PHINANCE PARTNERS

Cartolarizzazioni e private capital in affiancamento alle banche per la crescita economica

Cartolarizzazioni e private capital in affiancamento alle banche per la crescita economica

Enrico Cantarelli, founder e Managing Partner di Phinance Partners SpA

Uno dei temi economici più rilevanti nel dibattito pubblico europeo è quello sul finanziamento dei diversi settori su cui si richiede all’Europa di investire, con la transizione energetica e la spesa militare tra i più citati.

Ma l’economia europea ha da molti anni investito poco sulla propria crescita e l’ha fatto in ordine sparso, rendendo poco efficienti le già scarse risorse.

Il risultato è che la produttività europea è in calo nel confronto economico globale, e un dato rende bene l’idea: se 15 anni fa l’economia USA e quella dell’eurozona erano sostanzialmente equivalenti, oggi quella USA vale quasi il doppio di quella europea.

E se guardiamo all’Italia, con l’economia in stagnazione da anni, la situazione è ancora più complessa.

Difesa, space economy, AI e data center

Ma proviamo a fare qualche considerazione guardando al futuro. Il settore della difesa, ad esempio, vede l’Europa spendere un terzo di quanto fanno gli Usa (e con minore efficacia, per la frammentazione della spesa tra i singoli Paesi), mentre la Cina negli ultimi 20 anni ha quintuplicato la spesa militare.

Ci sono poi il nuovo fronte della space economy, dove l’Europa investe un sesto degli USA, e quello della transizione energetica. Con quest’ultimo che è rilevante non solo per ragioni ambientali, ma anche per questioni economiche e di sicurezza dell’approvvigionamento energetico.

Basti pensare che la Spagna, che ha investito in rinnovabili ben più dell’Italia, oggi beneficia di un costo dell’energia pari al 60% del nostro. Aggiungiamo poi che la rete elettrica europea, necessaria per consentire di gestire la transizione energetica, è tra le più vetuste al mondo.

C’è poi l’economia del futuro, che possiamo sintetizzare in AI e data center. La Cina ha oggi oltre il 60% dei brevetti globali sul fronte dell’AI, contro il 21% degli USA e il 2% dell’Europa. Questo perché non investiamo abbastanza in innovazione. Abbiamo infatti solo il 22% delle startup attive nell’IA, a fronte del 43% degli USA e del 30% della Cina.

I finanziamenti nell’era del credit crunch

Mi fermo qui, ma gli esempi sarebbero ancora molti. In questo scenario, dove trovare i soldi per finanziare la crescita dell’Europa, garantirci la sicurezza, e far ripartire l’economia? Dalle banche? L’Europa è già significativamente più “bancocentrica” rispetto agli USA, con gli asset degli istituti europei pari al 350% del PIL, a fronte di poco più del 100% degli USA.

A questo si aggiunge il trend di riduzione dei prestiti bancari alle imprese, determinato dagli effetti della regolamentazione: oggi in Italia i prestiti bancari alle imprese sono pari al 30% del PIL, quando nel 2010 raggiungevano il 55%.

Servono quindi canali alternativi o integrativi di finanziamento. Una possibile strada è rappresentata dal mercato pubblico dei capitali, ma è ostacolata da alcuni fattori.

In primo luogo dall’assenza di un mercato unico europeo dei capitali, che rende frammentato l’accesso a capitali pan europei.

Il secondo dalla relativamente minore dimensione dei corporate europei rispetto a quelli USA.

Le grandi aziende già oggi si finanziano facilmente sui mercati globali, ma chi ha difficoltà sono le PMI, che rappresentano l’ossatura del tessuto economico europeo e ancora di più di quello italiano.

Il paradosso dei minibond

Una delle risposte che il sistema ha generato è stata quella dei mini bond, sul quale si sono attivati i “capitali pazienti” italiani, in particolare quelli previdenziali, affiancati da una minima parte di quelli retail, grazie anche alle agevolazioni fiscali dei PIR.

Ma c’è un paradosso: molti dei minibond vengono sottoscritti dalle banche, che avrebbero però semplicemente potuto concedere un finanziamento all’impresa. E anche quando sono sottoscritti da fondi, non essendoci un vero mercato, si riducono a un buy & hold, quindi del tutto inefficaci per lo sviluppo di un reale mercato dei capitali.

Da ultimo, non sono funzionali nemmeno all’attrazione di investitori internazionali, poiché il loro rapporto rischio-rendimento-illiquidità li rende sconvenienti rispetto ad altre opportunità a disposizione degli investitori.

Le cartolarizzazioni per finanziare l’economia reale

La vera risposta al fabbisogno di capitali sarebbe quella del private debt, e nello specifico dalle opportunità offerte dal cosiddetto structured credit (cartolarizzazioni e strumenti simili), che consente ai capitali privati di arrivare all’economia reale.

Sono moltissime le opportunità per finanziare l’economia reale attraverso le cartolarizzazioni, facendo leva sui flussi finanziari “affidabili” delle aziende. In questi casi, al fondo che investe si può affiancare la banca come finanziatore senior, minimizzando a suo favore l’assorbimento patrimoniale.

Un esempio massivo di questo genere di interventi si è visto durante il Covid con i prestiti alle PMI con garanzia del fondo centrale. Operazioni in cui la banca interveniva come investitore senior, finanziando a basso costo la quota garantita dal fondo, mentre il fondo interveniva nella quota junior, con rendimenti più attraenti.

Investitori italiani vs investitori esteri

Il problema è la scarsa disponibilità di investitori italiani in grado di valutare operazioni di questa tipologia. Esistono al contrario numerosi investitori internazionali, in particolare anglosassoni, che ne comprendono e apprezzano il rapporto rischio-rendimento.

Si tratta però di operatori che gestiscono decine di miliardi, interessati quindi a operazioni con una tranche non inferiore ai 50-100 milioni, una dimensione inadatta al mercato italiano, dove la gran parte delle operazioni non supera i 20 milioni di euro.

La spinta regolamentare

Vi è quindi la necessità di mobilitare gli investitori italiani su questa asset class, e parte della soluzione è di tipo regolamentare.

In questo periodo è in corso una consultazione della Commissione Europea sul futuro del mercato europeo delle cartolarizzazioni, che vale in Europa solo un quarto di quello americano.

Tra le soluzioni in discussione, c’è la modifica della normativa sugli investimenti delle compagnie di assicurazione, la cosiddetta Solvency II, che assegna alle cartolarizzazioni un assorbimento patrimoniale altissimo.

L’effetto di questo è che la quota del capitale investito in cartolarizzazioni da parte delle assicurazioni vita europee è dello 0,33%, a fronte del 17% per quelle americane.

Sono numerosi i possibili interventi che l’Europa potrebbe mettere in campo per liberare risorse da impiegare nell’economia reale.

Ma è importante e urgente iniziare, ed è auspicabile che proprio dalla Commissione Europea arrivino nuovi input - e strumenti normativi - capaci di sostenere gli investimenti e far ripartire l’economia europea.