Open banking: parte la corsa ai nuovi servizi

Open digital banking
La PSD2 offre indicazioni su come abbracciare l’open banking ma senza definire uno “standard” specifico. Per questo motivo, diverse banche hanno optato per una piattaforma non costruita in-house, capace di offrire una maggiore integrazione e flessibilità. E, soprattutto, di creare nuovi servizi.

SIA Daniele SavareTecnologicamente, è praticamente tutto pronto per l’open banking. Nei prossimi mesi, bisognerà soprattutto lavorare su una serie di aspetti necessari a sviluppare servizi di nuova generazione: gli use case, certamente, ma soprattutto la collaborazione tra banche e player di altri settori, innovativi o meno. «L’infrastruttura e la tecnologia ci sono – spiega Daniele Savarè, Direttore Service Line Payments di SIA – adesso è il momento di sviluppare idee valide per costruire servizi per la clientela. La PSD2, però, obbliga le banche a esporre solo i propri conti verso l’esterno. E se tutte gli istituti hanno lavorato su questo aspetto normativo, a oggi solo una minoranza sta portando avanti progetti sulla parte attiva, andando cioè a chiedere ad altre realtà l’accesso ai conti della loro clientela».

La scelta della piattaforma

Già lo scorso autunno SIA aveva annunciato il lancio di una Open Banking Platform per creare un ecosistema che semplifica la compliance alla Direttiva e il dialogo tra banche, FinTech, Pubblica Amministrazione e aziende. «Le banche hanno avuto diverse possibilità per rispettare gli obblighi normativi – conferma Savarè – e se alcune hanno scelto di sviluppare tutto in-house, la maggior parte si è invece affidata alle piattaforme realizzate da partner tecnologici qualificati. I costi di adeguamento, infatti, sono significativi: la PSD2 è una direttiva e dà delle indicazioni dettagliate, ma non fornisce degli standard o dei workflow specifici. Molte realtà fanno riferimento a quelli del Berlin Group ma di fatto, oggi, nei processi interni le banche utilizzano standard diversi. La nostra piattaforma semplifica l’iter di integrazione e abilita tutte le possibili architetture di authentication agevolando un lavoro che, soprattutto per le banche più piccole, sarebbe molto oneroso».

SIA Banking Platform

Oltre la compliance, i servizi

Dopo una prima fase di competizione tra le piattaforme presenti sul mercato, se ne aprirà una di piena collaborazione, come richiesto esplicitamente dal Regolatore. «Ogni banca potrà sempre cambiare fornitore di servizio, come in qualunque altro settore – spiega Savarè. Ma quando l’open banking entrerà nel vivo ci si concentrerà sulla collaborazione e sullo sviluppo degli use case coinvolgendo le direzioni Marketing, Product Management e IT delle banche. La priorità, a quel punto, sarà sulla realizzazione di servizi su misura per la clientela». SIA sta portando sulla Open Banking Platform i servizi già disponibili sul gateway dei pagamenti, ad esempio, «le ricariche telefoniche, o il POS virtuale – prosegue Savarè. Rispetto al gateway tradizionale, la piattaforma di open banking semplifica l’accesso a questi servizi, offrendo anche un unico framework contrattuale. E siamo in contatto con diverse realtà innovative per introdurre ulteriori servizi, dal credit scoring all’instant insurance».

Modularità e competizione

Una delle caratteristiche principali della Open Banking Platform è la modularità che permette a ciascuna banca di scegliere tra i diversi servizi a disposizione per comporre la propria offerta. «Lo standard della piattaforma non limita in alcun modo la competizione tra le banche aderenti – chiarisce Savarè – anzi ci consente di orchestrare un processo che coinvolge più attori in modo trasparente per il cliente finale. Non è la tecnologia a limitare la competitività, quanto piuttosto gli ostacoli culturali e contrattuali. Quanto sono realmente pronte, le banche, a collaborare con realtà esterne e competitor?».

