Come crescerà il private banking

Il private banking ha ancora ampi spazi di crescita: e non solo in termini di mercato, cioè di masse e di clienti da acquisire, ma anche per quanto riguarda l’estensione dei servizi offerti a una fascia di clientela ricca spesso etichettata con il termine “Paperoni”. Ma che nasconde esigenze specifiche e complesse, richiedendo un modello di servizio ad hoc e dedicato.

Un percorso di consapevolezza per il settore

È lo scenario del private banking italiano tratteggiato da AIPB, Associazione Italiana Private Banking, in occasione del decimo compleanno dell’associazione. «In dieci anni abbiamo cercato di creare innanzitutto una cultura sul e del private banking – commenta Bruno Zanaboni, Segretario Generale di AIPB – producendo studi, ricerche, libri ed eventi. Un percorso che è stato anche una affermazione di identità per il settore, per esempio attraverso la certificazione di 1.700 private bankers dal 2006 a oggi: il private banking oggi non è più solo “un servizio per ricchi” da valutare guardando alle masse amministrate, ma un servizio che risponde alle esigenze di clienti sofisticati che genera margine di valore per la banca».

Cresce la ricchezza delle famiglie private

In Italia, intanto, la ricchezza delle famiglie “private” cresce fino a 47 miliardi stimati per fine 2014: un aumento che è dovuto principalmente all’effetto performance derivante dalla gestione degli asset. L’incremento su dicembre è del 3,6% ma solo l’1,5% è riconducibile alla produzione di nuova ricchezza, il resto è tutto effetto mercato. Nell’asset mix delle banche private, intanto, la quota del gestito (36,2%) ha superato quella dell’amministrato (35,7%), mentre la componente assicurativa ha superato la soglia del 10%. Il 72% dei ricavi del private banking derivano così da margine di servizi, vale a dire una componente di tipo ricorrente, che offre maggiore stabilità e possibilità di pianificazione.

Solo il 51% del mercato è delle banche private

Uno scenario certamente positivo, che non sembra avere bisogno di grandi scossoni o innovazioni. E invece i margini di crescita, come detto, ci sono. In termini innanzitutto di clientela e di masse: perché a oggi il mercato potenziale è gestito dalle banche “private” solo per il 51%. C’è un 8% gestito dalla Promozione Private, il resto è tutto retail banking. Un 41% di masse gestito in filiale. «Il cliente private ha bisogno di qualcuno che gli dedichi tempo per capire le sue necessità – afferma Maurizio Zancanaro, A.D. di Banca Aletti e Presidente del CdA di AIPB – mentre allo sportello bancario tradizionale difficilmente c’è modo di dare la giusta attenzione al cliente. La banca retail dovrebbe vedere nel private banking la possibilità di sviluppo di alcuni affluent molto bravi, soprattutto in un momento in cui le carriere tradizionali, in banca, non ci sono più».

Wealth management e protezione tra le linee di sviluppo

E poi c’è la componente di servizio. Già oggi il 67% dei ricavi deriva dalle attività di “selezione e consiglio”: una espressione su cui AIPB punta particolarmente per differenziare il servizio del private banker rispetto alla ormai inflazionata “consulenza”. I player sul mercato, per quanto differenziati per strategie, hanno una evoluzione comune verso l’offerta di una gamma di soluzioni per i clienti: tra i temi ritenuti a maggiore potenziale per i prossimi due anni ci sono il wealth management e la protezione. Il tema della protezione si estende anche al passaggio generazionale: il 32% dei clienti private è imprenditore, il 25% libero professionista e un ulteriore 10% commerciante o artigiano. «Un grande patrimonio ha bisogno di protezione – spiega Andrea Ragaini, A.D. di Banca Cesare Ponti e Vicepresidente del CdA di AIPB – e l’obiettivo è innanzitutto proteggere la ricchezza. La cultura finanziaria, in questi dieci anni, è cambiata moltissimo: un tema come la protezione prima era solo in nuce, adesso è ben presente anche per il cliente».

«L’attenzione alla protection – aggiunge Fabio Innocenzi, A.D. di UBS Italia – deriva sia dall’incertezza globale sia dall’andamento della vita personale e lavorativa. Nelle indagini sui nostri clienti emerge il bisogno di protezione assicurativa, generazionale. E il valore di una buona relazione tra banker e cliente in cerca di risposte ai suoi bisogni è più forte delle performance di investimento dal punto di vista della fidelizzazione».

La sfida: essere collettore di risposte

Un obiettivo sfidante per le banche private e per i 5.674 private banker censiti a metà 2014: con un portafoglio medio di 84 milioni (ma si oscilla tra i 24 e i 278 milioni), il 73,7% ha un contratto da dipendente e il 14,7% un mandato di agenzia. Il restante 11,6% sono manager di filiale e coordinatori di rete con portafoglio. «La banca private potrà sostituirsi a una miriade di professionisti che non sempre offrono un servizio di elevato livello ai nostri clienti – conclude Zancanaro. La sfida della nostra industria è farsi collettore delle risposte: da questo punto di vista, abbiamo appena iniziato a fare quello che potenzialmente possiamo fare».  

 

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