Quiet quitting: Italia prima in Europa per disaffezione professionale

quite quitting

In un contesto di mercato dove le aziende si fondono o vengono acquisite è strategico capire come trattenere e motivare le risorse dell’azienda acquisita. Capire, dunque, quali sono i bisogni lavorativi ed evitare, inoltre, uno dei fenomeni che dalla pandemia ha interessato il mondo: il quite quitting, una disaffezione professionale che può essere legata alla incapacità dell’azienda di saper coinvolgere i talenti.

Che cosa significa quiet quitting?

Il termine quiet quitting è stato e continua a essere al centro di un acceso dibattito.

Si potrebbe tradurre condimissioni silenziose”, ma dietro le numerose interpretazioni dell’espressione, si nasconde in realtà un fenomeno noto: un sempre più diffuso senso di frustrazione correlato al lavoro, già messo in luce dalla Great Resignation (le dimissioni di massa verificatesi a partire dal 2021), che induce a ripensare la cultura del sacrificio sul lavoro e a ricercare un migliore equilibrio tra vita privata e impiego.

Ricerca sul quiet quitting

La piattaforma EdTech spagnola Twenix ha redatto un White Paper sul tema ed emerge che l’Italia è maglia nera europea per disaffezione professionale e chi vuole cambiare lavoro ha scarse competenze: il 52% degli intervistati non è in grado di sostenere una conversazione in inglese.

I dati dello studio

Secondo l’indagine State of the global workplace 2022 della società americana di analisi e consulenza Gallup, riportata nel White Paper, la percentuale media di engagement a livello globale è del 21%.

Solo negli Stati Uniti almeno la metà degli americani sembra composta da quiet quitters mentre l’Europa è ultima tra i continenti per coinvolgimento sul lavoro, con una percentuale del 14%.

E l’Italia? Il Bel Paese è il fanalino di coda del vecchio continente con una percentuale di engagement del 4%.

Ribaltato il paradigma lavorativo tradizionale

Negli ultimi anni i lavoratori, anche sotto spinta dello scoppio della pandemia, hanno deciso di ridefinire le priorità di vita e il proprio rapporto con il lavoro, cercando un migliore equilibrio esistenziale.

Secondo un altro studio citato nel White Paper, il 95% degli intervistati considera la compatibilità con la vita privata l’aspetto più importante sul lavoro, a pari merito con la retribuzione.

Meno disposti a scendere a compromessi sul lavoro sono, in particolare, i millennial e la generazione Z, costretti a confrontarsi con un mercato del lavoro che dà loro scarse prospettive di stabilità e opportunità di crescita e inclini perciò a cercare la realizzazione personale anche in altri aspetti dell’esistenza.

«Oggi si dà valore ai risultati, all’impegno, alla proattività e a tanti altri aspetti che hanno a che vedere con il vero impatto che hanno le persone all’interno delle organizzazioni», ha commentato in proposito Beatriz López Arredondo, Head of People in Twenix.

L’importanza della formazione. Perdura lo scoglio dell’inglese

A oggi per le aziende è centrale avere un piano di wellbeing aziendale che passa anche attraverso la formazione.

Uno studio condotto nel maggio 2022 da Twenix dal titolo “Perché l’inglese è ancora un ostacolo nella tua azienda (e come superarlo)” rivela che per un italiano su due l’inglese nel mondo del lavoro rappresenta ancora un ostacolo: sebbene il 93% degli intervistati ne riconosca l’utilità in ambito lavorativo, il 52% di essi si blocca nel momento di intavolare una conversazione.

«Secondo quanto riferisce GoodHabitz, sebbene l’80% dei professionisti abbia necessità di formarsi, solo il 15% di essi decide di intraprendere un percorso formativo. Questa voglia di autoformarsi a volte non si concretizza per una questione economica, di priorità, di impegni», spiega Beatriz López Arredondo. «Le cose cambiano se è la compagnia a offrire ai propri dipendenti una possibilità per formarsi in inglese».

 

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