Il crowdfunding immobiliare italiano dovrebbe collaborare e darsi delle regole comuni in diversi ambiti. La relazione con gli investitori, in primis, per fornire una “educazione di base” su funzionamento – e rischi – di questo strumento. Ma anche definire dei requisiti minimi per la selezione e la comunicazione dei progetti da caricare nelle piattaforme: una sorta di “soglia minima” per accedere a questo strumento, a tutela di operatori e utenti.
È la proposta fatta in questa intervista da Giacomo Bertoldi, CEO di Walliance, di fronte a due constatazioni. La prima, di cui vi raccontiamo da ormai qualche mese, è il rischio reputazionale a cui il settore è esposto a causa degli intoppi di alcuni progetti – e di un paio di portali – e dell’ondata di commenti negativi online. Il secondo è che il Regolamento Europeo sul Crowdfunding ha trascurato, finora, alcuni aspetti fondamentali.
AG: Giacomo, negli scorsi mesi abbiamo raccontato del pericolo reputazionale a cui è esposto il crowdfunding immobiliare: moltissimi commenti negativi online, lasciati da investitori delusi, che quasi sempre accusano le piattaforme di averli abbandonati. Che cosa non ha funzionato?
GB: Ci sono molti forum e canali Telegram in cui le persone non solo si lamentano dei ritardi legati ai progetti immobiliari, ma arrivano ad accusare i gestori di truffa, parlando di schemi Ponzi e così via. Alla base di questa reazione ci sono alcune incomprensioni: le persone hanno investito il loro denaro senza sapere due cose fondamentali.
Primo: il portale non è responsabile dell’andamento dei progetti che vengono pubblicati sulla piattaforma, salvo per quanto previsto dal Regolamento. Secondo: è assolutamente normale che un cantiere subisca ritardi; è nella natura del real estate imbattersi in continui imprevisti.
AG: Iniziamo dal ruolo del portale di crowdfunding immobiliare. Lo abbiamo detto altre volte: vi trovate inevitabilmente nel mezzo tra l’azienda finanziata, in ritardo coi lavori, e gli investitori preoccupati. Quali sono le responsabilità del portale, in questi casi?
GB: Un portale di crowdfunding immobiliare non è tenuto a verificare i dati relativi al progetto immobiliare, compresa la durata prevista. I portali, per legge, non hanno i titoli per dare un giudizio di audit di progetto né sono tenuti a farlo. Dobbiamo fare “RTO”, ovvero ricezione e trasmissione di ordini.
In pratica, il portale deve solo verificare che l’azienda proponente abbia i requisiti per fare un’offerta al pubblico e che ovviamente a T0 il progetto sia meritevole: un corretto KYB, controllare che l’azienda non abbia superato i 5 milioni di euro di raccolta negli ultimi 12 mesi e che i suoi amministratori rispettino i requisiti di onorabilità e tutti i requisiti previsti dalle norme.
AG: In pratica, sarebbe possibile gestire un portale di crowdfunding immobiliare senza avere competenze di real estate?
GB: Sì, esatto. Una volta verificato che l’azienda rispetti i requisiti previsti dalla legge per accedere allo strumento, per la descrizione del progetto possiamo affidarci semplicemente a quello che ci viene fornito dall’azienda. Noi, come Walliance, abbiamo portato delle competenze interne per valutare le operazioni.
Ma, per Regolamento, non possiamo assegnare un rating, a meno di rispettare una serie di criteri molto complessi. L’idea del legislatore è che il portale si trova in conflitto di interesse: incassa una commissione se un progetto raccoglie; quindi, potrebbe essere tentato di valutarli tutti in modo favorevole.
Questo, però, costringe a non fornire un rating di progetto, a meno di affidarsi a terze parti. Su Walliance riceviamo una valutazione di bilancio dell’azienda, appoggiandoci ad una rating agency autorizzata ESMA, e non ammettiamo realtà con un punteggio inferiore a BB. Questa però è una nostra scelta interna, non c’è una imposizione normativa.
Ogni progetto viene poi valutato per noi da JLL, che analizza le assumption dell’azienda proponente e i dati di mercato. Il punto però è che il mercato immobiliare è imprevedibile: oggi puoi stimare un tempo di 10 mesi per completare la vendita di un appartamento, ma il risultato finale dipenderà da moltissime variabili. L’imprevisto è nella natura del real estate.
AG: I piccoli investitori che hanno messo il loro denaro su molte piattaforme, però, non avevano le idee molto chiare su questi punti.
