Secondo report fintech

Area Studi Mediobanca: le challenger bank in Italia e in Europa. Differenze e bilanci

mediobanca ricerca challenger bank

In Italia esistono 12 challenger bank. Ma cosa significa essere una challenger bank e quali sono le differenze con gli istituti di credito tradizionali?

Le challenger bank spesso nascono come startup per fornire servizi finanziari di nicchia.

Cosa sono le challenger bank?

Le challenger bank sono banche digitali, concentrate sull’innovazione di prodotto e presentano costi e dimensioni inferiori rispetto alle banche tradizionali.

Sfruttando la tecnologia per abbattere i costi (niente filiali fisiche, meno personale, etc. rispetto alle banche tradizionali), le challenger bank offrono prodotti bancari a pacchetto, con versioni base tipicamente gratuite che attraggono i millennial.

Il report fintech dell’Area Studi Mediobanca

Il secondo report dell’Area Studi Mediobanca sul fintech ha identificato in Europa 96 challenger bank: 63 detengono hanno una licenza bancaria completa, 20 agiscono in qualità di agenti di operatori terzi, sei sono in possesso di licenza di Imel o di Istituto di Pagamento, mentre le restanti sette hanno una licenza bancaria con restrizione o sono in fase di Application, hanno quindi operatività limitata.

Le challenger bank in Italia

Dodici challenger bank sono in Italia. Lo stesso numero popola la Francia, mentre sono ben 37 quelle del Regno Unito. Seguono Germania (8) e Spagna (7).

Tra le nove che si sono già quotate in Borsa compare una italiana, illimity bank, sei inglesi, una estone e una norvegese (Aprila Bank) trattata in un mercato non regolamentato (Euronext NOTC).

Ma il mercato fintech è in fermento: in Europa, tre società sono state delistate, oggetto di acquisizione da parte di incumbent o fondi d’investimento.

Le differenze rispetto alle altre europee

Mediobanca analizzando le challenger bank italiane ha notato alcune differenze rispetto agli altri operatori europei. Le dimensioni minori, innanzitutto, e valori inferiori alla media quando si guarda ai ricavi e al totale attivo.

Italia. Banche tradizionali VS Challenger Bank

Cosa distingue banche italiane tradizionali e challenger? Il costo del lavoro e delle spese generali sul totale dei ricavi.

Le challenger bank, come spiegato, grazie alla tecnologia riescono a ridurre questo conto ma registrano, di contro, una maggiore incidenza delle spese generali. In particolare le challenger spendono molto in consulenza, servizi di outsourcing e pubblicità: la struttura snella a livello di organico impone difatti alle challenger di cercare servizi esternamente, a differenza degli istituti di credito italiani.

Cosa è successo durante la pandemia

Tuttavia, le challenger bank italiane hanno superato il primo anno pandemico con buoni risultati: crescite a doppia cifra del margine di intermediazione (+42,2% sul 2019 e del risultato

operativo (>100%), mentre il contenimento delle perdite su crediti (passate da -31,3 milioni del 2019 ai -10,3 milioni del 2020) ha comunque contribuito al miglioramento del risultato netto.

Il bilancio delle challenger bank nel 2021

Nel 2021 le maggiori rettifiche dei crediti hanno sicuramente frenato la buona dinamica, comunque positiva a livello di margine di intermediazione (+22,8% sul 2020) e risultato operativo (+75,2%), con il risultato netto che è migliorato del +63,1%. Anche il ROE è cresciuto di quasi +4 p.p., portandosi al 9,4% nel 2021.

Ugualmente positive nel 2020 le performance dello stato patrimoniale, con la crescita dei crediti verso i clienti (+38,8% sul 2019) e del totale attivo aggregato (+35%) che ha parzialmente perso slancio nel 2021, pur mantenendosi a doppia cifra (+42,4% i crediti v/clienti e +18,2% il totale attivo sul 2020).

In aumento anche la forza lavoro: +18% nel 2020 sul 2019 e +5,7% nel 2021 sul 2020.

