Dopo il giro di vite dato dal Presidente Trump negli Stati Uniti, le politiche di Diversity e Inclusione non se la passano benissimo neanche da noi. Secondo una indagine LHH, il 56% dei manager delle aziende italiane ritiene che questi programmi non siano prioritari.
Oltre la metà delle aziende nostrane, il 54%, non ha previsto alcuna iniziativa di DE&I (l’acronimo sta per Diversity, Equity e Inclusion) e il 15% dei manager non è informato sul tema o, comunque, non è interessato.
Va detto, comunque, che c’è anche una certa confusione: il 25% delle aziende non ha saputo indicare se questi programmi siano o meno prioritari. Un grande boh.
Significativo il fatto che a sentirsi più responsabili e attenti a questo tema risultino gli intervistati in ruoli apicali, oppure che guidano team importanti. Mentre i loro sottoposti non vedono programmi aziendali concreti di promozione dell’equità (66%). Insomma, chi ha un ruolo di coordinamento di più persone appare più consapevole dei potenziali vantaggi di diversità e inclusione (ne parliamo tra un paio di paragrafi).
Infine, una nota geografica: al nord-est le iniziative di parità vengono indicate come prioritarie appena dal 9% delle aziende, mentre si sale al 22% nel centro-sud e al nord-ovest.
Chi li conosce, li apprezza
C’è comunque una certa consapevolezza dei vantaggi di queste iniziative. Un gruppo variegato favorisce l’empatia, secondo il 49%, e soprattutto porta nuove idee (54%). L’inclusività permette anche di evitare un turn over di talenti, 40%, e aumenta così l’efficienza, 37%.
Interessante anche il modo in cui viene intesa l’inclusività in azienda. Prevalgono gli aspetti di performance e remunerazione: consentire pari opportunità di crescita professionale (75%), equa retribuzione (55%) e promozione del senso di appartenenza (cultura aziendale) (43%).
In secondo piano, invece, aspetti come la flessibilità oraria (18%), una effettiva apertura a smartworking e programmi “work from anywhere” (15%), la flessibilità circa congedi parentali e di assistenza familiare (10%), i servizi supplementari in azienda come mensa o asilo nido (10%) e i benefit-welfare non monetari (9%).
«Considerare fondamentale l’importanza dell’inclusione e il rispetto delle diversità nel mondo del lavoro è cruciale ed è un’esigenza reale – commenta Luca Semeraro, Country President Italy e SVP Recruitment Solutions DACH, Netherlands and Poland di LHH. Il management e i C-level sono chiamati a giocare un ruolo cardine nel veicolare messaggi di inclusività affinché raggiungano tutti i livelli della gerarchia aziendale. Nello specifico, le figure apicali sono il canale preferenziale per trasferire best practice, sono loro ad avere il margine necessario per veicolare approcci realmente innovativi e a far in modo che anche i sottoposti percepiscano le iniziative DE&I messe in atto. Dare spazio all’onestà intellettuale e allenare l’intelligenza emotiva per assumere punti di vista variegati, consente al management di essere realmente integrato nella realtà degli individui, ancor prima che dei dipendenti. L’attuale scenario lavorativo sta richiedendo sempre più apertura mentale e resilienza, dunque, non solo prospettive, ma anche impegno concreto per considerare primaria la centralità della persona».