GB: È un problema che ci portiamo dietro dai primi passi del crowdfunding. Inizialmente doveva essere una sorta di mercato delle idee per le startup: un canale alternativo di finanziamento, dedicato alle microPMI. Molte persone sono state attirate dallo strumento, senza avere compreso il rischio di investire in una startup: l’incentivo fiscale, poi ridimensionato, serviva a mio modo di vedere a compensare le elevate perdite attese.
Il real estate crowdfunding è arrivato in un secondo momento, con un’idea che resta valida: l’asset sottostante, l’esistenza di qualcosa di tangibile, rende più difficile perdere tutti i propri soldi. Il rischio di rimetterci parte dell’investimento c’è, ma il rischio è inferiore rispetto alle startup. E infatti, non ci sono benefici fiscali. Per questo è indispensabile diversificare su più operazioni e non solo su un’operazione. La diversificazione permette di gestire meglio i rischi.
Negli investitori, però, manca la consapevolezza che il mercato immobiliare è comunque complesso, così come lo sono tanti altri. Stai facendo un investimento illiquido, in una società che deve costruire una casa e venderla.
AG: Ma non sono i portali che, invece, hanno comunicato poco efficacemente i rischi, mettendo in risalto solo il rendimento stimato e la soglia bassa di investimento minimo?
GB: Su questo punto emergono tutti i limiti dell’attuale regolamentazione del crowdfunding. In Francia, già da anni, ci sono norme severe sui disclaimer: bisognava già dal 2014 accettare i rischi e dichiararsi consapevole che si possono perdere tutti i propri soldi. In altri mercati, penso alla Spagna, questo non si trova in alcuni casi nemmeno oggi.
La normativa impone genericamente di informare l’investitore. Noi di Walliance abbiamo testato una campagna pubblicitaria online con una landing page che riportava un semplice disclaimer che spiegava, appunto, la rischiosità dell’investimento, prima di poter accedere al sito. Nel 99% dei casi, il visitatore abbandonava la navigazione. Serve un allineamento nella comunicazione di tutti i player per quanto riguarda opportunità e rischi. Troppo spesso si comunicano a gran voce le raccolte milionarie e si tacciono i progetti chiusi con rendimenti modesti, oppure in perdita.
Dovremmo definire insieme dei requisiti minimi per permettere a un progetto di accedere al crowdfunding immobiliare. I requisiti interni dei portali sono tutti diversi e, a quel punto, il portale si deve assumere la responsabilità di avere deciso che il tal progetto era meritevole. Mi è capitato diverse volte di vedere la pubblicazione, da parte di altri player, di campagne che noi avevamo rifiutato. E probabilmente sarà successo anche a loro. Dipende dai requisiti, dalle garanzie richieste, etc.
Stabilire delle regole comuni ci permetterebbe di creare un canale diretto ed efficace con gli investitori. Commettere errori è inevitabile, i ritardi nei cantieri sono una cosa assolutamente normale, ma dobbiamo riuscire a gestire insieme il modo in cui comunichiamo e raccontiamo il nostro settore.
AG: Il regolamento europeo, quindi, non ha creato un mercato unico con le medesime regole?
GB: Niente affatto. Il Regolamento permette agli operatori di lavorare in più Paesi, ma in ogni mercato ci sono regole di marketing e comunicazione diverse. Anzi: molto diverse. Così come sono diverse le interpretazioni delle Autorità nazionali.
Già prima del Regolamento c’erano differenze molto significative tra i portali di equity autorizzati Consob, come noi, e quelle di lending: queste ultime agivano come subagente di una Payment Institution europea, noi eravamo vigilati da Consob e dovevamo appoggiarci a una banca italiana.
A novembre 2023 abbiamo dovuto rifare il KYC di tutti i nostri clienti (Walliance è una SIM, NdR), attivando anche i wallet per la gestione delle transazioni finanziarie (un piccolo conto di pagamento dedicato a ogni cliente) perdendo inevitabilmente per strada una parte dei nostri 10mila investitori attivi. Sappiamo di piattaforme che hanno aperto per errore Wallet anche in presenza di documenti chiaramente finti, con fotografie e dati palesemente falsi.
La differenza tra il modo in cui il Regolamento è stato recepito nei diversi Paesi europei è palese quando guardiamo al questionario di appropriatezza: Walliance fa decine di domande, anche negli altri mercati in cui è autorizzata a operare. Ci sono portali esteri che arrivano in Italia e hanno questionari di appropriatezza minimal, con una manciata di domande.
