La competizione nel private si gioca su competenze e digitale

Boston Consulting group Private Banking competenze e digitale
Graziano Pace, Principal di Boston Consulting Group

Dopo quasi 15 anni di crescita ininterrotta, nel 2022 il private banking ha registrato una decrescita dell’asset under management. Un risultato che deriva dal mix micidiale di instabilità geopolitica, balzo dei tassi di interesse e crisi energetica, che ha moltiplicato l’incertezza.

E se il 2023 sembra avviarsi a un risultato positivo, «questa situazione di discontinuità deve spingere le banche private a chiedersi che cosa fare per tenere il passo con uno scenario futuro che potrebbe essere caratterizzato da volatilità e incertezze», premette Graziano Pace, Principal di Boston Consulting Group.

Integrare gli investimenti alternativi...

Un primo punto di riflessione è l’offerta.

Tutti i classici prodotti finanziari sono ormai diventati delle commodity, dei “must have” che tutti i player offrono, dai più grandi ai più piccoli.

«Un’opportunità di specializzazione viene dal mondo degli investimenti alternativi – osserva Pace –, sicuramente più di nicchia e particolarmente focalizzati sui segmenti HNWI e sul Wealth Management in senso stretto.

C’è spazio per un’offerta che abbraccia private equity, private debt, venture capital e altri strumenti, integrandoli nell’offerta esistente».

… per ottenere un vantaggio competitivo

Un ambito particolarmente interessante, perché capace di creare sinergie con il Corporate & Investment Banking, specie nei grandi gruppi: una realtà che lavora a operazioni di M&A, oppure a fondi di private equity, può collocare tramite la rete di private banking un prodotto distintivo, come un Club Deal.

«Per creare un vantaggio competitivo in questo ambito, però – prosegue Pace – servono competenze specialistiche, in sinergia con il Corporate & Investment Banking, e la piena integrazione dei prodotti alternativi nei motori di asset allocation dei player Private».

Servizi extra finanziari e rischi reputazionali

È invece ormai annoverabile nell’elenco delle commodity il ventaglio di servizi extra finanziari, di cui si parla ormai da anni.

«Molte realtà hanno lavorato per integrare nell’offerta core il wealth planning, i servizi di successione, la consulenza fiscale e l’ambito real estate – commenta Pace. Spesso, queste banche lo hanno fatto anche con un discreto successo, creando partnership con realtà esterne.

È ormai qualcosa che devi avere nella tua offerta, un plus che completa il servizio ma che non rappresenta il driver chiave per l’acquisizione di masse rispetto ai competitors».

Il roboadvisory ha fallito

Sempre nel mondo dell’offerta, è poi consolidato il ricorso al digitale a supporto dell’attività del banker, che resta il punto di riferimento nel modello di servizio del private banking.

«In questo segmento il roboadvisory non ha funzionato come gli operatori si aspettavano – spiega Pace – e non solo in Italia, ma anche in un mercato molto più orientato alla tecnologia come il Regno Unito. Non penso che il cliente private si orienterà verso un modello pienamente self service.

E credo che il banker resterà il punto di riferimento anche della next generation: il trust consolidato con la figura del consulente resterà anche dopo il ricambio generazionale».

I primi casi d’uso dell’intelligenza artificiale generativa

Questo rapporto inossidabile di fiducia spiega l’evoluzione di molti operatori verso il robo 4 advisory, per efficientare l’attività del banker umano.

«Non si tratta solo di ridurre attività amministrative come un semplice data entry – continua Pace – ma di ottimizzare l’attività commerciale. L’attività di asset allocation con execution integrata, la visione olistica del portafoglio finanziario e non, la reportistica dinamica, sono elementi di valore per il banker che gli consentono di lavorare meglio sull’intero portafoglio di clienti.

In quest’ottica, stiamo già vedendo una serie di use case in ambito Generative AI, che spaziano dal fornire proposte di investimento in linea allo storico delle raccomandazioni fatte a quel cliente, fino a interazioni ibride tra cliente e banker, da non confondere con un normale chatbot».

Ottimizzazione end-to-end dei processi

Lato costi, invece, l’ottimizzazione dei processi resta un tema aperto per le banche specializzate che, nel complesso, qui registrano un ritardo rispetto alle divisioni private dei grandi gruppi.

«L’incertezza macroeconomica impone alle banche private di pensare non solo all’incremento costante di masse e ricavi, ma anche alla riduzione dei costi tramite l’ottimizzazione end-to-end dei processi – commenta Pace.

Questo aspetto è stato in parte tralasciato negli ultimi anni, in particolare dai piccoli operatori, e potrebbe rappresentare una fonte di valore futura per sostenere il conto economico di banche e divisioni private».

“Impacchettare” la gestione patrimoniale

Un ulteriore opportunità viene poi dal digitale. Che permette di costruire dei prodotti standard, collocabili dal banker o in modalità self service, senza consulenza.

«Un simile impacchettamento della gestione patrimoniale – osserva Pace – riduce i costi e permette di servire la fascia bassa del private e gli upper affluent. Il private banking è un business di scala e anche lo scenario italiano lo conferma.

La capacità di raccogliere sempre più masse, anche rivolgendosi a una parte di clientela oggi non toccata, farà la differenza tra chi è in grado di offrire ai propri banker degli strumenti digitali avanzati e chi, invece, resterà indietro. E diventerà oggetto di quel lento consolidamento inevitabile nei business di scala».

 

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di novembre 2023 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop

 

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