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Le imprese femminili: sostenibili e solide, riusciranno a diventare grandi?

Imprese femminili 2023

L’imprenditoria femminile in Italia e, in generale, le imprese fondate o gestite da donne, sono il tema di un episodio del podcast #define banking next, realizzato da AziendaBanca insieme a CRIF.

Abbiamo approfondito l’argomento con Antonio Furio, Director Local Markets di CRIF.

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AG. Oggi parliamo di imprenditoria al femminile. Dacci qualche dato, qualche numero: di quante imprese parliamo e che caratteristiche hanno?

AF. Come prima cosa, lasciami spiegare da dove arrivano le informazioni che presenteremo: CRIF è un’azienda che per sua natura ha un patrimonio informativo molto vasto, che oggi noi chiamiamo “CRIF Metadati”. Questo patrimonio ci permette di avere osservatori esclusivi su molti fenomeni del mercato.

E quando si svolge un’analisi bisogna farlo, se mi concedi di usare una metafora, tenendo presente sia la fotografia, sia il filmino.

Quando dico fotografia, intendo la situazione attuale. E qui ci aiuta una ricerca che CRIBIS fa annualmente proprio sull’imprenditoria femminile.

Sappiamo che le imprese con un CdA a maggioranza femminile sono circa 1 milione, su un totale di 5 milioni di imprese attive in Italia.

Siamo in ritardo rispetto ad altri Paesi, soprattutto verso Spagna, Francia e Germania. C’è una ricerca, il Global Gender Gap 2022, che misura il divario di genere in termini di partecipazione economica e politica, salute e livello di istruzione in ben 146 Paesi. L’Italia mantiene dal 2021 la stessa posizione, cioè 63esima sul totale di 146 Paesi.

La fotografia ha però un senso diverso se guardiamo anche al filmino, cioè al trend e all’evoluzione nel tempo. Qui il quadro è più confortante. Nella stessa classifica, 10 anni fa, l’Italia era al 74esimo posto. Insomma, stiamo comunque risalendo la classifica nel gender gap e la situazione dovrebbe migliorare anche nell’imprenditoria.

Ci sono poi le imprese fondate e gestite da donne. Che, in generale, sono di piccole dimensioni e di recente costituzione, ma sono anche meno rischiose e più sostenibili.

Lo studio di CRIBIS ci dice che le imprese con una leadership al femminile sono spesso legate alla cura della persona, ad esempio parrucchiere ed estetista, oppure alla ristorazione, e quindi bar e ristoranti.

Dobbiamo comunque dire che i settori ad alta produttività, che hanno una maggiore incidenza sul PIL del Paese, vedono ancora una presenza minoritaria delle donne nei ruoli decisionali.

AG. Ci sono delle aree del nostro Paese in cui le imprese femminili sono più diffuse?

AF. Se guardiamo ai numeri assoluti, la distribuzione geografica delle imprese femminili si concentra nelle regioni più grandi, come è normale che sia. Sul podio troviamo Lombardia, Campania e Lazio, mentre Basilicata, Molise e Valle d’Aosta risultano fanalino di coda.

È sicuramente più interessante guardare alla percentuale di imprese femminili sul totale delle imprese in una regione. Perché saltano fuori delle sorprese interessanti: sono infatti il Molise, la Basilicata e l’Abruzzo a occupare i primi 3 posti della classifica. In queste regioni un’impresa su 4 è “rosa”, in virtù dei settori economici che caratterizzano il tessuto imprenditoriale di questa regione.

E in fondo alla classifica troviamo, invece, Veneto, Lombardia e Trentino-Alto Adige.

AG. Poco fa hai accennato al fatto che queste imprese sono, generalmente, di piccole dimensioni. Ci puoi dare qualche dato? E che cosa possiamo concludere da questi dati?

AF. Le imprese femminili sono principalmente di piccole dimensioni. Il 93% ha meno di 5 dipendenti, rispetto a una media nazionale del 21%.

La crescita delle dimensioni aziendali è influenzata anche dai settori in cui le imprese femminili operano. Lo vediamo anche dalla forma giuridica: nel 78% dei casi si tratta di ditte individuali o società di persone.

E appena il 17% delle imprese femminili riesce a diventare società di capitali. Un dato che sicuramente è di gran lunga sotto la media italiana.

Proviamo a guardare al fatturato. La dimensione influenza anche il valore della produzione, che non riesce a decollare. Le imprese femminili spessissimo restano attività a gestione famigliare.

