Un bundle anche per l’offerta digitale

Il digitale è la fine della banca tradizionale? Non passa settimana senza leggere analisi e interviste in cui si predice la rivoluzione del banking a opera di FinTech e startup. Una rivoluzione “alla francese”, nel senso che l’ancien régime crolla per lasciare spazio a un ecosistema ideale fatto di Open Banking, trasparenza, bassi costi e nuovi player.

La situazione è più complessa. Partiamo da una delle ultime analisi sul settore bancario ricevute in redazione prima di andare in stampa.

Si intitola “Il Fintech mette alla prova i giganti del banking” ed è firmato da Guy de Blonay, che gestisce il fondo Global Financials per Jupiter Asset Management. La scelta di un gestore non è casuale: non solo segue il finance da molto vicino, ma lo fa guardando alla redditività, senza bias legati al ruolo di vendor tecnologico. de Blonay ritiene che, anche dopo la fine del QE, la ripresa del settore bancario sarà complicata proprio dall’emergere del FinTech. Questi, in estrema sintesi, i punti chiave della sua analisi:

• le banche hanno una fonte storica di redditività nel bundling di prodotti: alcuni a basso margine, altri con un margine più alto;
• i Regolatori premono verso una maggiore trasparenza e verso l’apertura dei sistemi bancari, resa possibile dalla tecnologia, verso un modello di Open Banking;
• la maggiore trasparenza e la possibilità di scegliere tra i diversi fornitori di servizi (i.e. FinTech e startup) romperà il bundle bancario tradizionale, portando più libertà nella personalizzazione dei servizi bancari;
• i Millennials sono già orientati all’utilizzo di servizi di pagamento in-app di operatori OTT come PayPal, Google, Facebook e Apple;
• le banche impegnano tre quarti del loro budget IT nella manutenzione dell’esistente e hanno poche risorse per l’innovazione, campo di competizione con OTT e FinTech. L’analisi di Guy de Blonay, proprio perché svolta dalla prospettiva di chi gestisce una massa importante di investimenti, è anticipata da una domanda fondamentale: la crescita del FinTech esclude quella del settore bancario? In altri termini, banche e FinTech sono correlate le une alle altre? L’ascesa dei nuovi player comporta necessariamente il tramonto di quelli esistenti?

Il bundle non funziona più?

Manteniamo la stessa prospettiva centrata sulla redditività del settore e partiamo da quello è che è un po’ il nodo gordiano del ragionamento di de Blonay: il bundling di prodotti e servizi, base del modello di redditività della banca tradizionale. Accettiamo, semplificando, che il conto corrente sia il prodotto di partenza del cliente, su cui innestare tutta una serie di prodotti e servizi aggiuntivi che lo fidelizzano e lo “legano” alla banca.

Banca che, in questo modo, diventa il punto unico di ingresso al mondo dei servizi finanziari. Tutto parte dal conto corrente e da alcune operazioni base: ricevere denaro, effettuare pagamenti, prelevare contante. Non dimentichiamoci il cliente Bene: Open Banking, trasparenza e FinTech mettono a rischio tutto questo? Certamente sì. Ma ci sono molti fattori da considerare. E il primo deve sempre essere il consumatore/ cliente.

La tentazione è tirare in ballo i mitologici Millennials, disruptor per forma mentis. I quali, istintivamente, dovrebbero scegliere soluzioni innovative. E quindi pagare (e ricevere denaro) con i wallet di player come Apple, Google, PayPal e Facebook. Dati alla mano, a oggi l’unico player a muovere masse significative (eccome!) è PayPal, che è un po’ il modello da imitare per chi punta alla conquista dei pagamenti digitali. Ma, sia ben chiaro, solo di quelli digitali. Perché chi usa PayPal, o i corrispondenti wallet di aziende come Amazon, può farlo per pagare online e inviare denaro ad altri utenti dello stesso servizio. Nel mondo fisico, le cose cambiano.

Il fisico è diverso dal digitale. E non scomparirà

Lo sanno bene Google e Apple che per i rispettivi servizi di appoggiano ai circuiti internazionali esistenti. Il motivo è noto: l’investimento necessario ad acquisire i POS dei retailer fisici è mostruoso. E i margini sui pagamenti non sono poi questa gran cosa. Se l’obiettivo è controllare i dati relativi alle transazioni (e quindi ai gusti) dei consumatori, funziona meglio un accordo coi player preesistenti. Che è poi la scelta fatta da Apple e Google. Scardinare il legame con il conto corrente, almeno per il momento, non è cosa semplice.

