La crisi energetica e l’inasprimento delle condizioni finanziarie, anche dovute all’aumento dei tassi di interesse, hanno innescato una tempesta perfetta abbattutasi sul mondo delle imprese, alle prese con una situazione macroeconomica e geopolitica molto complessa.
Proprio a causa degli effetti dello shock energetico, l’agenzia di rating Fitch ha recentemente tagliato le stime di crescita del PIL per il nostro Paese, prevedendone addirittura una decrescita dello 0,7% nel 2023.
Costi energetici e spirale inflattiva
L’emergenza energia sta colpendo ormai tutti i settori; le utilities sono alle prese con problemi di liquidità per l’incremento delle cosiddette “margin call” – secondo le stime della società petrolifera norvegese Equinor per il mercato europeo queste sono pari a circa 1,5 miliardi di dollari – richieste a garanzia sui mercati di approvvigionamento e per la crescente pressione sul circolante, perché gli importi da pagare per gli utenti finali si sono moltiplicati, con crescenti difficoltà ad onorare le bollette.
Tutto questo sta creando una spirale inflattiva, perché le aziende con pricing power stanno cercando di trasferire i maggiori oneri sui propri clienti, che quindi si trovano ad affrontare molteplici aumenti dei prezzi.
Notizie ancora peggiori per le aziende senza, o con limitato, pricing power, che si trovano i margini completamente erosi. Il risultato è stato un ulteriore picco inflattivo raggiunto in agosto, quando secondo gli ultimi dati dell’ISTAT si è registrato un aumento tendenziale dell’indice nazionale dei prezzi al consumo pari all’8,4%.
Aumento dei tassi: impatto marginale sull’inflazione
Tuttavia, l’aumento dei tassi attuato dalla BCE, prima a luglio nella misura di 50 bps, poi a settembre di 75 bps (ricetta anti-inflazione da libri di politica monetaria), non pare la soluzione più adeguata in questo contesto.
Dal momento che l’inflazione europea è in gran parte dovuta all’aumento dei costi dell’energia - considerando che anche i rincari degli altri beni sono in buona parte legati all’aumento di costi di produzione correlati al prezzo dell’energia - e di supply chain, e solo in maniera marginale da incrementi di stipendi e di consumi - nonostante il fatto che post covid si spenda un po' di più ed il mercato del lavoro sia più dinamico - l’impatto delle misure della banca centrale sul carovita sarà marginale.
Questo anche tenendo in considerazione che i tassi reali rimangono fortemente negativi, e per portarli in territorio positivo bisognerebbe arrivare attorno al 10%.
Peggiorano le condizioni finanziarie
Quello che invece succederà – e che stiamo già vedendo – è un inasprimento delle condizioni finanziarie: i nuovi finanziamenti sono molto più costosi e anche le rate di quelli a tasso variabile contratti in precedenza stanno aumentando. I maggiori oneri finanziari – insieme ai prezzi dell’energia – erodono ulteriormente i margini delle imprese.
Inoltre molti dei prestiti stipulati durante la pandemia avevano un periodo di preammortamento, trascorso il quale ora devono essere rimborsati a “rata piena”.
In arrivo una stretta al credito
I plafond di prestiti garantiti dallo Stato (con MCC e Sace) si stanno esaurendo, e le banche – che avevano accresciuto la disponibilità di credito nel periodo covid – non possono che contrarre l’offerta di finanziamenti, non potendo più contare sulle garanzie pubbliche e sul “Temporary framework”, di cui si sta avvicinando la fine, che consentiva alcune deroghe all’applicazione delle disposizioni di vigilanza.
Perché servono strumenti alternativi di valutazione del credito
Le stesse banche sono molto prudenti ad aumentare gli affidamenti, anche ad aziende con rating elevati, benché le necessità di circolante siano obiettivamente aumentate, visto che dovrebbero basare le proprie valutazioni di credito sull’ultimo bilancio a oggi disponibile, quello del 2021, già obsoleto a causa degli eventi macroeconomici e geopolitici che stanno caratterizzando il 2022.
Strumenti di valutazione del credito alternativi - ad esempio quelli basati sul monitoraggio dei cash flow aziendali real time, sfruttando la maggiore apertura alle informazioni dei conti correnti garantita dalla PSD2 - non sono abbastanza diffusi per sopperire a questo gap informativo, e non risolverebbero comunque il problema visto che in molti casi il merito creditizio è generalmente peggiorato.
Default in crescita
Per concludere, benché riteniamo assolutamente opportuno perseguire un contenimento dell’inflazione, la via dell’aumento dei tassi in questo momento avrà un impatto limitato su questo fronte, mentre lo avrà – in misura molto severa – sulle condizioni finanziarie delle imprese, causando numerosi default nel prossimo futuro.
Una politica fiscale adeguata, ulteriore arma possibile per affrontare queste insidie è, ad oggi – e ancora per almeno un paio di mesi –, impossibile da perseguire in maniera forte a causa dell’assenza di un Governo con pieni poteri.
Considerando anche la situazione attuale delle famiglie, a loro volto alle prese con bollette, inflazione e incremento delle rate dei mutui, insomma, dovremmo prepararci ad una recessione.
Con maggior concertazione a livello europeo sul prezzo dell’energia a monte (un tetto al prezzo da fonti diverse dal gas in un mercato già regolamentato poteva essere una soluzione più semplice che tassare extra profitti tutti da trovare) e una politica monetaria meno “scolastica”, forse avremmo potuto evitare una futura recessione, visto che la ripresa post covid ci aveva messo sul treno giusto.