La quasi totalità, il 97%, non supera il milione di fatturato: si tratta del 3% in più rispetto alla media italiana.

AG. Raccontaci anche qualche punto di forza delle imprese femminili...

AF. Ci sono alcuni dati in controtendenza rispetto alla media nazionale. Le imprese femminili sono di costituzione recente. Oltre il 54% ha meno di 15 anni di vita. E questo ci fa sperare bene per quanto riguarda il futuro, l’imprenditoria femminile potrebbe crescere anche grazie a un tessuto culturale in trasformazione per quanto riguarda le barriere all’entrata.

AG. Sempre all’inizio della nostra chiacchierata parlavi di una maggiore solidità: che cosa emerge sulle dimensioni economico-finanziarie delle imprese femminili?

AF. Le imprese femminili sono particolarmente attente alla solidità commerciale e finanziaria. Se guardiamo alla distribuzione del rischio commerciale, infatti, vediamo che più della metà di queste imprese ha un rischio di fallimento minimo o, comunque, inferiore del 4% rispetto alla media nazionale.

AG. Parlare di imprese femminili significa già parlare di ESG, siamo ovviamente nell’ambito del pilastro sociale, della maggiore inclusione delle donne nel tessuto produttivo e nella riduzione della disparità di genere. Proprio per questo vorrei chiederti se queste imprese guidate da donne sono più sensibili alle tematiche ESG.

AF. Dai nostri studi emerge una forte attenzione delle imprese femminili al tema della sostenibilità. Le performance delle imprese femminili sono infatti migliori rispetto alle aziende gestite da uomini.

Abbiamo misurato il grado di sostenibilità delle diverse imprese combinando l’ESG Score di CRIF e i questionari compilati dalle imprese sulla piattaforma SYNESGY.

Dallo Studio emerge che le imprese femminili superano dell’8% quelle maschili sul fronte della sostenibilità.

Lo stacco è particolarmente marcato nella componente ambientale: qui le imprese femmini sono al 44% di performance, rispetto al 41% delle imprese maschili.

AG. Hai citato l’ESG Score, una valutazione del livello di sostenibilità di un’azienda. La capacità di dimostrare la propria sostenibilità diventerà sempre più importante per le imprese in futuro. Sia per accedere al credito, sia come fattore competitivo e qualificante sul mercato. Che cosa può fare il settore bancario e finanziario per accompagnare le aziende in questo percorso?

AF. Il miglioramento della governance delle imprese, così come del loro impatto sociale e ambientale, è un vantaggio per tutta la società. Questa è la premessa necessaria per capire meglio la tematica ESG.

Ed è chiaro che i player finanziari sono chiamati a dare un considerevole e decisivo contributo in questa transizione.

Serve, infatti, una quantità impressionante di finanziamenti e i player finanziari devono essere in grado di valutare l’impatto ESG delle iniziative proposte dalle controparti, così da potere premiare le più meritevoli.

Le analisi di CRIF sui portafogli business hanno mostrato due aspetti chiave, che vorrei sottolineare.

Il primo è che le aziende “green” hanno un livello di rischio di circa il 44% inferiore rispetto alla media di portafoglio.

Il secondo è che le PMI e le aziende corporate che investono strategicamente nella sostenibilità possono ridurre i loro consumi di una quota compresa tra il 10% e il 30% l’anno, senza diminuire il servizio e la qualità delle operazioni aziendali, contribuendo in modo significativo a una minore emissione di gas serra.

AG. Come aiutare le imprese a prendere consapevolezza del loro posizionamento ESG e, dall’altro lato, gli attori del settore finanziario a valutare i progetti di sostenibilità delle imprese?

AF. Noi come CRIF mettiamo a disposizione lo Score ESG sintetico, sviluppato su un data lake di oltre 150 variabili e KPI disponibili per gli oltre 5 milioni di aziende italiane, cui si affiancano i servizi e la metodologia ESG di CRIF Ratings, che ha già valutato oltre 150.000 aziende.

CRIF ha inoltre sviluppato Synesgy, la piattaforma ESG globale per la valutazione della sostenibilità sia delle aziende che dell’intera supply chain, già utilizzata da oltre 500 banche a livello internazionale.

Per ottimizzare il processo, strutture specializzate di CRIF supportano la fase di onboarding e offrono assistenza guidata alle aziende per la compilazione.