Perché serve un unico punto di accesso

Ma ammettiamo pure che i pagamenti via Whatsapp, Facebook o altro dilaghino, magari corrodendo la quota largamente maggioritaria che il contante vanta ancora nelle transazioni. A questi operatori spetterebbe il compito di farsi aggregatori di funzioni e servizi “bancari”, magari di terzi. Perché dopo i primi anni di “app economy” è già chiaro che la vita delle applicazioni è tutt’altro che facile: pochi grandi nomi conquistano la maggioranza degli smartphone (e incassano in proporzione) mentre tutti gli altri sono impegnati in una dura lotta per conquistarsi “un posto al sole” sugli smartphone. Complici i limiti della memoria, si salva solo chi riesce a dimostrarsi utile e facile da usare. Una app che aggrega più servizi (come quella della banca) ce la può fare. Un gruppo di FinTech con diverse app a seguito avrebbe qualche difficoltà in più. In altri termini, un unico punto di accesso ai servizi bancari non è un vezzoso reperto dell’era analogica, ma una necessità (forse addirittura cognitiva) del cliente. Qualcuno dovrà metterci il logo (o l’icona, parlando di app): resta da vedere se sarà una banca o un nuovo player.

Continuare a guardare all’esistente?

Passiamo a un punto chiave dell’analisi di Guy de Blonay: citando dati di Redburn, evidenzia come dei 241 miliardi di dollari che le banche (in Nord America, Europa, Asia Pacifico e America Latina) hanno speso in infrastrutture IT nel corso del 2016, ben il 75% sia stato destinato alla manutenzione dell’esistente. Che i sistemi legacy pesino sul budget IT del finance è noto: tutti sappiamo che il core banking ha visto tante primavere ma è complicato da rinnovare e che molti sistemi, come la barca della famosa canzone, finché vanno si lasciano andare. Su questo punto, vale la pena sottolineare come il budget per l’innovazione tecnologica in banca non coincida più “solo” con il budget della funzione IT.

Anche le altre funzioni, in primis il Marketing, gestiscono investimenti importanti in tecnologia e innovazione: al CIO è rimasta la grana della manutenzione, magari per adattare l’esistente alle scelte di altri.

Anche le nuove idee falliscono

Per il FinTech e, più in generale, per gli OTT la solfa è ben diversa: Google e Amazon hanno investito in ricerca e sviluppo, rispettivamente 14 e 16 miliardi di dollari nel 2016. Spendere molto non significa comunque spendere bene: una considerazione da bar, ma è importante ricordare che a decidere è sempre il cliente. Che non sempre si comporta come le aziende prevedono, anzi.

Non è raro che le idee nuove falliscano: e passi per startup strampalate che scompaiono nel nulla, ma non dimentichiamoci quanti fenomeni sono letteralmente passati di moda esaurita la curiosità (che è diversa dall’interesse) dei potenziali clienti. Gli esempi si sprecano (Second Life, MySpace…), tanto più che siamo ancora qui a chiederci, sotto sotto, a che cosa serva realmente (e come possa guadagnare) Twitter.

Compliance: quando la normativa è ostacolo

E serve a poco citare i giganti cinesi: Alibaba (con Alipay), Tencent (con Wechat) e il motore di ricerca Baidu, che gestiscono enormi volumi di pagamenti digitali. Perché la Cina non è propriamente una economia di mercato con una normativa di settore paragonabile a quella occidentale. Ecco, chi ci ha letto fino a qui avrà notato che non abbiamo ancora citato un elemento fondamentale: la normativa. Perché se Wechat non ha un corrispondente europeo non è per un fattore culturale o perché le banche nostrane sono “indietro”. Ma perché la compliance fissa dei paletti e dei limiti precisi.

La banca: unica porta di ingresso?

In sintesi, abbiamo questa situazione. Le banche hanno ancora il ruolo di porta unica di accesso ai servizi bancari e vogliono difenderlo, anche grazie allo scudo della normativa, ma non hanno la capacità di innovare. Il FinTech innova moltissimo, ma in segmenti molto specifici e non si è ancora organizzato per offrire una piattaforma integrata. Il “bundle” non sembra destinato a tramontare, ma piuttosto a rinnovare. Mettendo insieme servizi diversi, di fornitori diversi, su una unica piattaforma che offrirà magari più opzioni di scelta. Questo sì, che è Open Banking.