La transizione ESG è una sfida importante per le PMI. In questo episodio di #define banking next, la serie di podcast sulla banca del futuro che AziendaBanca realizza insieme a CRIF, guardiamo nello specifico ai fattori S e G.
Abbiamo intervistato Antonio Furio, Senior Sales Director di CRIF.
AG. L’ESG è una tematica al centro dell’attenzione da diverso tempo. Che cosa rappresenta per una PMI?
AF. L'acronimo ESG sottintende tre macrotemi: E è Environment, ossia ambiente; S come Social, ossia sociale; e G come governance, ossia conduzione aziendale.
La valutazione di queste tre dimensioni produce uno score ESG, cioè un punteggio che indica come l'azienda si posiziona.
Rispetto a questi tre parametri, CRIF ha costruito la valutazione dello score ESG utilizzando tre elementi.
Il primo è il vasto patrimonio informativo che abbiamo a disposizione tra informazioni pubbliche e private.
Il secondo sono gli analytics che sono costruiti proprio per costruire lo score ESG.
Il terzo sono dei questionari che compilano direttamente le aziende.
Devo sottolineare anche che quando si parla di transizione ecologica l'attenzione si concentra spesso o quasi esclusivamente sulla lettera, che è la componente ambientale.
In realtà l'Unione Europea ha voluto dare una definizione molto ampia di “ambiente”, che considera sia il contesto in cui l'azienda opera con la componente social, sia le caratteristiche di chi la governa, ossia la componente governance.
AG. Guardiamo allora ai due fattori un po’ più trascurati, cioè la S e la G. Come si misurano le performance di un’azienda in queste due aree?
AF. Questi parametri derivano da una normativa, sono stati definiti da EBA insieme ai criteri di valutazione di tutti gli elementi che compongono lo score ESG, e sono detti EBA Factor.
Guardiamoli, quindi, questi fattori. Sul fronte Social, gli EBA Factor sono relativi, ad esempio, alla relazione con i dipendenti, la relazione con il cliente, il rapporto con la comunità di appartenenza, il rispetto dei diritti umani, l'attenzione delle tematiche legate alla fame e alla povertà. Faccio un esempio in questo caso: l'aiuto ai lavoratori più svantaggiati
Il fattore S è il più complesso da misurare, in quanto l'impatto delle attività dedicate da un'azienda al benessere sociale sono difficili da quantificare. Questo impatto può manifestarsi in un periodo temporale molto lungo. Ed è anche oggettivamente complicato raccogliere informazioni sulle singole iniziative sociali di un’azienda.
Vengono pubblicizzate solo al momento, non ne esiste un archivio sistematico, e le informazioni relative sono disponibili sul sito aziendale, oppure sui quotidiani locali.
Può infatti estendersi su un periodo temporale molto lungo, ma in generale è oggettivamente complicato raccogliere informazioni sulle singole iniziative sociali che spesso le aziende pubblicizzano solo al momento o che non vengono archiviate in maniera sistematica. Il fatto che un'azienda abbia ad esempio un asilo nido interno per favorire le neomamme o che sia stata regalata un'ambulanza all'ospedale sono informazioni disponibili sul sito internet dell'azienda o su quotidiani locali.
AG. E per quanto riguarda la Governance, invece?
AF. Anche qui partiamo dagli EBA Factor, che sono relativi a considerazioni etiche, ad esempio al fatto che i rappresentanti aziendali non abbiano condanne penali, alle strategie dell’impresa, al risk management, al diversity management, e qui pensiamo al gender gap o alla differenza di retribuzione tra uomini e donne.
Oppure alla trasparenza, con la chiara indicazione di chi è il legale rappresentante dell'impresa piuttosto che trovarsi di fronte a una fiduciaria.
Qui troviamo principalmente business information, informazioni ufficiali provenienti da Camere di Commercio, Tribunali, uffici di pubblicità immobiliare, oppure da notizie di stampa o comunicati aziendali, raccolti tramite tecniche di web scraping.
