PODCAST DEFINE BANKING

Fine delle moratorie, crisi geopolitica e NPL: il punto della situazione

npe fine delle moratorie

In questo episodio di define banking next, il podcast sulla banca del futuro che AziendaBanca organizza insieme a CRIF, facciamo il punto sulla situazione dei crediti deteriorati in questo momento storico molto particolare.

Siamo alla fine dello stato di emergenza legato alla pandemia ma da alcune settimane è in corso un conflitto che avrà conseguenze importanti e di lungo periodo sulle economie di tutto il mondo.

Vediamo quindi come si profila lo scenario del credito insieme a Simone Rosti, Senior Director di CRIF.

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AG. È finito lo stato di emergenza legato alla pandemia e siamo quindi alla fine delle misure straordinarie con cui è stato contenuto il rischio di credito. Adesso il settore finanziario e del credit management guarda con grande attenzione ai dati relativi alle moratorie ancora in essere. In base alle vostre statistiche, qual è la situazione?

SR. Gli interventi straordinari varati dalle istituzioni per minimizzare gli effetti dell’emergenza sanitaria hanno avuto un impatto rilevante sul mercato degli NPE, pensiamo alla contrazione dei tassi dei default registrati nel 2021, che hanno registrato i minimi storici. 

Nonostante ciò, a dicembre 2021 le moratorie ancora in essere si attestano al 10,2% del totale attivato, dimostrando che l’effetto sul contenimento del rischio di credito ha fatto il suo corso. 

Entro il secondo semestre del 2022 ci aspettiamo che il fenomeno venga totalmente assorbito, a meno che non siano attuate nuove iniziative per evitare potenziali shock dovuti ai recenti sviluppi socio-economici. 

AG. Il rischio di credito è stato in calo durante tutto il 2021 ma sappiamo che si tratta di un altro effetto delle misure straordinarie. Adesso le cose cambiano. Che cosa possiamo aspettarci per i prossimi mesi?

SR. Per quanto riguarda il rischio di credito, effettivamente per tutto il 2021 è proseguita la contrazione, favorita dagli interventi di sostegno promossi dalle associazioni di categoria e da interventi legislativi, come le moratorie, la finanza agevolata e il blocco dei licenziamenti. 

Riteniamo, inoltre, che il ridotto livello di consumi registrato durante la pandemia, abbia permesso, soprattutto alle famiglie, di mantenere gli obblighi finanziari contratti fino al 2020. Per la liquidità delle imprese, invece, gli strumenti di finanza agevolata hanno avuto un ruolo fondamentale. 

Nei prossimi mesi osserveremo l’effetto derivante dal termine delle moratorie e dall’avvio dei piani di rimborso dei crediti garantiti. E riteniamo che potrebbe verificarsi un’inversione del trend dei tassi di default verso il rialzo, anche considerando i recenti sviluppi macroeconomici. 

AG. Altro capitolo fondamentale quando si parla di crediti deteriorati e si considera l’impatto della pandemia e della difficile situazione geopolitica: lo stock di NPE. Che cosa ci dicono le ultime statistiche?

SR. Partiamo dai dati. Nel 2020 lo stock dei crediti deteriorati lordi era di 97 miliardi mentre nel 2021 ammontava a 88,4 miliardi: c’è quindi stata una contrazione.

All’interno di questo scenario abbiamo visto un sorpasso della componente UTP su quella NPL: gli UTP ammontano a 43,1 miliardi, le sofferenze a 41,6 miliardi. 

Sulle dinamiche del mercato NPE abbiamo realizzato un’analisi, in partnership con Credit Village, sull’andamento delle cessioni dei crediti. Il numero di operazioni condotte nel 2021 è stato superiore rispetto al 2020, ma c’è stato un calo dei volumi pari al 14,6%.

C’è anche un’altra inversione di tendenza rispetto al 2020: è calato l’interesse per i portafogli UTP. La quota di cessioni UTP rispetto agli NPL, in termini di transato, è scesa dal 20% al 6% lo scorso anno. E la quota relativa agli NPL è quindi cresciuta fino al 94% dei volumi. 

Crescono invece le cessioni dei crediti Unsecured, quindi dei crediti chirografari, che raggiungono il 58% dei volumi. 

Un ultimo punto. Lo strumento delle GACS (Garanzia Cartolarizzazione Sofferenze) continua a contribuire al supporto della dismissione dei crediti garantiti da immobili, attestandosi al 31% del totale transato. Va però detto che, nel 2021, si registra una diminuzione delle operazioni assistite da GACS del 30% rispetto al 2020, mentre le cessioni “no GACS” si attestano al 69% del totale transato.

AG. In un episodio di qualche mese fa abbiamo toccato il tema dei finanziamenti Stage 2, cioè che presentano i primi segnali di deterioramento. A distanza di qualche mese, che novità ci sono su questo fronte?

