Quattro leve di crescita per rendere il private banking un alleato strategico del tessuto imprenditoriale italiano. Con una media di 13 incontri all’anno tra private banker e imprenditori, c’è ampio spazio di manovra per aiutare le PMI ad affrontare nuove sfide che riguardano la pianificazione strategica, la raccolta di liquidità, la governance e il passaggio generazionale all’interno delle aziende italiane.
A sottolineare l’importanza di intraprendere questo percorso è AIPB, che insieme a EY ha presentato a Milano, presso la Fondazione Luigi Rovati, la ricerca “Private Banking e imprese: un dialogo che crea valore”, mettendo in luce come oggi oltre il 30% delle masse gestite nel Private Banking sia riconducibile a clienti imprenditori (23% della clientela complessiva), che richiedono soluzioni su misura e una consulenza evoluta anche nel corporate, per via di bisogni articolati nell’ambito personale, familiare e aziendale.
I dati della ricerca
Tra i risultati, spicca come le PMI italiane siano assolutamente solide e fin troppo liquide. Il saldo finanziario di queste aziende è infatti in crescita, segno di una maggiore patrimonializzazione che andrebbe utilizzata e gestita attraverso azioni mirate da affiancare al credito bancario. Ma le PMI continuano a dipendere dal credito bancario e preferiscono l’autofinanziamento, mantenendo quindi alti i livelli di liquidità non utilizzata.
Ma come trasformare la liquidità in progettualità, innovazione e nuovo capitale? La risposta è un accompagnamento consulenziale evoluto in tutte le fasi della vita aziendale, con quattro obiettivi prioritari.
1. Crescita e pianificazione strategica
Il primo è la crescita: come raccontato da Andrea Ragaini, Presidente di AIPB, servono nuovi percorsi di sviluppo, soprattutto perché il 67% degli imprenditori italiani si concentra su una pianificazione di breve periodo, spesso limitata giusto all’anno in corso.
E a chi si rivolge principalmente su questo fronte? Al commercialista. Un’occasione mancata per il private banking, che in sinergia con le competenze corporate, può affiancare gli imprenditori nella pianificazione strategica con orizzonti temporali medio-lunghi.
Una tematica già al centro degli incontri tra private banker e imprenditori, tanto che il 56% del tempo impiegato nella relazione è dedicato proprio alla pianificazione finanziaria.
2. Maggiore ricorso a strumenti finanziari non tradizionali
Tuttavia, guardando agli strumenti finanziari, si nota come le PMI siano piuttosto conservative e poco avvezze a forme di finanziamento alternative.
Il credito bancario rappresenta infatti quasi il 40% delle fonti utilizzate, contro un limitato 11% per il capitale di rischio e appena il 4% per le obbligazioni.
Inoltre, nonostante un potenziale interesse verso l’apertura del capitale, il 55% degli imprenditori non conosce ancora strumenti quali il Private Equity, i Club Deal, il Venture Capital e i minibond. E solo il 3% considera la quotazione in Borsa come opzione concreta, mentre la maggior parte delle aziende ricorre a forme più tradizionali per aprire l’assetto societario, come l’ingresso di nuovi soci.
«Il ruolo del private banking è quindi quello di educare e accrescere la consapevolezza degli imprenditori su strumenti alternativi – sottolinea Ragaini –, integrandoli inizialmente anche all’interno dei portafogli di investimento personali».
3. Governance strutturata
Il private banking ha un ruolo di primo piano anche nella governance delle società. Ogni azienda, nel suo ciclo di vita, ha bisogno di definire il governo dell’azienda, con ruoli solidi e vision di sviluppo, ma non è semplice trovare assetti ben definiti all’interno di realtà principalmente a conduzione famigliare, dove spesso non esiste un CdA.
Vengono in aiuto quindi strumenti dedicati, ma poco conosciuti dal tessuto imprenditoriale locale, come ad esempio i patti di famiglia e la creazione delle holding, che devono essere presentati e proposti dai consulenti.
4. Passaggio generazionale
Al centro del dibattito emerge anche il tema del passaggio generazionale all’interno dell’impresa, che già anima la relazione degli imprenditori con il loro private banker (per il 60%), aumentando di importanza: il 56% degli imprenditori infatti pensa già al futuro dell’azienda una volta che non sarà più al timone dell’impresa, guardando ai membri della propria famiglia. Mentre il 44% non ci pensa affatto, nonostante l’età media degli imprenditori si aggiri attorno ai 58 anni.
Ma, d’altronde, il tema è delicato, tanto che solo il 20% dei trasferimenti generazionali avvenuti in Italia ha infine avuto successo.
Formazione dei private banker e modelli bancari
Per cogliere queste opportunità, l’industria Private deve costruire intorno all’imprenditore un ecosistema di soluzioni finanziarie e non finanziarie coerente con le fasi del ciclo di vita dell’impresa. E soprattutto investire nella formazione dei private banker e nello sviluppo di modelli di servizio integrati.