Gli standard ci sono?

«A mancare sono la scelta strategica e, ovviamente, tutto l’aspetto contrattuale – continua Savarè – basti pensare che gli standard del Berlin Group sono utilizzati da quasi tutti i player per operazioni semplici, come il saldo del conto corrente. Ma la roadmap del Gruppo prevede anche molte altre API, relative a servizi bancari non direttamente oggetto della PSD2. Questo significa che gli standard e gli use-case, volendo, esistono già per molte operazioni».

Le grandi banche tra BigTech e TPP

Nel concreto, le opportunità cambiano in base alle caratteristiche della banca. È probabile, ad esempio, che gli istituti maggiori andranno a collaborare con grandi realtà internazionali, oltre che con le BigTech. «Per le grandi banche potrebbe anche rivelarsi vantaggioso esporre API relative a richieste di particolari servizi per una nicchia di clientela – afferma Savarè – in modo che un TPP possa sviluppare una soluzione che soddisfa esigenze specifiche e in modo innovativo. Esigenze che, per la grande banca, sarebbero state troppo onerose da industrializzare autonomamente o non prioritarie».

Le banche locali e le partnership

Molto interessante anche la possibilità, per le banche territoriali, di semplificare le partnership distributive con le cosiddette “fabbriche prodotto”. «Già oggi molti istituti minori collaborano con aziende specializzate in determinati ambiti – conferma Savarè – e distribuiscono così prodotti e servizi che una piccola banca non potrebbe fare in casa con profitto. Queste collaborazioni, oggi, si basano sullo scambio di dati in formati e sistemi proprietari e l’avvicendamento di un partner richiede costi elevati per riprogettare tutto. Con gli standard dell’open banking, invece, dal punto di vista tecnologico l’impatto sarebbe molto più limitato. Al punto da poter immaginare, se i contratti lo permettono, una competizione in tempo reale tra provider diversi su alcuni prodotti. Per una banca locale significherebbe avere l’opportunità di concentrarsi sul territorio e su alcuni prodotti core, sviluppando l’offerta di prodotti specifici in modalità “white label”».

Più facile l’accesso alle FinTech

E poi ci sono le FinTech. Che in una piattaforma come quella di SIA, sottolinea Savarè, «vedono la possibilità di aumentare la loro visibilità e di essere raggiunti. Per certi versi, la piattaforma funziona quasi come un acceleratore. Puntiamo sicuramente ad arricchire l’offerta con FinTech e altri servizi fruibili e sperimentabili in modo rapido. I principi di disegno nell’era delle API prevedono un ampio utilizzo di sandbox, con la possibilità di esporre servizi per verificarne il reale interesse del mercato ed, eventualmente, procedere alla loro industrializzazione, secondo il modello “fail fast” delle startup».

L’incognita OTT

I rischi, semmai, arrivano dai BigTech di cui non va sottovalutata, in particolare, la grande disponibilità finanziaria. «Con la PSD2 vanno esposti tutti gli strumenti di pagamento offerti sull’home banking – conclude Savarè – e questo include anche gli instant payment. Bisogna fare attenzione all’inizializzazione del pagamento: se un OTT, ad esempio una piattaforma di e-commerce, ottenesse l’accesso al conto del cliente, potrebbe estromettere l’acquiring tradizionale e avere l’autorizzazione ad addebitare la merce direttamente al cliente tramite instant payment, ottenendo risparmi importanti sulle commissioni di pagamento. E potrebbe anche rimborsare al cliente il costo del bonifico, ad esempio tramite uno sconto. O, ancora, incentivarlo con coupon in cambio dell’accesso ai dati e al conto, superando anche le naturali resistenze legate ai timori relativi alla privacy e al rischio frodi. Se poi immaginiamo che cosa potrebbe fare il medesimo OTT se incentivasse un’impresa a concedergli l’accesso al conto, credo che sia evidente quanto la concorrenza di questi nuovi attori sia reale».

 

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