#DEFINE BANKING

La nuova fase del Banking as a Service

La nuova fase del Banking as a Service

Stiven Muccioli, CEO e founder di BKN301

Il Banking as a Service, BaaS per gli amici, è un modello innovativo di erogazione di servizi finanziari di cui parliamo ormai da qualche anno. Le aspettative iniziali sul Banking as a Service non sempre si sono tradotte in realtà. Anzi, il modello stesso del BaaS ha dovuto evolversi fino a prendere una forma nuova. E lo dimostra anche la storia recente di alcune fintech protagoniste della prima fase.

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Ne abbiamo parlato con Stiven Muccioli, CEO e founder di BKN301, in un episodio del nostro podcast #define banking, di cui questo articolo è un adattamento testuale.

AG. Iniziamo con una definizione utile ai meno esperti: che cosa è il Banking as a Service?

SM. È una industria del mondo fintech che offre, in modo completamente nuovo, servizi tecnologici regolati ad aziende bancarie e non. Queste ultime possono così fornire servizi finanziari ai loro clienti finali, pur non essendo banca.

Una definizione più simpatica è “democratizzazione della tecnologia bancaria”, che diventa così accessibile anche ad aziende non finanziarie e che vogliono offrire servizi innovativi, tramite tecnologie plug and play di semplice implementazione.

AG. Parliamo di BaaS già da qualche anno e abbiamo visto una certa evoluzione dell’offerta e dei player. Secondo te questo modello si è sviluppato quanto ci si aspettava anni fa? O le aspettative erano troppo altre?

SM. Il Banking as a Service è una categoria molto ampia che abbraccia diversi settori e tipologie di servizi.

Quando è partito, tra il 2015 e 2016, i primi operatori volevano trasformare aziende non bancarie in banche, permettendo loro di offrire servizi finanziari ai loro clienti. Questa logica è valida: i clienti sono interessati al prodotto, non alla “commodity”, cioè l’azienda finanziaria. Una proposta che è ancora interessante per operatori retail come social media, GDO e così via.

Negli anni, però, abbiamo imparato, e qualcuno ne ha pagato le conseguenze, che quel modello funziona bene ma è difficile da scalare. Nei singoli verticali, l’implementazione sul campo richiedeva sforzi molto importanti su ogni singolo progetto.

Ecco quindi che dopo la pandemia il Banking as a Service è evoluto verso i modelli della statunitense Unit, ma anche della nostra BKN301. Si è cioè focalizzato sull’aspetto tecnologico per fornire piattaforme con soluzioni cloud, plug and play, più semplici, efficienti ed economiche per il mondo banking.

Il risultato è che oggi anche molti operatori tradizionali, oltre alle fintech, utilizzano soluzioni BaaS, come embedded finance o plugin finanziari, all’interno della loro offerta. Rivendendo, a volte, questi servizi a operatori retail.

Possiamo dire che siamo passati da un B2B “puro” a un B2B2C molto più scalabile e che intercetta le esigenze di un mercato che ha bisogno di evolvere, cioè quello della tecnologia bancaria.

Nello specifico dell’Italia ci sono i grandi centri servizi e le aggregazioni di servizi tecnologici che hanno bisogno di innovazione. E le banche stesse si ritrovano ad affiancare gli operatori fintech nell’offerta di servizi BaaS.

AG. Abbiamo visto come nel Banking as a Service ci siano specifiche necessità legate ai verticali. Quali settori hanno il maggiore potenziale, quali hanno deluso le aspettative e quali, invece, possono essere la prossima frontiera?

SM. Ti posso dare due spunti su questo argomento. Il primo è che alcuni settori stanno dimostrando il loro potenziale, grazie a numeri che incominciano a essere importanti. Penso alla GDO, dove diversi operatori grazie al BaaS hanno introdotto sistemi di pagamento interni, oppure funzionalità evolute alle casse automatiche intelligenti.

Un altro esempio sono le aziende petrolifere, anche in questo caso con sistemi di pagamento interni evoluti.

In generale, chi gestisce una clientela retail molto ampia e volumi elevati di transazioni può, grazie al Banking as a Service, rendere l’esperienza utente frictionless, quindi più veloce e semplice. E, in più, risparmiare.

Un altro settore che sta andando benissimo è il Buy Now Pay Later, con la dilazione di pagamento collegata a servizi di Banking as a Service. Alcune startup, oggi, stanno portando il BNPL in industrie tradizionalmente antiquate, come i carrozzieri, i dentisti e i professionisti in generale.

Il secondo spunto riguarda le aspettative non pienamente realizzate. E vedo che c’è stata molta difficoltà nel mondo del digital banking, cioè degli spin off di banche tradizionali che promettevano esperienza full digital con incremento dei ritorni e riduzione dei costi.

In quel caso, secondo me, ci si è scontrati con la realtà di una tecnologia bancaria legacy inadeguata a seguire l’evoluzione del fintech, cioè di operatori che nascevano digitali e si appoggiavano a soluzioni di BaaS integrate. Queste realtà nativamente fintech crescono a ritmi molto più rapidi rispetto agli spin off delle banche tradizionali.

