La vicenda giudiziaria trae origine dal ricorso presentato da Finecobank Banca Fineco S.p.A. contro l’Agenzia delle Entrate, iscritto al n. 24107/2016 R.G. La controversia riguarda l’accertamento compiuto dalla Direzione regionale della Lombardia dell’Agenzia delle Entrate per l’anno 2007, con cui veniva aumentato il valore della produzione rilevante ai fini IRAP e il volume d’affari soggetto a IVA. Tale atto comportava la conseguente richiesta di pagamento delle imposte ricalcolate e l’irrogazione di sanzioni amministrative per presunte irregolarità nella dichiarazione e nella fatturazione.
L’accertamento contestato si basava essenzialmente su due rilievi: da una parte, la mancata dimostrazione della deducibilità degli interessi passivi corrisposti a un depositante domiciliato in paese a fiscalità privilegiata (rilievo IRAP), e dall’altra, il trattamento IVA dei compensi percepiti da Finecobank per servizi resi alla società Direct Line Insurance s.p.a.
In particolare, l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che tali compensi fossero riferibili ad attività pubblicitaria anziché intermediazione assicurativa, imponendo dunque l’IVA sulle relative prestazioni.
In primo grado, la Commissione tributaria provinciale di Milano aveva annullato l’accertamento a carico di Finecobank. Tuttavia, su appello dell’Agenzia delle Entrate, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 1619/2016, aveva parzialmente riformato la decisione di primo grado, confermando la legittimità dell’accertamento limitatamente alla parte riguardante l’IVA e respingendo l’appello incidentale della Banca. Entrambe le parti, non soddisfatte dalle statuizioni di secondo grado, avevano poi promosso ricorso in Cassazione.
Nel giudizio di legittimità, la Suprema Corte ha approfonditamente vagliato i motivi presentati da Finecobank. La ricorrente lamentava principalmente la violazione del diritto al contraddittorio preventivo nei procedimenti tributari, la mancata tutela del legittimo affidamento e l’erronea qualificazione delle prestazioni ai fini dell’esenzione IVA per intermediazione assicurativa. Venivano, inoltre, proposti motivi riferiti alla disapplicazione delle sanzioni amministrative e all’invocata applicazione della normativa sopravvenuta più favorevole (lex mitior).
La Corte ha ritenuto infondati o inammissibili tutti i motivi. In particolare, riguardo al contraddittorio preventivo, si è esclusa ogni lesione considerato che Finecobank non aveva fornito la prova di un concreto pregiudizio difensivo. Quanto al legittimo affidamento, la Suprema Corte ha chiarito che la sola esistenza di una precedente erronea valutazione da parte dell’Amministrazione finanziaria non integra in sé tale tutela, a meno di specifiche indicazioni fuorvianti dell’Amministrazione stessa. Sui rilievi IVA, la Corte ha sposato la lettura restrittiva della normativa unionale sulle esenzioni ribadendo che i servizi resi da Finecobank non presentavano le caratteristiche proprie dell’intermediazione assicurativa.
Rispetto alle sanzioni, è stato evidenziato che l’Agenzia aveva già spontaneamente ridotto la sanzione nella misura prevista ratione temporis e che la successiva normativa più favorevole non trovava applicazione retroattiva per espressa previsione di legge, in linea con la disciplina costituzionale e comunitaria. La Corte di Cassazione ha dunque rigettato il ricorso di Finecobank, condannandola al pagamento delle spese di lite e stabilendo altresì il versamento del contributo unificato. La pronuncia conferma, sul piano giuridico ed economico, la legittimità dell’accertamento IVA operato a carico della Banca per il periodo di imposta 2007, con mantenimento delle relative conseguenze sanzionatorie.
Professionisti coinvolti nell'operazione: Escalar Gabriele - Escalar e Associati;
Studi Legali: Escalar e Associati;
Clienti: Fineco Bank;