C’è però una differenza importante tra grandi imprese e aziende più piccole, perché in questo caso i dati sono più difficili da recuperare.
CRIF quindi pondera maggiormente questo fattore per le aziende dotate di bilancio, principalmente le società di capitali, per le quali è disponibile un patrimonio informativo di partenza più ricco e affidabile, mentre effettua una stima del valore per le aziende che non presentano informazioni a riguardo.
AG. Veniamo ai dati reali. Che cosa avete osservato circa il posizionamento delle PMI italiane per quanto riguarda i fattori Social e Governance?
AF. La principale evidenza è una correlazione tra score e dimensioni. Le aziende più grandi hanno incominciato prima a dare attenzione alle componenti Social e Governance e sono strutturate per fornire maggiori dettagli verso l'esterno.
C’è quindi anche una correlazione tra fatturato e adeguatezza sociale.
Il leader dei fattori S e G è il settore Farmaceutico, in cui il 48% delle aziende ha un livello di adeguatezza molto alto. Seguono Elettronica, Meccanica e Mezzi di Trasporto.
Colpisce che le aziende agricole, di costruzioni, turistiche e immobiliari, caratterizzate tipicamente dalle dimensioni famigliari, prestano meno attenzione alle regole del governo societario e presentano valutazioni più basse.
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, l’attenzione verso il benessere sociale sembra più sviluppata nel Nord Italia e nel Lazio (dove si trovano molte aziende farmaceutiche). Va invece decrescendo nelle regioni del Centro e del Sud, per effetto di fattori come la maggior precarietà lavorativa, una spesa media per dipendente inferiore.
Nella Governance, invece, presenta una concentrazione nella classe media omogenea tra le regioni italiane, con alcune del meridione che risultano più virtuose della media per effetto di elementi come il gender pay gap, cioè la differenza di salario annuale medio tra uomini e donne.
AG. Come state lavorando con le banche per la valutazione dello score ESG delle PMI?
AF. Iniziamo col dire che CRIF ha sempre avuto un’attenzione forte alla sostenibilità. Già sei anni fa, quando ancora non si parlava di ESG, insieme alla European Mortgage Federation abbiamo condotto i primi studi per dimostrare la correlazione tra consumo energetico e rischio di credito.
E già da quegli studi si evidenziava che i proprietari di immobili con migliore coefficiente energetico avessero un minor rischio di credito.
Partendo da queste esperienze, nel momento in cui si è cominciato a parlare di ESG, siamo stati chiamati al tavolo Transparency dell'Unione Europea, per definire i requisiti necessari per valutare un'azienda dal punto di vista ESG.
Abbiamo costruito un database ESG alimentato con i dati pubblici, i dati proprietari di CRIF, i dati rilevati dei questionari Synesgy, i dati web, le certificazioni ISO, le dichiarazioni DNF, i report di sostenibilità, in modo da raccogliere evidenze da tutte le tipologie di imprese.
Questa conoscenza di base, quindi i dati integrati con gli algoritmi, ci ha consentito di realizzare diversi progetti nel mondo, ne cito solo alcuni.
Abbiamo supportato il Banco BPM per l'emissione di green bond attraverso la valutazione di 1 miliardo di euro di mutui green.
Abbiamo sviluppato un progetto di circular economy insieme a Intesa Sanpaolo. Abbiamo valutato dal punto di vista ESG e rischio di transizione il portafoglio crediti di Gruppo BPER nell'ambito assicurazioni.
Con ARAG, abbiamo lavorato per migliorare la redditività dei prodotti di sostenibilità dedicati alle imprese. Con la banca giordana Bank al Etihad abbiamo un accordo per garantire l'accesso alla piattaforma Synesgy per il segmento SMI e Corporate. In più abbiamo creato un modello per valutare i rischi fisici che è stato anche premiato da Banca d'Italia.