#define banking

Analizzare meglio il cliente (e il rischio) grazie agli alternative data

data appeal company

In questo episodio di #define banking torniamo a parlare del petrolio del terzo millennio: i dati. Per capire meglio che cosa sono gli alternative data e in che modo aiutano banche e assicurazioni abbiamo incontrato Mirko Lalli, CEO e Founder di The Data Appeal Company.

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Alberto Grisoni. Chi è The Data Appeal Company e che cosa fate?
Mirko Lalli. The Data Appeal è un’azienda che vuole semplificare l'accesso ai dati. La nostra missione è aiutare le aziende e le istituzioni a prendere decisioni migliori proprio con l'uso dei dati.

AG. Ai temi del FinTech e della tecnologia applicata alla Finanza si avvicinano anche persone che non hanno forti competenze tecnologiche. Potresti spiegare a loro, e a me, che cosa sono gli alternative data?
ML. Il concetto di alternative data è molto finanziario, si usa sostanzialmente solo nel banking. È un termine ombrello che indica le fonti di dati non tradizionali che possono aiutare a comprendere meglio determinati fenomeni. Se devo decidere se investire o meno su un titolo azionario, oltre alle classiche informazioni sull’azienda posso ascoltare anche sulla reputazione che quell’azienda ha online.

Il percepito delle persone è un buon predittivo dei risultati di business delle aziende. Il termine alternative data ha allargato il campo del suo significato ad altri ambiti: in generale, sono tutte le fonti non tradizionali di dati che ti permettono di comprendere meglio un fenomeno, grazie a un punto di vista diverso.

AG. La prima applicazione che mi viene in mente è qualcosa di cui abbiamo già parlato qui a define banking: la valutazione del merito creditizio di un’impresa. Con la pandemia, il bilancio fotografa una situazione ormai vecchia e alle banche servono dati migliori, freshi
ML. Questa è sicuramente una primissima applicazione che il mondo bancario e assicurativo può trovare per gli alternative data: arricchire la loro metodologia e i loro algoritmi di scoring e di valutazione del rischio con nuove fonti e un nuovo punto di vista. Noi stiamo lavorando con alcune delle principali banche italiane e iniziamo a lavorare anche con realtà estere sulla dimensione della popolarità online di un’attività: quanto e come se ne parla, ad esempio quante recensioni riceve e se il sentiment è positivo o negativo.

Se i tuoi clienti parlano bene di te, innescano un meccanismo di passaparola che ha un riflesso positivo sul tuo business. Se hai una buona reputazione web, insomma, avrai anche maggiori ricavi. Banche e istituti finanziari iniziano a includere questo parametro per migliorare le loro valutazioni. Il bilancio analizza il passato, mentre la reputazione anticipa il futuro.

AG. Questo funziona per grandi imprese o ristoranti. Ma come si fa per le piccole e le microimprese che non hanno, magari, neanche un sito web?
ML. Spesso si parla comunque di loro online, anche se non hanno touchpoint digitali. Sulle mappe di Google, ad esempio, si trovano recensioni persino sulle colonnine di ricarica delle auto elettriche. Oppure hanno dei canali social che aggiornano poco, ma su cui i clienti scrivono. Ogni cosa viene giudicata e ha un rating lasciato dai clienti.

Questo è un valore grandissimo per analizzare un’impresa. Certo, un discrimine c’è: le aziende customer facing, che interagiscono direttamente con il pubblico, hanno più feedback delle altre. Ma ormai anche nel B2B esiste una digital footprint.

AG. E nel mondo assicurativo, invece, che interesse c’è?
ML. Le compagnie di assicurazione, anziché concentrarsi sui dati di singole aziende, ricercano fotografie territoriali su determinati parametri. Ad esempio, abbiamo un indicatore, il Covid Safety Index, che misura la fiducia delle persone nell’implementazione delle misure anti-contagio da parte delle aziende del territorio.

Questo Index ci dice due cose: come le aziende stanno adottando misure per prevenire la diffusione del Covid, tramite l’analisi del loro racconto online; se con questa loro azione migliorano la fiducia dei loro visitatori. Per l’assicurazione, questo significa ottenere un punteggio di percezione del rischio. In questo caso, associao al Covid, ma si può fare per molte altre dimensioni e su scala territoriale.

AG. Puoi farmi altri due esempi di applicazione degli alternative data? Magari uno hard, molto bancario, e uno più soft? Iniziamo da quello hard.
ML. Il più hard di tutti è quello di cui abbiamo già parlato, l’integrazione dei profili delle controparti di una banca con i parametri di reputazione online come predittivi degli incassi. Con uno scambio di dati automatico, machine to machine: le informazioni si integrano nel sistema della banca. Le nostre API sono su Fabrick, per capirci.

AG. E l’esempio più soft?
ML. Ci è stato richiesto da un cliente finanziario importante e ha a che fare, in qualche modo, con la customer experience. Quella della loro rete vendita sul territorio, che aveva bisogno di andare a trovare i potenziali clienti: spesso, però, le microimprese hanno la sede legale presso un commercialista o un consulente. La loro attività operativa si svolge altrove.

E la rete vendita di questa realtà aveva bisogno di sapere dove andare realmente: i dati camerali non bastavano, serviva un database delle insegne. Noi abbiamo costruito un algoritmo di matching tra le partite IVA e le insegne, con un’affidabilità superiore all’80%, che grazie al machine learning cerca di riconciliare le insegne dei negozi con le partite IVA a cui corrispondono. Sembra un lavoro banale ma è estremamente complicato.

Adesso i rivenditori arrivano al posto giusto e all’azienda giusta. D’altronde, la partita IVA è l’identificativo che banche e assicurazioni usano per identificare un’impresa: era necessario riconciliare informazioni camerali e sedi operative, il mondo tradizionale e quello online. E con gli alternative data ci siamo riusciti.