C’è poi il caso di chi sta palesemente ignorando le regole di base: ci sono piattaforme che non rispettano il GDPR, non è neppure possibile fare opt-out dalle loro newsletter. Finiamo nel paradosso che rispettare le regole possa penalizzarci.
Non c’è omogeneità neanche per quanto riguarda la tassazione. Per essere generici, in Spagna si paga il 19%, in Francia il 33%, nonostante il mercato transalpino sia il più rilevante per il crowdfunding immobiliare a livello europeo. E anche in Italia ci sono alcuni aspetti fiscali su cui aspettiamo una risposta da parte dell’Agenzia delle Entrate.
AG: Grazie al Regolamento europeo, però, i tassi di default ora sono pubblici e vanno comunicati.
GB: Alcuni portali rendono questi dati ben visibili, altri meno, in base a quanto sono lusinghieri. Dal 30 aprile scorso siamo tutti tenuti a pubblicarli e mantenerli aggiornati. Noi facciamo una analisi globale del tasso di default del crowdfunding immobiliare e siamo a una media dell’8%.
Questi dati possono aiutare a cambiare la mentalità dell’investitore. Troppo spesso si guarda solo a quanti progetti sono andati bene su un portale e a quanto hanno reso. I dati sui default aiutano a prendere in considerazione il rischio di queste operazioni.
AG: Intanto, però, centinaia di investitori infuriati continuano a scambiarsi commenti sui social e a contattare le redazioni, compresa la nostra. Che cosa possiamo dire a questi utenti, non solo di Walliance ma anche degli altri portali?
GB: Il principale motivo per cui la gente è scontenta è che non hanno compreso come funziona il crowdfunding immobiliare. Non è automatico che se investi in un progetto, verrai liquidato. Ti posso portare un esempio perfetto, che riguarda proprio noi. Si tratta dell’operazione Miami Wynwood 9: un quartiere alla moda di Miami in cui un imprenditore celebre e solido voleva avviare un progetto, con partner di primo piano.
Raccogliamo 1,3 milioni di euro. Questo cantiere non è mai partito. Wynwood è un quartiere artistico e servivano diverse autorizzazioni. Le procedure vanno a rilento, poi arriva la pandemia di Covid-19 e anche negli USA chiudono tutto. Restiamo in attesa per mesi e mesi. Poi c’è stato il crollo delle Champlain Towers, che ha avuto conseguenze importanti in Florida. Tutti i nuovi permessi di costruzione sono stati bloccati, in attesa di verifiche sui materiali di costruzione per definire nuovi standard. All’epoca finanziavamo i progetti prima del permesso di costruire: cosa che oggi, per fortuna, non facciamo più.
Tutti questi imprevisti non avevano nulla a che fare né con l’azienda proponente, né con la qualità del progetto. Ma hanno bloccato gli investimenti dei nostri utenti. E subito qualcuno ha iniziato a scrivere online parlando di truffa, accusandoci di avere rubato i loro soldi. Mesi e mesi di insulti. Per due anni abbiamo mantenuto i contatti con l’imprenditore, anche se non è esattamente il nostro mestiere previsto dal vecchio regolamento, per spiegargli che dall’altra parte non c’erano fondi di investimento o professionisti della finanza, ma consumatori che usavano una piattaforma di crowdfunding.
E siamo riusciti a sbloccare la situazione, dopo cinque anni, dove lo sviluppatore, grazie all’aumento del valore del terreno dove sorgerà l’operazione, ha erogato di tasca sua un rendimento complessivo del 44%, intorno all’8% annuo, rimborsando l’integrale capitale.
Il tono dei commenti online è cambiato repentinamente, da un giorno all’altro. Ma per anni abbiamo ricevuto solo insulti su quest’operazione. E da una analisi interna abbiamo scoperto che dietro quasi tutti questi commenti c’erano sempre le stesse persone: meno dell’1% degli investitori. Questo ci ha insegnato che c’era un problema di competenza e comprensione di come funziona lo strumento del crowdfunding immobiliare. Elevare l’investimento minimo è stata una strada per permetterci di essere esposti ad una platea di investitori più consapevoli.
Rimane poi la maggioranza di investitori dei quali non abbiamo fatto menzione, che sono invece soddisfatti. Sono felice quando un investitore mi racconta di aver diversificato il proprio portafoglio che nonostante i ritardi di diverse operazione gli ha reso il 12% annuo.