La prima metà del 2025 è stata all’insegna degli sconvolgimenti geopolitici, tra dazi e tensioni internazionali. Lo scenario, per quanto riguarda il commercio, appare decisamente incerto e questo, alle imprese, non piace.
Abbiamo approfondito le prospettive per le aziende italiane, e come farvi fronte, in un episodio del nostro podcast #define banking, di cui questo articolo è un adattamento testuale, insieme a Roberto Gusmerini, Head of Dealing di eBury.
AG. Partiamo dalle minacce di dazi e dalla turbolenza geopolitica: come sta cambiando lo scenario internazionale per le nostre imprese?
RG. L’insediamento di Donald Trump è qualcosa che ricorderemo per anni, perché ha scatenato degli eventi che io reputavo impossibili: non ho detto improbabili, ma proprio impossibili.
A partire dal Liberation Day, a inizio aprile, si è scatenata una vendita generalizzata di tutto ciò che riguarda gli Stati Uniti. Un indebolimento del dollaro, sì, ma anche una sfiducia complessiva in tutto ciò che è USA: il comparto azionario ha sofferto moltissimo e i titoli di Stato sono stati colpiti in un modo che non mi sarei mai aspettato. Da qui le parziali retromarce di Trump, di fronte all’impennata del rendimento dei Treasury.
Adesso sembriamo essere in una nuova fase, dopo il primo annuncio di 90 giorni di sospensione ai dazi, poi smentito dal 1° giugno, poi confermato fino al 9 luglio. Si è aperta una fase negoziale, ma restano i danni alla fiducia verso gli Stati Uniti, come si vede dal rendimento dei titoli di Stato. La Borsa americana ha recuperato mentre il dollaro resta debole. E questo sembra confermare che molti operatori restano guardinghi.
AG. Veniamo alle imprese: questa profonda incertezza ha delle conseguenze importanti, in primis sul fronte valutario.
RG. Qualunque considerazione su questo tema potrebbe invecchiare in fretta e magari anche male. Io, da ottimista, mi aspetto che Trump sia più morbido nei prossimi mesi, per quanto sia assolutamente indecifrabile e imperscrutabile. Mi aspetto comunque una Presidenza meno protagonista e, quindi, una relativa stabilizzazione dei movimenti valutari e di altre asset class.
Le imprese affronteranno comunque un dazio di fondo generalmente più alto di prima. E questo porterà inevitabilmente maggiore inflazione, perché i maggiori dazi vanno in qualche modo distribuiti lungo la catena del valore.
Gli esportatori dovranno negoziare con i propri clienti una qualche revisione dei listini e anche gli importatori vivranno l’onda lunga di questa situazione, perché gran parte delle imprese italiane tendono a importare dalla Cina.
Andiamo quindi verso un mondo con maggiore inflazione e poca chiarezza. E quello che mi preoccupa di più, in uno scenario così incerto, è che sia difficile fare nuovi investimenti. E se non si investe oggi, è probabile che ci sia un rallentamento nel futuro: è questo il mio timore.
AG. Ebury è una delle aziende fintech che offre alle imprese servizi di nuova generazione, che fanno leva sulla tecnologia e sul digitale. In che modo il fintech può aiutare le imprese in questo contesto?
RG. Io penso che la partita si giochi sempre di più sull’efficienza e sulla velocità. I dazi provenienti dall’esterno impongono una negoziazione serrata con i clienti, per cercare di distribuirne l’impatto su tutta la catena del valore. Poter efficientare il processo di incasso, nel nostro caso di dollari americani, può fare la differenza.
È realistico aspettarsi una riduzione della marginalità per tutti e, quindi, è inevitabile cercare modi più efficienti di fare le cose. L’efficienza può essere vista come un’economicità del processo di trasferimento dei fondi, facendo leva sui vari schemi di pagamento e incasso locali. E, quindi, incassare dollari dagli USA con la stessa facilità con cui incassi euro in Europa, grazie a dei conti virtuali localizzati negli Stati Uniti.
In generale, serve liberare risorse che possono essere dedicate ad altro, quindi un aumento della produttività grazie al minor tempo dedicato all’incasso e alla gestione dei flussi valutari.
Infine, queste turbolenze richiedono anche di avere un approccio premiante alla mitigazione del rischio di cambio. Qui serve una specializzazione molto forte e noi cerchiamo di affiancare i clienti nell’identificare questi rischi per gestirli al meglio.
AG. E questo non solo per il dollaro americano, perché le turbolenze sui cambi riguardano tutte le geografie.
RG. Certamente. Nonostante le grandi narrative che circolano sull’alternativa al dollaro, un tema oggi molto inflazionato, la valuta americana resta quella che fa girare il mondo. Trovare un’alternativa richiederà, eventualmente, ancora molti anni.
Il dollaro è la prima tessera del domino: se è turbolento, ci sono ripercussioni pressoché istantanee anche sulle altre valute. Il renminbi, ad esempio, si è molto indebolito, per compensare almeno in parte l’impatto dei dazi annunciati da Trump. La sterlina, invece, ha quasi beneficiato da questa situazione, grazie a un commercio con gli USA tutto sommato bilanciato tra import ed export.
Oltre ai dazi, comunque, ci sono altri fattori, dalla crisi energetica alle tensioni internazionali. Il mondo è estremamente interconnesso e nessuno è esente da ciò che accade altrove.