SR. Il tema dei crediti Stage 2 è di fondamentale importanza per il settore bancario e finanziario perché un aumento di crediti appartenenti a questo cluster nei prossimi mesi potrebbe portare a nuovi inflows rilevanti in termini di posizioni a recupero crediti.

Soffermiamoci quindi su questo tema.

In particolare, se consideriamo la distribuzione dei crediti in Stage 2 per tipologia di clientela, vediamo che oltre il 60% di questi crediti sono collegabili ad aziende, principalmente società di capitali operanti sul mercato da più di 10 anni. Mentre le famiglie detengono circa il 40% delle esposizioni Stage 2.

Se invece guardiamo alla distinzione tra crediti secured e unsecured, emerge che il 34,2% dei finanziamenti è composto da mutui ipotecari, quindi generalmente crediti garantiti, mentre il residuo 66,8% sono prestiti non garantiti. 

Dal punto di vista della gestione, proprio questi ultimi risultano prioritari nella fase di monitoraggio, perché se venissero lasciati scivolare a NPE farebbero scattare più velocemente i meccanismi del calendar provisioning, con un risultato molto oneroso per il player finanziario.

AG. Anche gli UTP, cioè gli Unlikely to Pay, sono al centro dell’attenzione. Voi su questo tema specifico avete un osservatorio: che cosa dicono i dati?

SR. Nel nuovo Osservatorio NPE di CRIBIS Credit Management abbiamo inserito nuove statistiche relative alle inadempienze probabili o Unlikely to Pay.

Un primo dato riguarda i settori con maggiore concentrazione di UTP che sono   l’immobiliare, le costruzioni e l’intrattenimento, e questo conferma che la concentrazione è maggiore nei settori più impattati dalla crisi pandemica.

Quelli meno presenti risultano invece essere l’industria farmaceutica, elettronica e petrolifera. 

Un secondo dato è l’analisi della quota di esposizioni in UTP per natura giuridica, che ci dice che il 51% è collegabile a società di capitali e persone, il 12% a famiglie produttrici mentre il 37% a famiglie consumatrici.

Allo stesso tempo, l’81% delle controparti in UTP fa affidamento a diversi istituti bancari, mentre il restante 22% si affida ad un unico istituto bancario. 

Questo implica, lato servicer e lato originator, una lavorazione più agevole della rimodulazione del debito, permettendo di gestire l’esposizione complessiva del soggetto in un'unica soluzione.

Infine, se guardiamo alle performance di bilancio delle controparti debitrici il 54% ha chiuso il 2020 con un utile positivo. 

Ipotizziamo quindi che il business delle aziende che appartengono a questo specifico segmento sia in realtà sostenibile e andrebbe supportato con azioni tempestive per il rientro in bonis, in modo da permettere agli imprenditori di proseguire con la propria attività e di rientrare delle esposizioni scadute prevenendo il deterioramento del credito.

AG. Simone, la domanda conclusiva è sull’impatto che lo scenario appena descritto ha sulle strategie e sui processi di recupero nei prossimi mesi. Che cosa consigliate alle banche e come vi state attrezzando voi?

SR. Lo scenario attuale richiede un maggiore livello di attenzione: la sospensione della maggior parte dei rapporti creditizi in essere e l’erogazione di finanza agevolata per affrontare l’emergenza bancaria ci ha portato a una situazione inedita.

Potenzialmente, potrebbe crescere il costo del rischio.

A questo vanno aggiunti i potenziali effetti dovuti alla nuova definizione di default, in vigore dal 1 gennaio 2021, e del calendar provisioning, che influenzano i fenomeni di classificazione del credito e richiedono una gestione sempre più proattiva. 

Come Servicer indipendente di CRIF gestiamo un totale di 19,6 miliardi di euro di asset con più di 500 clienti attivi. 

Quello che stiamo suggerendo alle banche è di focalizzarsi su strategie di ottimizzazione che comprendano segmentazioni mirate del portafoglio; impostare un attento monitoraggio delle performance di recupero con controlli di primo livello, reportistica e modelli analitici in grado di indirizzare i correttivi da porre in essere.

Riteniamo che affidarsi a un outsourcer specialistico possa essere una scelta strategica per molte banche, è importante però scegliere il partner giusto che sia in grado di combinare due dimensioni chiave nella gestione degli NPE: la capacità di massimizzare i risultati o l’efficienza di processo e la sostenibilità.

In termini di efficienza per noi i dati e la tecnologia e gli analytics sono da sempre elementi fondamentali sui quali stiamo continuando ad investire. 

In particolare lo stiamo facendo sui modelli di giustizia predittiva, andando a supportare con servizi e piattaforme dedicate i nostri clienti nel monitoraggio e nella gestione giudiziale dei crediti deteriorati. 

Ad esempio applicando questi modelli ai portafogli NPE garantiti da asset immobiliari è possibile minimizzare i costi e massimizzare le performance di recupero andando a predire la probabilità di vendita, i tempi delle procedure e i tassi di recupero.