Qui secondo me c’è una opportunità per il settore, perché le aziende che nascono da banche tradizionali e vorrebbero aggredire il mercato digitale devono diventare tecnologicamente indipendenti, proprio grazie al BaaS. Noi di BKN301, ad esempio, stiamo lavorando con Hype proprio su questi aspetti.

AG. Secondo te è utile informare il consumatore che sta accedendo a un servizio finanziario erogato grazie al BaaS, oppure è una tematica puramente B2B?

SM. Noi lavoriamo dietro le quinte e finché il prodotto funziona, al cliente non importa cosa fa la tecnologia o l’infrastruttura su cui si basa. Ti dirò di più: non ha alcun interesse al servizio finanziario ma solo a soddisfare la propria esigenza.

Il mondo finanziario deve cambiare prospettiva e porsi solo l’obiettivo di rispondere ai bisogni del cliente nel modo più rapido ed economico possibile, riducendo i costi inutili e aumentando l’efficienza.

Il Banking as a Service serve proprio a fornire strutture tecnologiche e architetture più evolute. Ma non basta: la parte organizzativa della banca, ad esempio il risk management, deve essere coerente con l’anima tecnologica.

Una delle ragioni del fallimento degli spin off digitali di banche tradizionali è proprio nella difficoltà di lavorare in modo nuovo. Non posso servire chi usa uno smartphone con la stessa tecnologia che usavo in filiale.

Bisogna lavorare con modelli e prodotti nuovi: un finanziamento da poche centinaia di euro, ad esempio, deve essere approvato o negato in tempi rapidi. Il cliente vorrebbe pagare commissioni basse sul cambio valuta o sul prelevamento di contante all’estero. Vuole soluzioni che gli semplificano la vita.

Se una banca digitale non si pone questo obiettivo, non c’è investimento in marketing che possa portarla a buoni risultati.

AG. In Italia ci sono 600mila famiglie non bancarizzate. Si è spesso parlato del ruolo del fintech nel migliorare l’inclusione finanziaria. Che cosa può fare il Banking as a Service?

SM. Noi operiamo anche in mercati molto meno bancarizzati dell’Italia e dell’Europa. Credo che da noi ci sia ancora una questione di dipendenza dal contante e in alcuni casi l’accesso al banking è ridotto più per scelta che per mancanza di contatto.

Un aspetto che da noi è ancora emergente, ma in altri Paesi è già molto forte, è quello delle fasce di popolazione che non hanno uno storico bancario. Ad esempio gli immigrati, che non hanno proprietà né uno storico famigliare. E che, di conseguenza, fanno fatica ad accedere al credito, ma anche solo ad aprire un conto.

Dobbiamo poi considerare che l’aggregazione in corso tra operatori bancari in Italia renderà più difficile l’accesso ai servizi finanziari. Questo fenomeno è già pienamente manifestato in UK, dove un espatriato incontra molti ostacoli nell’aprire un conto corrente.

Questo è uno dei motivi per cui nel Regno Unito ci sono così tante banche digitali. Negli anni si sono creati dei conglomerati bancari e gli istituti di grandi dimensioni hanno sempre meno interesse a fornire servizi a fasce di popolazione meno abbiente e più rischiosa dal punto di vista creditizio. Credo che in Italia questo tema crescerà di importanza nei prossimi anni.

E aprirà opportunità per operatori digitali che possono utilizzare soluzioni BaaS per intercettare quel mercato rapidamente e con costi ridotti.

AG. Come hai appena ricordato, BKN301 è molto attiva nei cosiddetti paesi emergenti. Puoi raccontarci qualche progetto particolarmente significativo per capire che cosa sta accadendo in questo mercati?

SM. Parliamo di contesti diversi dall’Europa ma in cui, alla fine, i clienti hanno le stesse necessità di tutti gli esseri umani.

Un primo progetto è in Egitto, con il nostro cliente Damen, una fintech che fornisce servizi di ricarica e money trasnfer. In Egitto le utenze si pagano secondo il modello prepagato, per ridurre il rischio di mancato pagamento. E con Damen si può ricaricare il credito di elettricità, acqua, telefono e così via. Ci sono oltre 500 servizi ricaricabili nel catalogo della fintech.

Il tutto si fa sia in digitale sia depositando denaro in negozi convenzionati. Insieme a Damen abbiamo creato questo servizio, utilizzato da 18 milioni di egiziani: la fintech ha composto la propria soluzione scegliendo tra i nostri moduli per costruire questa piattaforma, che sta andando molto bene.

Un secondo progetto è in Qatar, dove lo scorso anno è stata adottata una nuova normativa che consente il lancio di banche digitali. La prima realtà di questo tipo sta lavorando con noi per lanciare un servizio di digital banking, partendo nativa in BaaS. Non, quindi, una banca tradizionale che fa uno spin off, ma una realtà che nasce efficiente e veloci.

Qui il target sono gli expat, i 2,5 milioni di stranieri che lavorano in Qatar e hanno bisogno di acquistare beni di prima necessità e inviare denaro ai loro paesi di origine. E che, oggi, non hanno accesso ai servizi bancari tradizionali.