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Cardo AI: così algoritmi e dati aiutano il private debt a decidere meglio

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Altin Kadareja, CEO e co-founder di Cardo.AI

Intelligenza artificiale e algoritmi sono tra i temi più caldi degli ultimi anni. Oggi li vediamo applicati a un ambito molto specifico: il private debt.

Approfondiamo in questo episodio l’esperienza di Cardo AI, insieme ad Altin Kadareja, CEO e co-founder.

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AG. Iniziamo dallo spiegare chi è Cardo AI: che cosa fate e come viene impiegata la tecnologia?

AK. Cardo AI nasce per semplificare la comprensione e la gestione dei portafogli di investimento nel mondo del private debt.

Gli investitori istituzionali hanno bisogno di analizzare le opportunità di investimento e noi facilitiamo la loro analisi, aiutandoli a costruire i loro portafogli con un costante monitoraggio per ottimizzarli grazie agli algoritmi di intelligenza artificiale.

Il nome Cardo deriva dall’antica Roma: gli architetti costruivano le città romane lungo due arterie principali, il cardo e il decumano. Il cardo connetteva il nord al sud delle città e lì si concentravano la maggior parte delle attività economiche.

La nostra mission è proprio diventare l’arteria principale in cui si svolgono le attività economiche, grazie a tecnologia, algoritmi by design e machine learning.

AG. Come viene applicato questo approccio basato sui dati? E quali sono le capacità previsionali?

AK. Esistono tre macro categorie all’interno del direct lending: il credito erogato da un fondo a una società specifica, PMI o Corporate; le cartolarizzazioni, quindi asset-backed lending e asset-backed securities; il digital lending, cioè le piattaforme digitali che dal 2008 intermediano il credito tra investitori istituzionali e consumatori, oppure aziende

In questo settore, come negli altri, cresce la quantità di dati a disposizione. Gli attori del private debt si sono resi conto che, oltre ai dati storici sulla gestione del portafoglio, oggi possono accedere a dati sulle aziende che vanno a originare, anche per fare proiezioni future.

Prima si ragionava in una logica on-off: analizzavi un’azienda dal punto di vista finanziario, rischio di credito, liquidità etc. Oggi hai la tecnologia e puoi usare più dati.

Puoi simulare l’andamento possibile di un investimento e il suo impatto sul portafoglio; oppure simulare scenari diversi. Un brusco calo del PIL, come impatterebbe su quell’azienda? E sulla sua base dei costi? Che cashflow avrà a disposizione per ripagare il mio credito, al verificarsi di determinate condizioni?

Parliamo di un mercato complesso con molti dati a disposizione, che noi vogliamo strutturare e standardizzare cosicché tutti gli attori possano usarli per prendere decisioni migliori in modo più rapido.

AG. Cardo AI è una realtà oramai consolidata, con molti clienti nel settore finanziario. Avete assistito anche a un cambiamento nel modo in cui le banche, da un lato, e il fintech dall'altro, guarda al tema dei dati? C’è stata un'evoluzione nella prospettiva dei vostri interlocutori?

AK. All'inizio del nostro percorso abbiamo visto un atteggiamento un po’ più riskless da parte delle banche. Negli ultimi anni, invece, sta cambiando perché sia le banche che le fintech stanno trovando valore nelle loro proposizioni di mercato.

Da un lato, le banche vogliono modernizzare la loro struttura operativa, portare nel mercato nuove nuovi prodotti e servizi per i loro clienti ed essere veloci nel fare questo.

Dall'altro lato, le fintech vogliono poter avere una maggiore quota di mercato, e con un approccio big data andare a offrire servizi a più clienti.

Quindi io vedo uno spirito di collaborazione e co-creazione che prima non c'era, proprio perché è chiaro che ciascun gruppo può beneficiare dall’altro. Il fintech è bravo a essere veloce nel portare un'idea sul mercato, le banche invece sono molto più solide, molto più distribuite, molto più vicine al cliente. Possiamo collaborare e co-creare insieme e lo vediamo che questo sta cambiando.

C'è un tema di sistemi legacy da considerare, perché questi sistemi allungano i tempi di innovazione, però le banche si stanno attrezzando bene con sistemi di open API, che ti permettono di interagire con i loro dati.

Magari si inizia con un piccolo gruppo di clientela e poi si estende in tutto il bacino dei clienti.

AG. Nel mondo dei dati ci sono due temi importanti ed emergenti, dove più che altro si registra una fame di dati: il primo è il mondo degli ESG, tutto quello che è sostenibilità misurazione e quantificazione della sostenibilità e servono servono dati affidabili per capire che cosa è veramente green e cosa non lo è. E poi c'è quell'universo dei dati alternativi. Come state lavorando su questi due fronti?

AK. Il mondo dei dati alternativi è un mondo bellissimo. Perché nasconde dei pattern di atteggiamento dei clienti e anche delle opportunità molto interessanti.

Ci sono diversi dati alternativi che possono portare valore all’interno di un processo decisionale data driven, sia in ambito analisi del rischio sia di pricing di portafogli azione e così via. Ma ci sono anche altri dati alternativi che, invece, pur sembrando molto interessanti non portano valore.

In ambito ESG abbiamo analizzato molto in profondità per limitare il più possibile il rischio green washing, sotto il mirino del regolatore.

Ci siamo focalizzati su un approccio regulatory driven: abbiamo analizzato tutti i regolamenti sul mercato e a cui gli attori che devono essere compliant, in aderenza alla tassonomia europea, per calcolare l’allineamento dell’azienda in cui si sta investendo al sistema di classificazione dell’Unione Europea.

Lavoriamo su questo prodotto da circa nove mesi ed è un’attività alquanto difficile, in quanto sulle piccole aziende spesso non si hanno sufficienti dati a disposizione. Ci viene in aiuto internet con una serie di dati provenienti da fonti diverse, come i dipendenti, oppure le recensioni dei prodotti, che ci permettono di classificare un’azienda.

È un’attività che andrebbe condotta a due mani, da una parte la raccolta dei dati alternativi, dall’altro la disponibilità dell’azienda a completare questa analisi con ulteriori informazioni.

Al momento siamo ancora in una fase di transizione e i vari attori di mercato fanno molta fatica a misurarsi con questi indicatori dettati dalla tassonomia UE. Ma il nostro compito è appunto aiutarli e cercare di fare chiarezza: grazie a dati semplici, come la partita IVA e il nome dell’azienda, possiamo calcolare in modo automatico l’aderenza ai criteri ESG, senza ulteriori attività da parte della banca o del gestore. Questo dato poi può essere preso e confrontato con i dati forniti dall’azienda stessa e, insieme agli analisti della società, si decide per l’allineamento.