Armundia: l’evoluzione tech del WM deve passare da integrazione e modularità

Armundia: l’evoluzione tech del WM deve passare da integrazione e modularità
Gianluca Berghella, CEO di Armundia Group

Modularità e integrazione end-to-end delle piattaforme tecnologiche sono le due parole chiave per fare evolvere il mercato del Wealth Management e dei Family Office.

Come ci racconta Gianluca Berghella, CEO di Armundia Group, il settore sta infatti abbandonando i grandi progetti monolitici, a favore di soluzioni modulari capaci di innovare i modelli di servizio, inclusa la gestione dei fondi alternativi.

D. Dottor Berghella, quali sono oggi le grandi sfide che le banche private e i family office affrontano nella loro attività di gestione dei grandi patrimoni?

GB. Siamo di fronte a un cambio di paradigma. La gestione dei grandi patrimoni non è più solo allocazione finanziaria, ma orchestrazione di una complessità che abbraccia ogni sfera della vita del cliente.

La prima sfida è la visione olistica: superare la logica a silos per integrare asset bancari, immobiliari e passion assets in un’unica vista coerente, eliminando la frammentazione dei dati.

La seconda è conciliare aspettative contrapposte: i nativi digitali richiedono l’immediatezza delle app consumer mantenendo la sofisticazione del tailor-made, mentre la pressione sui margini e la compliance stringente impongono di industrializzare i processi senza sacrificare l’iper-personalizzazione.

I Family Office vivono queste pressioni amplificate: gestiscono fondi e patrimoni articolati con informazioni frammentate da consulenti fiscali, notai, gestori immobiliari, banche. E devono aggregare tutto con team ridotti e budget limitati.

Il gap tra crescita patrimoniale e infrastruttura tecnologica è diventato quindi insostenibile: servono soluzioni che aggregano, normalizzano e analizzano, senza richiedere trasformazioni radicali dell’operatività esistente.

D. Ha parlato di frammentazione: questa criticità si amplifica con i fondi alternativi, opportunità crescente ma complessa. Come può la tecnologia aiutare a superare questa sfida?

GB. La gestione fondi sconta oggi un disallineamento critico: mentre la complessità operativa è cresciuta esponenzialmente, le infrastrutture tecnologiche sono spesso rimaste ancorate a logiche tradizionali a silos. Troppo spesso vediamo applicativi distinti per set-up, monitoring e compliance che non dialogano tra loro.

Ma la tecnologia supporta l’evoluzione solo quando integra, non quando si limita ad aggiungere. In un contesto dove il raccordo tra sistemi è lasciato all’operatività manuale, l’errore smette di essere un rischio per diventare inefficienza strutturale.

Per gestire la complessità dei FIA servono piattaforme che supportino l’intero ciclo di vita superando la frammentazione. Con questa visione abbiamo progettato un framework modulare per tutti gli attori della gestione fondi - banche depositarie, transfer agent, asset manager - che trasforma la frammentazione in integrazione end-to-end.

D. Ma aggregare i dati non basta: servono monitoring continuo, analisi integrata, e controlli automatici. Come aiutate il settore su questo fronte?

GB. Qui emerge la differenza cruciale tra piattaforme che registrano e piattaforme che presidiano. Un esempio concreto: se un fund manager inserisce un’operazione che porta il fondo fuori dai limiti normativi, il sistema deve bloccarlo prima dell’esecuzione, non segnalarlo dopo.

È la differenza tra controllo reale e documentazione del danno. La compliance non può essere una verifica ex-post, deve essere tessuta nel flusso operativo. È quello che facciamo attraverso i nostri moduli verticali: alle banche depositarie garantiamo un presidio continuo, anziché una fotografia periodica, su oversight, recordkeeping, riconciliazione e aggregazione dei dati.

Quando l’integrazione è completa e flessibile, i benefici sono misurabili: processi che richiedevano giorni si riducono a ore, e la riduzione degli errori diventa strutturale eliminando riconciliazioni manuali. Questo permette l’ottimizzazione dei costi e lo spostamento del team dall’execution manuale alla supervisione strategica, dalla gestione delle emergenze alla prevenzione dei rischi.

D. L’AI generativa e gli Agent AI sono al centro dell’attenzione: quali potenzialità intravedete per il Wealth Management e come state già applicando queste tecnologie? Come impattano sulla relazione tra consulente e cliente?

GB. Le potenzialità dell’AI agentica per il Wealth Management sono concrete e misurabili. Parliamo di sistemi che non si limitano a produrre contenuti, ma orchestrano autonomamente workflow completi. La vera frontiera però, su cui in Armundia abbiamo progetti attivi, sono i Multi-Agent Systems: una squadra di agenti specializzati che collaborano su dati unificati attraverso protocolli MCP.

Il vantaggio competitivo qui non è la semplice efficienza, ma la scalabilità cognitiva. Questi sistemi infrangono il trade-off storico tra personalizzazione e costi industriali: permettono al banker di offrire un servizio “boutique” su larga scala, gestendo una complessità analitica che sarebbe umanamente insostenibile senza supporto.

D. Automazione e innovazione richiedono inoltre una governance solida: come dovranno evolvere competenze e ruoli all’interno della banca private?

GB. La vera governance dell’innovazione non si aggiunge a posteriori, si progetta nell’architettura stessa del cambiamento; non va trattata come vincolo esterno, ma resa principio fondante. Il punto critico, a mio avviso, è la calibrazione: non tutte le decisioni hanno lo stesso peso.

Questa calibrazione richiede un ripensamento profondo dei ruoli, per permettere ai team operativi di scalare passando da esecutori a supervisori strategici: non eseguono più task ripetitivi, ma verificano che i processi automatizzati producano risultati corretti.

Questo richiede un cambiamento culturale e competenze adeguate. Non serve creare esperti di AI ovunque, ma, con adeguata e continua formazione, professionisti che comprendano entrambi i linguaggi (business e tech) e siano capaci di tradurre esigenze in requisiti.

D. Infine, guardando al 2026, quali trend tecnologici domineranno il Wealth Management e quali saranno i fattori differenzianti?

GB. La nostra prospettiva oggi è globale. L’espansione internazionale e la costituzione in corso di Armundia Asia, il nostro osservatorio sui mercati orientali, ci restituisce uno scenario molto chiaro sul 2026. L’intelligenza artificiale dominerà il dibattito tecnologico, ma vinceranno le istituzioni che sapranno integrarla senza sostituire il fattore umano.

Parallelamente, i Family Office rappresentano un settore in forte espansione che richiede soluzioni dedicate, capaci di gestire una complessità che le piattaforme tradizionali non presidiano.

Ma il vero fattore differenziante sarà chi ha costruito innovazione sulle fondamenta giuste: modularità e integrazione. Le banche competitive nel 2026 sono quelle che oggi stanno abbandonando i legacy per costruire infrastrutture flessibili, consapevoli che innestare AI evoluta su sistemi monolitici è una strategia destinata a fallire. Il vantaggio competitivo apparterrà a chi saprà evolvere con visione mantenendo controllo e qualità.

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Questo articolo è stato pubblicato sul numero di dicembre 2025 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop.

 

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