L’andamento in Europa

Nel 2020 i ricavi delle challenger bank europee sono aumentati del 3,9% sul 2019, mentre il risultato netto aggregato è peggiorato del 12,7%, in linea con le performance delle banche dell’Eurosistema.

Con un valore già negativo nel 2019 (-5,1%), il ROE complessivo è sceso di 0,4 p.p. collocandosi al -5,5% nel 2020.

Sono invece cresciuti i totali attivi (+11,4%) e i crediti verso i clienti (+4,9%).

I ricavi delle traditional (challenger banks costituite prima del 2010) sono risultati in contrazione (-7,1%), risentendo degli effetti delle misure di contenimento sanitario. Inclusi in questo cluster vi sono infatti alcuni player che affiancano all’operatività online anche una snella presenza fisica.

Al contrario, la diffusione della pandemia ha giovato alle challenger banks prettamente digitali, ovvero le subsidiaries (enti giuridici che gestiscono le iniziative online di grandi Gruppi) e le neobanks (costituite dopo il 2010), con crescite dei ricavi nell’ordine del +19,9% per le prime e del +24,8% per le seconde.

Le neobanks: qualche freno

Le neobanks hanno una redditività ancora negativa, (ROE al -13,9%, +0,1 p.p. sul 2019). Per esse, il raggiungimento del breakeven è legato all’incremento della customer base e del ventaglio di servizi offerti (che dipende dall’ottenimento della licenza bancaria piena), con lo sviluppo dimensionale che può fungere da game changer. Inoltre, tra le neobanks sono ancora numerosi gli operatori con risultati netti negativi.

Le challenger bank e il fundraising

Le challenger banks fanno inoltre ampio ricorso al venture capital. Dal 2016 a oggi ammontano a 11,6 miliardi di euro le risorse finanziate.

Solo nel 2021 sono stati raccolti 3,5 miliardi di euro (+129,5% sul 2020).

Nei primi sei mesi del 2022 risultano in rialzo dell’82,3% sullo stesso periodo del 2021 attestandosi a 1,8 miliardi, ma in parziale raffreddamento.

L’accesso al funding è fondamentale per affrontare i costi dell’oneroso iter autorizzativo, ma anche per finanziare lo sviluppo del business e incrementare le quote di mercato.

Il rialzo dei tassi di interesse rende oggi più difficoltosa e costosa la raccolta: a fine giugno 2022, dopo un infruttuoso tentativo di raccogliere nuovi capitali, la Volt Bank, prima digital bank a ottenere licenza bancaria in Australia, ha deciso di interrompere la propria attività.

Come cambia, e risponde, il mercato bancario

Nell'ultimo decennio però il settore bancario europeo è cambiato, partendo da una ristrutturazione dei modelli distributivi. 

Tra il 2010 e il 2020 si sono ridotti il personale bancario (-34,4% in Spagna, -26,4% nel Regno Unito, -14,8% in Italia e -13,9% in Germania) e ancor più gli sportelli (-48,3% nel Regno Unito, -48,1% in Spagna, -36,8% in Germania e -30,1% in Italia).

Spicca la contrapposizione tra il Nord Europa, dove sussiste una bassa densità di filiali in rapporto alla popolazione, e il blocco mediterraneo, con incidenze superiori alla media europea (39 sportelli ogni 100mila adulti) per Francia (61 sportelli), Spagna (57) e Italia (47).

I Paesi del Nord Europa guidano la classifica degli adulti fruitori di servizi bancari online con punte, a fine 2021, superiori al 90% in Norvegia, Danimarca e Finlandia e dell’86% nel Regno Unito; l’Italia si posiziona nelle retrovie con il 45%, al di sotto della media europea (58%).

Tale dinamica ha subito un’accelerazione durante il periodo pandemico ed è il risultato dell’evoluzione dei gusti della clientela, sempre meno fidelizzata e più indirizzata verso la multicanalità (filiale, web, mobile e telefono).