma anche il rafforzamento della sicurezza, attraverso la mitigazione del rischio cyber e l’identificazione da remoto del cliente. «Come ABI Lab abbiamo definito quali sono gli scenari per l’Open Banking incrociando in uno schema a matrice il parametro del valore assegnato al tema con il grado di apertura. L’esposizione minima, ovvero l’applicazione dei requisiti minimi per essere compliant alla normativa entro la scadenza di settembre, è quella che adotteranno entro il 2019 quasi l’80% delle banche che hanno risposto all’indagine. L’apertura più elevata, che corrisponde all’ingresso di alcune banche nei modelli di business creati da terze parti per cercare di monetizzare la vendita di dati, verrà espressa in progetti concreti nel biennio 2020-2021 dal 58%. L’approccio più sfidante, che è quello di platform business model, verrà messo in campo dal 68% delle banche, ma solo dopo il 2021. L’apertura controllata, basata su consorzi e partnership tra banche o iniziative di sistema caratterizzate da un’elevata aderenza al business model bancario, è quella che verrà adottata dal 47% tra il 2020 e il 2021. Dall’altra parte, tuttavia, l’innovazione appare sempre più connessa alla creazione di ecosistemi in cui partecipano banche, FinTech e attori non finanziari. Ma per far sì che tale collaborazione sia possibile, e che la ricerca delle idee innovative al di fuori della banca si possa tradurre in nuovi servizi dentro la banca, è indispensabile rimuovere alcune barriere che sono in primis di tipo culturale, organizzativo e normativo».

A piccoli passi verso l’open

Fermo restando quindi la progressiva apertura del mondo bancario verso soluzioni open, restano alcuni ostacoli di diversa natura, in parte dovuti sia ai limiti imposti da architetture basate sul mondo legacy, sia in parte per effetto di carenze di competenze sul mercato del lavoro. «In BPER Banca, nonostante il core banking risieda su sistemi mainframe, da qualche anno è iniziata la trasformazione in ottica open dell’enterprise architecture – ha sottolineato Gianvito Martellotta, Responsabile Sistemi Business e Canali di BPER Servizi. La nostra strategia è quella di capire su quali componenti è possibile avviare una trasformazione in ottica open. Stiamo cercando di capire, ma secondo un approccio graduale, dove si può andare a inserire una componente open source, dove testare un progetta pilota, e quale azienda può garantire un livello enterprise su quella componente stessa. Ci stiamo muovendo verso un cloud ibrido in modo tale da utilizzare al meglio la nostra piattaforma di vendita che è basata su OpenShift di Red Hat e su altre componenti Open Source. Per quanto riguarda le risorse umane in grado di gestire un approccio open, c’è un tema di attrattività in particolare per le realtà territoriali e decentrate come la nostra che non possiamo dare per scontata. Ma c’è anche un tema di sviluppo delle risorse interne. Sul percorso del DevOps, ad esempio, abbiamo scelto di ricorrere al training interno. Nel 2018 e nel 2019 abbiamo avviato un programma di e-learning erogato sull’utenza personale di LinkedIn. Su questi temi, tuttavia, è importante anche trasmettere al proprio interno qual è il commitment della banca. In BPER Banca l’attenzione per questi temi è molto elevata: da pochi mesi abbiamo aperto un ufficio di Open Innovation che raccoglie idee di business sia dall’interno, sia dall’esterno, e abbiamo già avviato una collaborazione con Fabrick per definire una strategia in grado di traghettarci verso il modello di Bank as a Platform».