«Le banche private stanno ripensando il proprio posizionamento su questo segmento strategico, puntando su soluzioni ad alto valore aggiunto – ha commentato all’evento Giovanni Andrea Incarnato, Italy Wealth & Asset Management Sector Leader di EY. Sono due i modelli principali emersi: quello cross-divisionale, tipico dei grandi gruppi bancari, che integra le competenze del Private, Corporate e Investment Banking per offrire un servizio completo; e quello integrato, adottato dalle realtà indipendenti, che costruiscono in house competenze e servizi specialistici per servire l’intero ecosistema dell’imprenditore. In entrambi i casi, il Private Banker resta la figura centrale nella relazione, affiancato da team multidisciplinari in grado di attivare soluzioni personalizzate in base al ciclo di vita dell’impresa».
Le banche presentano la loro strategia
A presentare i loro modelli, sono state quattro realtà finanziarie: BPER Banca Private Cesare Ponti, UniCredit, BNL BNP Paribas e Finint Private Bank, che hanno sottolineato la centralità delle sinergie tra area corporate e private banking.
BPER Banca Cesare Ponti: le sinergie post acquisizione
«In BPER abbiamo 700mila aziende con un fatturato superiore ai 500 milioni e, a seguito delle acquisizioni nell’area corporate e il via a settembre dello scorso anno dell’operatività post acquisizione di Banca Private Cesare Ponti, puntiamo a portare a bordo questi clienti con un modello integrato di servizio agli imprenditori – ha raccontato Fabrizio Greco, Chief Private & WM Officer Gruppo BPER e CEO di BPER Banca Private Cesare Ponti.
Siamo partiti quindi dalla realizzazione di una base dati, per identificare i clienti più adatti, e abbiamo strutturato un team di 6 persone, a mio diretto riporto, che si occupa unicamente delle sinergie con il mondo corporate e credito, con l’obiettivo di compensare le eventuali mancanze del private. Molto va fatto anche sul lato della formazione dei banker: non parlano il linguaggio del CIB e quindi stiamo investendo sulle competenze. L’anno scorso abbiamo erogato 1.500 giornate di formazione e quest’anno abbiamo selezionato 60 banker, uno per ogni Centro Impresa, per trattare temi caldi, come ad esempio il change management».
Una unica legal identity per UniCredit
Ha realizzato un modello unico territoriale, invece, UniCredit. «Il 50% del business private e wealth è portato avanti in sinergia con il corporate: da anni lavoriamo così – ha sottolineato Renato Miraglia, Head of Wealth Management & Private Banking UniCredit – e oggi contiamo su 131 sedi in Italia per la relazione con gli imprenditori e su un’unica anagrafica a disposizione di tutti gli specialisti. La crescita è trainata anche da un sistema incentivante, che premia dipendenti corporate o private banker che riescono a portare a bordo nuovi clienti».
BNL BNP Paribas: il futuro è nei dati
Si concentra su un data lake solido e sulle potenzialità degli insight generati dall’AI la strategia di BNL BNP Paribas nel PB e WM.
«D’altronde è la misurazione del dato ciò che genera veramente valore per la banca – ha commentato Luca Bonansea, Direttore Divisione Private Banking & Wealth Management BNL BNP Paribas – per questo motivo è importante investire sulla gestione del dato e sull’innovazione portata dall’intelligenza artificiale.
La tecnologia può sicuramente aiutare i banker, che necessitano però di formazione continua sulle competenze, così da diventare un interlocutore privilegiato per l’imprenditore. Ma non si può fare confluire private e corporate sotto un unico cappello: non possiamo pretendere che il private banker parli la lingua del corporate e viceversa. Ognuno ha il suo compito: il private banker si occuperà quindi di alimentare la relazione con l’imprenditore, mentre il responsabile corporate seguirà il CFO dell’azienda».
Finint Private Bank: verso una nuova generazione di banker e imprenditori
Nata due anni e mezzo fa come investment bank, Finint Private Bank ha ifine raccontato come mette a disposizione degli imprenditori le competenze sviluppate in questi anni.
«Abbiamo unito mondo corporate e private creando un interlocutore coeso e capace di proporre soluzioni coerenti ai bisogni degli imprenditori – ha spiegato Paolo Tenderini, Amministratore Delegato di Finint Private Bank. Il nostro gruppo è specializzato in cartolarizzazioni e minibond, strumenti eccellenti e molto utilizzati dagli imprenditori, e dai family office, che si rivolgono alla nostra realtà.
Ma quello con gli imprenditori è un rapporto che va coltivato nel tempo e che si basa sulla fiducia: spesso si parte da servizi più tradizionali e semplici, come la gestione della tesoreria, per poi ampliare le soluzioni offerte. La grande sfida per il prossimo futuro sarà identificare una nuova generazione di banker, capace di intercettare e trattenere la prossima ondata di imprenditori».