Open banking, AI, DLT: a che punto siamo?

Open banking

Cresce l’interesse, ma non si va oltre la sperimentazione. Il Finance conosce i vantaggi delle nuove frontiere hi-tech, come open banking, intelligenza artificiale e blockchain. Rischi, difficoltà tecniche e mancanza di skills sono però freni importanti.

L’open banking e il rischio competition

A fare il punto sui “lavori in corso” in ambito open banking, AI e DLT è un recente sondaggio firmato Deloitte, in collaborazione con l’Osservatorio FinTech & InsurTech del Politecnico di Milano. Per quanto riguarda l’open banking, l’84% degli intervistati (un campione di manager del Finance italiano) segnala collaborazioni già avviate con il FinTech. Ma il 77% ancora deve “attrezzarsi” (adeguando l’infrastruttura ad esempio) per gestire al meglio il fenomeno. Nonostante per più di una realtà del Finance su due (il 57%) sia tra le priorità strategiche, infatti i timori non mancano. Accanto ai vantaggi, come la possibilità di sviluppare nuovi business e le opportunità in termini di velocità, si temono la competizione con i nuovi player e l’esposizione al rischio cyber.

L’AI tra normativa e difficoltà tecniche

Discorso simile per l’intelligenza artificiale. Solo il 15% del campione ha infatti implementato l’AI nelle proprie attività, mentre il 46% è fermo alle sperimentazioni e il 31% è in fase di studio. Anche se l’83% degli intervistati è convinto che la tecnologia diventerà mainstream nel giro di due anni, contribuendo a ridurre i costi (è così per il 92% del campione), gli ostacoli all’orizzonte sono diversi. Per il 74% non si può procedere senza una revisione normativa. Problema che si aggiunge alle difficoltà di implementazione e di gestione dei dati. E alla mancanza di competenze digitali specifiche.

La Blockchain e il gap con il resto del mondo

Se parliamo di blockchain la strada è ancora più impervia. Un’azienda su due è ferma alla formazione delle risorse. Una su tre è ancora al proof of concet. Mentre solo una su cinque ha già sviluppato veri e propri casi d’uso. In più l’Italia conserva un ritardo rispetto al resto del mondo: la maggioranza delle aziende italiane ha investito in blockchain meno di 500mila euro; a livello globale la media è tra 1 e 5 milioni di dollari. Anche se in Italia la blockchain è vista come qualcosa di “rivoluzionario” (l’85% degli istituti la concepisce così), regolamentazione e scarse competenze restano infatti freni non da poco (è così per il 38% degli intervistati). Tanto che un buon 77% guarda a risorse esterne.