La community è fonte di formazione

La constatazione della necessità di coltivare alcune competenze all’interno della banca è stata condivisa anche da Enrico Ugoletti, Head of IT Governance, Security, Architecture, UBI Sistemi e Servizi. «Anche in UBI Banca l’attuale configurazione dei sistemi informativi fa ancora leva su sistemi di core banking legacy. L’utilizzo del mondo open è invece disegnato intorno alla nostra strategia di hybrid cloud. Stiamo valutando l’utilizzo di tool open nell’ambito del cloud privato e per l’implementazione della metodologia DevOps, con l’obiettivo di estrarne il massimo del valore in termini di efficacia del delivery e riduzione del timeto- market nello sviluppo di nuove capabilities. In tale contesto, è ancora molto difficile reperire sul mercato competenze adeguate per sviluppare questi nuovi paradigmi architetturali; è quindi molto importante che queste nuove competenze siano coltivate all’interno delle istituzioni finanziarie che devono essere in grado di attrarre i migliori talenti. La partecipazione di risorse interne a community open è estremamente rilevante come strumento formativo nell’approcciarsi a queste nuove tecnologie. Come UBI Banca abbiamo anche lanciato nel 2016 una struttura di IT Innovation per costruire un network di relazioni con università, acceleratori e FinTech hub. Lo scanning delle opportunità tra le startup viene costantemente condotto anche con l’obiettivo di acquisire competenze particolarmente distintive e innovative».

L’open source in SIA

«In SIA le applicazioni open source sono già una realtà – ha precisato Daniele Savarè, Direttore Innovation & Business Solutions della società hi-tech europea leader nei servizi e nelle infrastrutture di pagamento. Diverse nostre iniziative di successo sono state sviluppate su tecnologie open source Red Hat come, ad esempio, la piattaforma digitale di open banking, il Payment Hub e una parte dell’infrastruttura per gli instant payment RT1 di EBA Clearing. Si tratta di una scelta precisa che ci permette di beneficiare di soluzioni sempre aggiornate grazie all’apporto della community, oltre a contribuire alla riduzione dei costi. Stiamo, inoltre, valutando di potenziare ulteriormente l’approccio DevOps e adottare il modello hybrid cloud che, in particolare nel mondo dei pagamenti, consente di gestire i picchi dei volumi di transazioni grazie alla scalabilità. In tema di competenze, abbiamo risorse interne che governano le architetture containerizzate e, per progetti specifici, ricorriamo anche all’esterno per attività di programmazione. Stiamo andando verso architetture sempre più sofisticate e complesse rispetto al passato, è fondamentale quindi mantenere una formazione costante delle persone».

Le sfide future

A chiudere il dibattito delineando le sfide da affrontare in questo momento è Massimo Messina, Vice-President ABI Lab. «Fino a qualche anno fa, gli istituti bancari non erano molto confidenti circa la possibilità di utilizzare o meno l’open source sulla base di quanto indicato dalla regolamentazione interna. Oggi, invece, stiamo vivendo la situazione opposta in quanto assistiamo a una forte spinta alla modernizzazione dei sistemi legacy core di banking, di cui l’open source è spesso protagonista. Ci sono due aspetti dell’open source particolarmente rilevanti: l’innovazione nel mondo del software è affidata a una moltitudine di poli estremamente creativi e attrattivi, gli ingenti capitali che gli investitori vi dedicano e le quantità di acquisizioni operate dai grandi player per completare le loro offerte, lo dimostrano. L’altro aspetto che vorrei sottolineare è il positivo atteggiamento verso l’uso industriale del software open source: basti pensare agli elevati livelli qualitativi a cui possono giungere persone che sono in grado di lavorare anche a chilometri di distanza tra loro. Per ovviare alla scarsità di skill si dovrebbero identificare delle risorse interne all’azienda capaci di diventare dei committer all’interno della community in termini di supporto. Risulta chiaro che non è possibile inserire queste figure in tutte le aree, ma solo in quelle strategiche. L’accrescimento degli skill tecnici passa per la gestione e per l’acquisizione di talenti sul mercato, ma anche investendo sulle soft skill, affinché le persone siano in grado di spostarsi di ambito e contrastare l’obsolescenza tecnologica. Questo è evidentemente un problema sociale di “reskill” della forza lavoro oggi attiva in tutti i settori; in altre parole dobbiamo “insegnare a imparare” secondo una logica di apprendimento continuo e dinamico. È possibile avviare collaborazioni proficue tra soggetti per realizzare progetti e servizi in logica open? Sì, e ci sono tanti esempi di aggregazioni efficaci sul mercato, ma la vera difficoltà è trovare il modo per quantificare il valore prodotto».