Lo scandalo (ma si inizia a parlare di truffa) di FTX tiene banco sulle testate online e sui social. E il suo impatto è ancora da stimare: è probabile il convolgimento di qualche altro exchange o player crypto.
In molti hanno definito FTX “la Lehman Brothers” delle cryptovalute, un fallimento che ha cambiato tutto. E pare decisamente una definizione azzeccata.
Da qui a correre a gridare alla “morte del Bitcoin” (l’ennesima, tra l’altro), comunque, ce ne passa: così come la vicenda Lehman ha spalancato la strada a un giro di vite regolamentare, tra l’altro concorrendo al decollo del Fintech come lo conosciamo, è infatti probabile che il crollo di FTX, e gli altri che seguiranno, porti a uno scenario crypto più regolato e selezionato.
La Lehman delle crypto
È di questo parere, ad esempio, Andrea Medri, co-founder di The Rock Trading: «la vicenda Ftx riapre uno squarcio – più che su bitcoin e dintorni – sulle architetture finanziarie complesse e fragili come castelli di carta: destinate a dissolversi al primo soffio di vento (…) il crollo di Ftx non è così diverso, nel suo significato, da quello di Lehman Brothers. Il paragone non appaia irriverente: vanno fatte tutte le dovute proporzioni e considerato che quella crisi avveniva all’interno di un ecosistema strutturato e oggi parliamo di strutture del tutto fuori schema».
Un crypto inverno? Forse un'era glaciale
Con le dovute proporzioni, quindi, possiamo immaginare uno scenario analogo. Un periodo lungo di volatilità, con una probabile estensione del crypto-inverno a un periodo decisamente lungo, una “crypto era glaciale”. Gli investitori, terrorizzati, correranno a prelevare i loro fondi e qualche altro player cadrà.
La regolamentazione che serve
Poi si parlerà di regolamentazione. In Europa si attende la Micar, che fisserà i primi, importanti paletti a livello di Unione. E potrebbe ripresentarsi il cosiddetto “Effetto Bruxelles”, con le normative di altri Paesi che si allineano, più o meno, alle regole europee. E l’arrivo della regolamentazione sarà un passo in avanti importante.
Come osserva Roberto Rossignoli, Portfolio Manager Moneyfarm, «il mondo delle criptovalute è uno strano ecosistema. Mentre la maggior parte degli operatori finanziari, incluso Moneyfarm, operano e commerciano in sedi regolamentate, nel sistema delle cripto la maggior parte degli scambi non sono regolamentati e mancano del tutto sia un’istituzione che vigili sul mercato, come ad esempio la Consob in Italia, sia salvagenti di ultima istanza, come quelli che hanno salvato il sistema finanziario nel 1998 o nel 2008. Questa struttura ha dunque permesso la proliferazione e il commercio di prodotti esotici, complessi e potenzialmente rischiosi per gli investitori. Pertanto, quando scoppia la bolla, le ripercussioni sono drastiche se confrontate con i mercati finanziari tradizionali».
Anche se qualche norma, in realtà, c’è già, come commentato in una nota da Andrea Medri, co-founder di The Rock Trading. «Esiste già l'infrastruttura normativa per poter inquadrare le piattaforme tra gli intermediari finanziari e i token nell’alveo degli strumenti finanziari. Così come esistono strumenti legali di garanzia e protezione per l’investitore. Nell’attesa di una regolamentazione ad hoc, dunque, bisogna lavorare con quello che si ha disposizione e questo sia sul fronte degli operatori di crypto sia su quello delle autorità di vigilanza globali. Su di esse pesa il fatto di non avere spesso risorse, tecnologie, formazione, team dedicati per seguire questi fenomeni nuovi, molto complessi e con ritmi di sviluppo vorticosi. E non è semplice bilanciare l’esigenza di regole che abbiano un valore universale con il bisogno costante di innovazione tipico del settore – che norme troppo stringenti possono soffocare.
«Cryptosmart è un’azienda con la sede legale e operativa in Italia, soggetta completamente alla legislazione italiana – esemplificano Alessandro Frizzoni e Alessandro Ronchi, co-ceo di Cryptosmart. I diritti dei clienti di Cryptosmart sono tutelati dalla giustizia e dai tribunali italiani, nel caso fosse necessario anche nei confronti di Cryptosmart stessa. In quanto società italiana in totale trasparenza deposita il proprio bilancio in Camera di Commercio dove è a disposizione di tutti. Per tutelare i diritti dei clienti degli exchange basterebbe semplicemente che venga applicato il prima possibile, quanto previsto dalla regolamentazione MICA(regolamentazione del parlamento europeo sui mercati in crypto assets) che è ancora in fase di approvazione al Parlamento Europeo. MICA prevede che il servizio di exchange possa essere fornito solo da aziende aventi sede legale in uno stato membro dell’UE e all’articolo 63 specifica che gli exchange non possono utilizzare per conto proprio le criptovalute dei propri clienti senza il loro esplicito consenso. A queste disposizioni Cryptosmart si è da sempre attenuta e continuerà a farlo anche in attesa che MICA entri in vigore».
