#DEFINE BANKING

Hiop: a banche e assicurazioni serve una data strategy di successo

Hiop

Giacomo Barone, CEO di Hiop

L’89% delle aziende perde opportunità di business a causa di problemi legati all’accessibilità dei dati. E i data scientist passano fino all’80% del loro tempo a mettere in ordine i dati su cui devono lavorare.

Il pericolo per le aziende si chiama “bad data”, cioè i dati “cattivi”, inaccurati o fuorvianti, che possono portare le aziende a prendere decisioni errate, oppure minarne i processi.

Abbiamo approfondito questo tema con Giacomo Barone, CEO di Hiop, startup italiana, con sedi a Milano e ad Altamura, specializzata in dati e in intelligenza artificiale, in un episodio del nostro podcast #define banking, di cui questo testo è un adattamento.

AG. Giacomo. Si è sempre detto e da anni ormai ce lo sentiamo ripetere, che i dati sono il nuovo petrolio. Però non sempre i dati sono utili alle imprese: possono anche essere un rischio.

GB. Ci troviamo in una fase storica in cui i dati possono essere sfruttati in molti contesti diversi, grazie all’intelligenza artificiale. Dobbiamo però chiederci se stiamo utilizzando un dato corretto.

Il rischio è di non avere un quadro completo o corretto e di andare a prendere una decisione, o ad alimentare un algoritmo di AI, con un errore di partenza. E questo è un bel rischio.

I dati, però, non vengono usati solo per prendere decisioni. A volte il dato fa parte del prodotto o del servizio che andiamo a offrire. Ad esempio, può aiutarci a mitigare il rischio, oppure a erogare un servizio, magari appoggiandomi ad API che creano interrelazioni complesse tra dati diversi.

In questo caso, un dato sbagliato può tradursi in un errore importante nel prodotto che andiamo a offrire ai consumatori, oppure in un’interruzione del servizio.

Se vogliamo sfruttare i dati per generare valore, dobbiamo essere consapevoli della cura e dell’attenzione necessarie a gestirli.

AG. Le imprese bancarie e assicurative hanno moltissimi dati. Ma si guarda comunque all’utilizzo di altre informazioni, come i dati alternativi. C’è il rischio di incorporare dei big data? E il settore ha davvero bisogno di nuovi dati?

GB. Dipende da perché stiamo raccogliendo un dato e dove lo vogliamo utilizzare.

Come dicevo prima, tipicamente il dato lo usiamo in due ambiti: per prendere decisioni e per creare un prodotto o servizio.

In entrambi i casi, banche e assicurazioni hanno una moltitudine di fonti a disposizioni. A fare la differenza non sono le fonti ma la capacità di collegare un dato a un aspetto significativo, sia in ambito decisionale sia per l’erogazione di prodotti o servizi.

Ad esempio, capire meglio una caratteristica del mercato, oppure quello che succede all’interno del customer journey.

È questo il criterio per decidere se un dato va incluso o no: contribuisce a rendere l’azienda più efficace?

Non dobbiamo poi dimenticarci che nell’Unione Europea ogni individuo ha la proprietà dei propri dati personali. E, quindi, dobbiamo gestirli in modo corretto e garantendo ai soggetti la possibilità di decidere cosa, e come, viene fatto con i loro dati.

AG. Ci sono quindi dati che possono essere “bad” in un determinato contesto, ma utili in un altro?

GB. Assolutamente sì. Nel momento in cui chiediamo a un cliente di darci una informazione, lo facciamo per capirlo meglio e, in secondo luogo, per agire con finalità più commerciali e di marketing che informative.

Facciamo un esempio relativo al cliente bancario. Quando un cliente entra in filiale, posso ottenere una serie di informazioni relative ai tempi di attesa e alle interazioni nell’esperienza di acquisto in filiale.

Ma posso anche sapere come quel cliente interagisce con diversi dispositivi: l’ATM e le postazioni self service, oppure gli altri canali digitali offerti.

Questi dati mi permettono di agire per migliorare i servizi durante l’esperienza del cliente, in una sequenza di interazioni continue che un’azienda come una banca o una compagnia assicurativa ha con il proprio cliente.

AG. Di recente avete presentato un progetto condotto con La Piadineria, un brand che opera in un settore lontano dal Finance, ma che forse può ispirare anche banche e assicurazioni.

GB. Il progetto con La Piadineria può essere sintetizzato così: “mettere a posto i dati e farli funzionare”.

Penso che dovrebbe essere un principio cardine per tutte le aziende. Bisogna mettere in contatto tutte quelle fonti, i famosi dataset, che compongono il patrimonio informativo aziendale.

Vanno messi a fattor comune per avere una visione più completa delle interazioni con i clienti. Non servono necessariamente dati di terze parti, basta valorizzare i dati proprietari generati nel punto vendita, nel retail, nell’acquisto e nell’utilizzo di prodotti e servizi.

Per la ristorazione si gioca tutto al momento del consumo al tavolo. Per banche e assicurazioni, invece, questa interazione è continuativa e offre la possibilità di trovare le risposte alle domande in tempi rapidissimi, in pochi giorni o poche ore.

E questa capacità di accedere a dati in tempo reale può essere utilissima nella sfida dell’omnicanalità: oggi banche e compagnie assicurative, in questo ambito, devono prendere decisioni con impatto potenzialmente molto rilevanti sia per il cliente sia per la redditività dell’azienda.

L’utilizzo dei dati deve quindi prendere slancio, prendendo decisioni non ogni quarter, bensì in maniera continuativa, passando da una logica reattiva e un lavoro quotidiano.

Questo nuovo atteggiamento di trasformazione continua è un tema che vediamo nelle aziende di ogni settore: retail, manifattura, finance stanno lavorando fortemente alla data governance e allo sfruttamento ottimale dei dati proprietari.