Indennizzi Covid: perché non sarebbero un disastro

indennizzi covid polizze infortuni

La possibilità di indennizzo, in ambito di polizza infortuni, dei casi Covid19 ha diviso la comunità medico-legale.

Certo, seguendo il senso comune, è difficile che un normale assicurato pensi di essere vittima di questo tipo d’infortunio quando ha sottoscritto il suo contratto assicurativo. Così non è, almeno a giudizio di alcuni. Infatti, per antica dottrina medico-legale, in qualsiasi infezione si manifesterebbe una “causa violenta” necessaria, perché l’infortunio sia definito tale stante l’equiparazione di questa con la “la virulenza” dell’agente infettante.

Come la Spagnola

L’INAIL non ha fatto che ripercorrere questa strada seguendo concetti novecenteschi che furono, peraltro, quelli che portarono all’indennizzo degli infortuni per le vittime della Spagnola. Da allora molte cose sono cambiate ma la storia rimane, tanto che in alcune polizze, quelle standard ANIA per esempio, si propongono precise esclusioni per le malattie infettive che non siano diretta conseguenza di lesioni corporali (ad esempio quella tetanica da discontinuazione della cute). È ovvio che in polizze del genere l’infortunio da Covid non dovrebbe essere ammesso.

Ma per le altre polizze, e sono molte, che non possiedono questa specifica? Il muro alzato dalle Compagnie è stato immediatamente alto e impenetrabile. L’argomento in ambito giuridico e scientifico (e sì la medicina legale fa parte delle scienze mediche per tradizione secolare) è davvero assai complesso e non credo che i lettori siano poi così interessati ad argomenti così squisitamente tecnici.

Basti sapere che ci troviamo di fronte ad una controversia che appare insanabile tra le due fazioni contrapposte. L’interrogativo però che mi son posto in questi mesi è il seguente ed è forse più interessante per il largo pubblico:

Ma se dunque l’infezione Covid venisse riconosciuta come infortunio in quanti casi si giungerebbe ad un indennizzo consistente e quanti sarebbero i casi da indennizzare?

I numeri di riferimento

Se vogliamo fare un po’ di medicina che abbia un qualche rapporto con la scienza, dobbiamo forzatamente guardare ai numeri. Secondo il Sole24Ore, che cita dati ANIA 2017, il 24% degli italiani ha una polizza infortuni generalmente con capitali molto bassi (molte, peraltro, sono polizze infortuni che assicurano solo i conducenti di veicoli). Sappiamo (dai dati ANIA 2018-2019) che la spesa degli assicurati in premi nel 2018 per le polizze infortuni è stata di 3,5 miliardi (1 miliardo nelle collettive) ovvero solo il 10% dell’intero ammontare dei premi per il ramo Danni che è pari, complessivamente, a 30,5 miliardi.

I dati sui morti da Covid

Un mercato importante, dunque, ma relativo. Ora ragioniamo sui possibili esiti di una concessa indennizzabilità in ambito Polizza Infortuni dei casi Covid. La conseguenza più grave da indennizzare sarebbe ovviamente la morte (anche se in genere i capitali assicurati in caso morte sono inferiori rispetto a quelli per i postumi permanenti).

Comunque, sappiate (dati dell’Istituto Superiore di Sanità) che l’età media (media ripeto media) dei morti da Covid è 80 anni (lo scrivo in lettere: ottant’anni).

E tra tutti i morti, quelli con meno di 50 anni, sono stati, udite, udite, l’1,1%. Sappiate che il limite di età per contrarre una polizza infortuni è 75 anni. Ancora, su un campione rilevante di deceduti (più di 3.000), sempre l’Istituto Superiore di Sanità, ci dice che solo il 4,2% non aveva patologia croniche preesistenti associate e che il 59,6% ne aveva addirittura tre.

Stante la necessità, per regole contrattuali, dell’unicità della causa per l’ammissione dell’infortunio, si potrebbe dire che, spannometricamente, solo il 4,2% dei soggetti dovrebbe quindi essere indennizzato come conseguenza diretta ed esclusiva del fatto infortunio in caso morte.

Allora: abbiamo circa 33.000 morti in Italia di Covid19. Di questi, solo 9.000 hanno un’età inferiore ai 75 anni e di questi, ancora, solo il 24% sarebbe assicurato. Stiamo parlando di circa 2.000 casi, da cui andrebbero sottratti quelli che verrebbero esclusi dall’indennizzo per le preesistenze patologiche. Il che farebbe ridurre ancora di molto quel totale.

Non voglio pensare proprio una riduzione del 95% (vedi quel 4,2% senza patologie precedentemente citato), ma comunque penso a un crollo di quel numero. Queste deduzioni sono confortate dai numeri forniti dall’INAIL nel giugno scorso: vi sono stati solo 252 decessi denunciati come infortunio sul lavoro (per la maggior parte si tratta di personale sanitario). Se solo il 24% ha contratto una polizza, ammesso che tutti siano indennizzabili, stiamo parlando di 50 casi.

L’impatto dei postumi della pandemia

Ah, mi si dirà: i postumi. Difficile esprimersi ora (i dati sono insufficienti) ma se si studia qualcosa si trova. Lavori scientifici specifici ci dicono qualcosa sulle precedenti epidemie da virus Covid (SARS e MERS). In queste, conseguenze ve ne sono state eccome, soprattutto sul piano psichiatrico e della percezione della qualità della vita. Naturalmente quest’ultime non sono indennizzabili in polizza.