Il secondo, naturale effetto della regolamentazione è la selezione dei player esistenti. Non solo per la redditività del loro modello di business, ma anche per la scelta di operare in mercati che si sono dotati di una regolamentazione. L’esempio degli investitori, “scottati” dalle precedenti esperienze e crisi, porterà a diffidare di realtà con sede legale in posti come le Bahamas.
«Quello che accomuna gli exchange come FTX, Celsius e molti degli altri con sede legale all’estero oppure addirittura ignota, è l’utilizzo delle crypto dei propri clienti per i loro profitti – aggiungono Alessandro Frizzoni e Alessandro Ronchi, co-ceo di Cryptosmart –, ad esempio: le prestano, fanno trading e ci finanziano il proprio business. In questo modo riescono a sottrarsi alla giurisdizione dei tribunali di qualsivoglia nazione e alla sorveglianza dei regolatori, privando in questa maniera i loro clienti della tutela dei propri diritti perché nei fatti, impossibilitati ad avviare qualsiasi azione legale contro aziende con sede legale sconosciuta oppure situata su piccole isole dove i tribunali sono scarsi o assenti. Inoltre i bilanci di questi grandi exchange non sono pubblici e quindi nessuno sa con certezza quanti asset detengono e quanti ne devono restituire ai loro clienti».
«Alcuni di questi infatti – continuano Frizzoni e Ronchi – continuano indisturbati anche in questi giorni a prendere in giro i propri clienti dando loro a vedere che hanno dei fondi per la tutela degli utenti fino a cifre, a prima vista, esorbitanti, ad esempio 1 miliardo $, al contempo omettono di dichiarare che in realtà i fondi che devono restituire ai clienti sono 100 o forse 200 volte superiori . Nessuno sa con certezza perché i loro bilanci non sono disponibili da nessuna parte. Questi fondi di sicurezza, in realtà coprono solamente una minuscola percentuale degli importi dovuti ai loro clienti in criptovalute. Nel momento in cui un numero elevato degli utenti richiedono le proprie criptovalute sono costretti a bloccare i prelievi e andare in fallimento. Altri grandi exchange fanno “il gioco delle tre carte”: mostrano l’impressionante quantità degli asset o crypto che detengono, ma non dichiarano quale è la enorme quantità reale di criptovalute che devono restituire ai loro clienti, tale importo potrebbe essere di molte volte superiore rispetto a quello che detengono».
Certo, il fatto che la stessa FTX avesse 100.000 clienti italiani la dice lunga. Da mesi è attivo il registro OAM per gli operatori in cryptovalute, ma 100.000 persone hanno comunque deciso di tenere i loro fondi su un exchange che in quell’elenco non c’era. Ma anche questa vicenda porterà, si spera, a una maggiore consapevolezza sui rischi che si corrono.
E i rimborsi?
Bisognerà poi seguire la vicenda di eventuali rimborsi agli utenti di FTX (e delle altre realtà). Come evidenziato in un articolo del Sole 24 Ore, potrebbero arrivare nei primi mesi del prossimo anno i primi rimborsi per il fallimento del mitologico MtGox, primo exchange a saltare in aria nel lontano 2014.
C’è un curatore fallimentare, ovviamente, e l’exchange ha sede negli USA. Che, tipicamente, non sono tenerissimi in questi casi.
FTX: che cosa è successo
FTX è un’azienda americana, arrivata a essere il terzo exchange mondiale.
Il suo fondatore, Sam Bankman-Fried (nomen omen), controllava anche la società Alameda Research, che aveva in pancia una grande quantità di FTT, il token emesso da FTX.
Alameda aveva attività per 14,6 miliardi di dollari. Oltre un terzo, secondo le stime di Coindesk, erano detenuti in FTT: 3,66 miliardi in modo diretto, 2,16 miliardi in FTT collaterizzati. Questi FTT erano messi a garanzia per una parte dei 7,4 miliardi di dollari di prestiti emessi da Alameda.
A inizio novembre, Zhao "CZ" Changpeng (il CEO di Binance), pubblica un post su Twitter in cui annuncia la dismissione delle partecipazioni in FTX. Da lì parte un’ondata di vendite che ha fatto crollare il prezzo di FTX.
Dal 5 al 7 novembre vengono prelevati più di 6 miliardi di dollari e l’8 novembre, FTX International sospende i prelievi
L’8 novembre Binance annuncia la possibilità di un accordo per acquisire FTX ma, come in un balletto, si tira indietro il 9 novembre, pare dopo una prima due diligence.
Bankman-Fried non riesce a reperire i soldi necessari a restare solvibile, 8 miliardi di dollari. Un fatto che, sommato alla marcia indietro di Binance, porta molti a sospettare attività truffaldine di “distrazione” dei depositi dei clienti.
L’11 novembre, infine, FTX presenta “domanda di insolvenza”, secondo la procedura prevista dal Chapter 11 americano.
Ma la storia, come avrete capito, non finirà qui.