Gli investimenti Cattolici, a un anno dalle linee guida CEI

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Diversificazione dei portafogli e dei prodotti, per rispondere a una domanda in crescita. Sono le principali sfide degli “investimenti ESG Cattolici”, presentati in un webinar organizzato da Nummus e dall’Altis dell’Università Cattolica.

Una riflessione importante, quella del settore, perché è passato un anno dalle Linee Guida della CEI, che hanno fornito la visione della Dottrina sul tema dell’ESG e dell’impatto. Dove investire per essere certi che il proprio denaro alimenti uno sviluppo sostenibile ed etico? Al webinar hanno partecipato 10 gestori: abbiamo selezionato alcuni interventi su temi che ci sembrano particolarmente rilevanti:

  • serve maggiore differenziazione di asset class ed esposizione settoriale (e, probabilmente, anche geografica);
  • non esiste alcun sacrificio etico: si possono unire rendimento finanziario e impatto positivo;
  • la domanda di mercato esiste, ma è differenziata e si pongono sfide inedite per gli investitori enti religiosi.

Dalla teoria alla pratica

Il primo punto, quello sulla differenziazione del portafoglio, deriva dal primo passo che tutti gestori hanno dovuto compiere dopo la pubblicazione delle Linee Guida. Cioè: come tradurle in pratica? «Il terreno in JP Morgan era fertile per questi temi – ha raccontato Nicolao De Nobili, Managing Director di JPMorgan – perché la banca sta abbracciando i criteri di sostenibilità a livello globale. Nella traduzione concreta delle linee, con il supporto di Nummus, abbiamo coinvolto team sparsi nel mondo per analizzare la fattibilità di un portafoglio di questo tipo, dagli aspetti di risk management a quelli di investimento. Ci siamo chiesti, ad esempio, se fosse possibile mantenere una buona diversificazione geografica e settoriale. Vogliamo essere un partner di lungo termine in questo percorso: stiamo lavorando per andare oltre la classe azionaria e arrivare a portafogli multi asset class e a reddito fisso. E penso che questa esperienza si estenderà ai colleghi attivi negli altri Paesi europei».

Analoga anche la posizione di Massimo Cagliero, Amministratore Delegato di Banor, che ha raccontato di essere stato «coinvolto, come membro laico, nella redazione del documento sui Principi di Investimento della Chiesa Cattolica. E ho avvertito una profonda differenza tra la stesura del documento e quando, in Banor SIM, ho dovuto mettere a terra quanto scritto, concretizzare quei principi di investimento. E questo nonostante un lavoro di anni con la finanza religiosa».

Diversificazione settoriale

Cagliero ha anche esplicitato un tema già introdotto da De Nobili, cioè quello della diversificazione settoriale (e non solo multi asset) all’interno dei portafogli di investimento. «La sfida è arrivare a un asset allocation davvero completa – ha sottolineato – perché ci sono settori che in modo naturale rispettano i Principi di Investimento con maggiore facilità. Oggi l’Oil and Gas, ad esempio, oppure il Farmaceutico, sono più facilmente esclusi. Anche l’ETF quotato in Italia e che segue i Principi contiene molti titoli tecnologici». Da qui la necessità di un ente certificatore, che osservi da vicino le performance delle singole aziende.

L’investitore vuole conoscere l’impatto

Anche perché gli investimenti in linea con i principi della dottrina Cattolica rientrano nell’ambito più ampio, e in forte crescita, degli investimenti ESG. Anzi, si collocano nella loro versione più avanzata, cioè gli investimenti a impatto. «Noi siamo specializzati in impact investing – ha premesso Stefano Mach, Cofondatore e CEO di Impact SIM – e i criteri CEI vanno certamente in quella direzione. Oggi molti clienti, prima di investire, vogliono sapere che impatto avrà il loro denaro: non basta la performance, vogliono una rendicontazione e una reportistica degli effetti che hanno avuto i loro investimenti»

Nessun sacrificio etico

La letteratura e gli studi hanno ormai smentito l’esistenza del cosiddetto sacrificio etico, cioè la perdita di performance potenziale legata alla scelta di investimenti ESG. Il tema è, piuttosto, andare oltre una definizione generica di “investimento a impatto” e iniziare a costruire soluzioni su misura dell’investitore. Che ha spesso caratteristiche uniche. «All’estero – ha spiegato De Nobili – ci sono istituti cattolici che hanno poche competenze interne di contabilizzazione e cercano, quindi, soluzioni facilmente gestibili da questo punto di vista. Ho anche incontrato istituti con un patrimonio immobiliare molto importante, per i quali la finanza aveva un ruolo di diversificazione. E ci sono poi altri casi, di istituti che vogliono un rendimento da destinare a opere di bene. Ogni cliente va visto per le sue esigenze specifiche».

Non disintermediare…

E vanno gestiti per le loro specificità anche i clienti, Retail o Istituzionali, serviti da banche, reti, consulenti o altre realtà. «Noi abbiamo dei partner distributivi – ha giustamente osservato Donato Giannico, Country Head Italia di Raiffeisen – e non intendiamo disintermediarli, bensì supportarli per raccontare che cosa è un investimento sostenibile, ad esempio usando l’idea di un doppio rendimento».

… ma dare risposte precise (al rischio reputazionale, ad esempio)

Ma è sicuramente la capacità di gestire gli enti e gli investitori religiosi a offrire le sfide più rilevanti per i gestori. «Oggi ci viene richiesto di ridurre al minimo il rischio reputazionale – ha commentato Mach – perché chi non ha competenze approfondite sui titoli deve necessariamente affidarsi a partner per la gestione e la certificazione».

 

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