Però, solo circa il 15% degli infettati (infezioni che hanno avuto una gravità più forte del Covid19 con un tasso di letalità per infettati di circa il 9% per la SARS rispetto al 5% del Covid19) ha avuto problemi polmonari a 12 mesi. Peraltro, questi, furono di grado lieve. Non lo sappiamo ancora, ma se fosse così (lasciando perdere qualsiasi condizione di aggravamento per possibili malattie polmonari concomitanti), i soggetti con possibili postumi indennizzabili sarebbero, quindi, solo il 15% di coloro che hanno stipulato una polizza e hanno denunciato un sinistro per Covid19.

Ancora: abbiamo 180.000 guariti in Italia (Dati Ministero della Salute). Di questi guariti, il 24% ha una polizza infortuni, di cui il 15% avrebbe postumi. Si sta parlando, quindi, di numeri compresi tra i 6.000 e i 7.000 soggetti da indennizzare. Pensate che ogni anno in Italia ci sono circa 200.000 (tra morti e feriti) vittime di incidenti stradali (circa 16.500 al mese). I soggetti indennizzabili in polizza infortuni sarebbero, quindi, all’anno intorno ai 50.000 (circa 4.000 al mese).

E questo solo per gli incidenti stradali, lasciando stare altre attività che sono terribilmente importanti, in quanto numero di casi, come quelle sportive (calcetto, calcio, ciclismo, sci che come sapete tutti sono pericolosissimi: qualcuno dice che in Italia, ogni anno, si fanno circa 40mila interventi per rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio).

Non possiamo non considerare, infine, che per le Compagnie Assicurative la pandemia ha certamente ridotto in maniera notevolissima il numero dei sinistri infortuni in questi mesi di lockdown (no incidenti stradali, attività sportiva inesistente, pochi infortuni sul lavoro non legati al Covid).

Il beau geste che manca

Ma, allora, dico io, non è che per una volta le Compagnie potevano fare un bel gesto (del tutto simile a quello dell’INAIL) e dire: “indennizziamo questi sinistri Covid ai sensi di polizza”?. Mi pare ampiamente dimostrato che perdite non ve ne sarebbero state e così, ora, noi medici legali avremmo dovuto solo pensare a valutazioni, peraltro assai difficili, considerando la questione delle preesistenze patologiche che annullano l’indennizzabilità.

Quindi nessun disastro per il sistema (basta con queste prospettive apocalittiche che non se ne può veramente più). E sarà un bel dibattito intellettuale quello scatenato, ma siamo sempre alla tempesta nel bicchier d’acqua sotto il profilo dei numeri e, soprattutto, dei soldi (è inutile dirlo ma "we are only in it for the money" come diceva Frank Zappa).

Sempre pronto, naturalmente, a discutere, soprattutto, di numeri. Se qualcuno ce li fornisse, ma lo fa solo l’INAIL. È ovvio che, come si dice a casa mia (la piagata Lombardia del Covid e di Fontana), “paga’ e murì ghe semper temp” (traduco per la l’Italia intera: “A pagare e a morire c’è sempre tempo”) ma una proiezione di questi dati, soprattutto quelli INAIL, che sembrano significativi in quanto è ovvio che le maggiori coperture assicurative private sugli infortuni si trovano nelle fasce di soggetti in età lavorativa, mi fanno ribadire il concetto che la posizione presa dalle Compagnie assicurative, soprattutto dal punto di vista dell’immagine, mi pare assurda.

E questo al di là dell’interessante dibattito culturale che è sorto nella comunità medico-legale: questo mi par semplicemente un problema di mera natura commerciale. E non parliamo di varchi futuri che si aprono nel sistema assicurativo perché, spero, che dopo quel che è successo mi par ovvio che le Compagnie debbano prendere provvedimenti per blindare i contratti anche in essere sulla problematica infezioni.

Se poi, anche qui, per la paura di perdere clientela non si vuol toccare per l’anno prossimo le polizze … e beh allora, come diceva J. Mourinho trattasi di “proxtituxione intelectuale”. Stare nel mercato per aziende che, ce l’ha detto la Corte Costituzionale, hanno anche un’importante funzione sociale, vuol dire, qualche volta, caricarsi di responsabilità che, peraltro, nel caso di specie, rappresenterebbero solo un ritorno d’immagine.

Ma qui, come accade spesso per l’imprenditoria italiana, l’essere parti attive nel sociale è bello quando è vantaggioso e meno bello quando non sai cosa andrai a pagare (vedi Covid Polizza Infortuni - e ci sarà pure qualche attuariale che è capace di maneggiare dati epidemiologici, su). Banche e assicurazioni, come ormai da troppi anni (chiedete a un piccolo imprenditore cosa vuol dire andare a chiedere un prestito che dovrebbe essere garantito dallo Stato dopo la tempesta Covid) hanno sempre più l’aspetto del T-Rex: mostro spaventoso ben piantato sui posteriori ma con quei braccini piccolini artigliati atteggiati in flessione. E queste mie non sono posizioni  anti compagnie assicurative. È solo uno stimolo a una riflessione.

Se qualcuno potesse inviare un messaggio agli alti vertici, di andare a rileggere Weber (che non è un terzino del Bayern Monaco) bene sarebbe. E lo dico da capitalista a capitalista perché, mio Dio, sono un imprenditore anch’io (che fa anche rima).

 

La Rivista

Dicembre 2025

IT Modernisation.

Lavori in corso

Tutti gli altri numeri