Al Web Summit 2022 abbiamo incontrato CheckSig, una realtà italiana che offre soluzioni Bitcoin e cripto per investitori Privati e Istituzionali.
Con Michele Mandelli, Managing Partner di CheckSig, abbiamo approfondito come è cambiata la percezione dei criptoasset negli ultimi anni, soprattutto da parte di banche e investitori istituzionali.
AG. Che cosa è CheckSig?
MM. CheckSig è una fintech che nasce nel 2019, sulla scia di quello che era il Digital Gold Institute, un think tank dedicato al mondo bitcoin.
Il nostro obiettivo è dare accesso sicuro e regolato al mondo Bitcoin e cripto alle controparti istituzionali. E infatti la nostra prima soluzione è una piattaforma che dà accesso as a service al mondo cripto per le banche.
Quindi una banca, o un altro servizio fintech, che desidera dare alla sua clientela finale un accesso garantito a questo ecosistema può usare la nostra piattaforma e avere accesso a diversi exchange, ottenendo best execution sui mercati, slippage e fee minimizzati. CheckSig gestisce anche la liquidità e si occupa del post trade settlement.
Ma uno degli elementi più importanti della nostra piattaforma è la custodia integrata. Gli asset cripto sono, ultimamente, al portatore: e si pone quindi la sfida di custodirli in modo sicuro. Qui abbiamo un grande vantaggio competitivo, perché abbiamo sviluppato dei protocolli aperti che permettono di garantire l’esistenza degli asset, controllati da noi come custodian. Possiamo garantire che non sono stati rubati, perduti o re-ipotecati, come avvenuto in alcuni crolli recenti.
Infine, diamo una serie di servizi B2B2C, come la reportistica fiscale o la formazione.
AG. Per una banca, approcciare il mondo dei criptoasset è una scelta importante, che richiede una forte fiducia nel fornitore esterno.
MM. Il nostro posizionamento è esattamente quello: dare al mondo bancario tutto quello che è necessario per offrire servizi cripto al cliente. In modo sicuro e regolato. Siamo talmente istituzionali che siamo nati fin dall'inizio pensandoci un po' come se fossimo una banca.
Sin dall'inizio abbiamo cercato, e abbiamo oggi ,audit indipendenti: Deloitte ci dà attestazioni SOC 1 e SOC2, che sono tipiche del mondo bancario.
Oltre all’audit sui nostri processi, abbiamo anche il Gruppo Generali, che ci dà coperture assicurative sui fondi in custodia; e offriamo la prova di riserva. Insomma, siamo trasparenti in ogni modo.
E pensiamo che le banche non abbiano, oggettivamente, più scuse per dire che non si può dare alla loro clientela accesso a questo mondo.
AG. Fino a qualche anno fa, non si potevano quasi nominare le cryptovalute a una banca, a parte qualche eccezione. Oggi la mentalità sembra diversa, no?
MM. C’è una tendenza molto chiara di avvicinamento tra i due mondi. Da un lato il settore bancario, soprattutto americano, vuole entrare in ambito crypto per servire una clientela HNWI, upper affluent e istituzionale.
Dall’altro ci sono gli operatori crypto più seri e affidabili che si stanno invece muovendo per prendere una licenza bancaria
I due mondi si stanno avvicinando perché c’è una nuova asset class che è diventata di interesse per una clientela istituzionale e, quindi, per il mercato. La quotazione sul NYSE di futures e opzioni su Bitcoin ed Ethereum ha di fatto sdoganato le crypto.
AG. Hai nominato molte realtà americane. In Europa che succede?
MM. In Europa, siamo oggettivamente un paio di anni indietro. Adesso è stata appena approvata la MICAR, ma comunque il trend di avvicinamento tra banca e crypto è globale ed è molto chiaro.
È stato appena pubblicato un report che dimostra che su 180 banche intervistate, 19 hanno già cryptoasset in portafoglio. Circa il 10% delle realtà, che però pesano il 2%, massimo il 3%, per RWA totali: parliamo, quindi, di banche piccole che hanno incominciato a interessarsi a questa asset class.
In termini assoluti, parliamo di 10 miliardi di dollari in asset crypto legati a soggetti istituzionali. Una goccia nel mare degli oltre 1.000 miliardi di dollari di cryptoasset, ma pensiamo sia il primo segno di un trend.
Il Regolatore non può più stare alla finestra e giudicare questo fenomeno come “marginale”. Alle banche europee serve una normativa che crei la fiducia necessaria a servire la clientela su questi asset alternativi.
Altrimenti il cliente, se non trova il prodotto con un servizio sicuro e regolato disponibile presso la sua banca, andrà a cercarlo in quel Far West di soggetti più o meno affidabili, purtroppo spesso truffaldini. L’ingresso delle banche nei servizi crypto è un modo per tutelare l’investitore.
AG. Anche il profilo dell’investitore in crypto è cambiato negli ultimi anni. La speculazione resta forte ma forse ci sono meno persone illuse di arricchirsi da un giorno all’altro?
MM. Con il passare del tempo il Bitcoin si è affermato, il mercato è diventato più liquido, sono nati prodotti future e opzioni. D’altronde, parliamo dell’asset class più performante del decennio, che può attirare investitori istituzionali, capaci di fare una asset allocation raffinata e cesellata. E che non vogliono stare a guardare.
Una volta c’erano i ragazzini che sognavano di diventare milionari, oggi iniziamo a vedere i family office e i fondi che, in una asset allocation sufficientemente ampia, cercano di cogliere il trade off rischio/rendimento delle crypto.
Certo, sul segmento retail c’è un enorme tema di educazione finanziaria. Ma se guardiamo agli istituzionali, allora vediamo soggetti che hanno forti competenze e capacità di diversificazione. E che si stanno muovendo con consapevolezza dei rischi e secondo un ragionamento da investitori.
Una nostra ricerca sui family office italiani, ad esempio, dice che più della metà di loro hanno già asset class alternative in portafoglio, anche se con quote molto piccole. Di questi, più della metà ha un orizzonte di investimento che supera i sei anni: sono operazioni da cassettisti, non speculazioni di trading.
AG. Questo discorso vale per tutti gli asset crypto o solo per i più noti, come Bitcoin ed Ethereum?
MM. Gli investitori istituzionali che detengono cryptoasset puntano su Bitcoin ed Ethereum, perché vengono ritenuti più sicuri e maturi. Gli altri sono interessanti per chi fa trading e cerca di cogliere opportunità di breve termine, comprando e vendendo nell’arco di settimane, giorni o anche ore. Mentre un’istituzionale non vuole sicuramente investire in un asset che rischia di evaporare in un paio di mesi.