La Corte d’Appello di Venezia è tornata a pronunciarsi su un tema di particolare interesse relativamente al contenzioso bancario, ovvero se per rideterminare il corretto saldo dare-avere nei rapporti di conto corrente occorre prendere a riferimento il “saldo banca”, ossia la contabilità risultante dagli estratti conto predisposti dall’istituto bancario, oppure il “saldo rettificato”, che prevede invece la ricostruzione del dare/avere del conto corrente depurato dagli addebiti illegittimi.
L’applicazione dei principi giurisprudenziali in tema di distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie ha infatti trovato nella pratica una rilevante difficoltà nell’individuare il saldo di riferimento sul quale eseguire il calcolo delle rimesse prescritte.
L’evoluzione dal 2010 a oggi
All’indomani della pronuncia delle SS.UU. del 2010, la giurisprudenza assolutamente predominante riteneva che il calcolo dovesse eseguirsi sulla base del c.d. “saldo banca”, ossia degli estratti conto elaborati dall’istituto di credito nel corso del tempo.
Tuttavia, nella giurisprudenza di legittimità si è progressivamente fatto strada un diverso orientamento, secondo il quale l’individuazione delle rimesse solutorie prescritte dovrebbe eseguirsi in base al c.d. “saldo rettificato”, rielaborato dal CTU nel corso del giudizio ed epurato da tutti gli addebiti illegittimi.
In altri termini, secondo la Suprema Corte, per verificare la natura del versamento, stante la nullità di una determinata clausola, occorrerebbe prima eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito e, sulla base del saldo così ricalcolato, determinare il reale passivo del correntista, che costituisce la linea di demarcazione tra le due tipologie di versamenti. In sostanza, il conto corrente scoperto - poiché in passivo senza fido o extra-fido - andrebbe determinato solo dopo l’eliminazione dal saldo di tutte le competenze illegittime.
Il caso di Venezia
Nel caso di specie, il correntista ha opposto un decreto ingiuntivo ottenuto da un Istituto di credito, affermando che ai rapporti oggetto di causa erano stati illegittimamente applicati interessi ultralegali, commissioni di massimo scoperto, provvigioni sul fido e commissioni analoghe, chiedendo quindi al Tribunale di disporre la relativa compensazione con il credito vantato. Costituitasi in giudizio con il patrocinio dello Studio Casa & Associati, la Banca ha in particolare eccepito la prescrizione del diritto di ripetizione delle eventuali somme indebitamente percepite.
Nella sentenza di primo grado il Tribunale ha ritenuto che, con riferimento alla decorrenza del termine di prescrizione del diritto di ripetere le somme indebitamente versate, per individuare le rimesse solutorie sia necessario avere riguardo ai saldi risultanti dagli estratti della Banca, non a quelli derivanti dall’eliminazione degli illegittimi addebiti.
Il correntista ha quindi impugnato la sentenza del Tribunale, sostenendo che il ricalcolo integrale degli addebiti illegittimi operati a proprio carico doveva essere basato sul criterio del “saldo rettificato”, in ossequio alle più recenti pronunce della Corte di Cassazione sul tema (per tutte, Cass. n. 9141/2020).
L’Istituto, difeso dall’Avv. Fabio Sebastiano, si è costituito nel giudizio di secondo grado affermando che l’unica modalità attendibile per verificare la natura delle rimesse intervenute su di un conto corrente è invece quella fondata sul saldo emergente dagli estratti conto, e non su quello epurato dagli asseriti illegittimi addebiti.
La sentenza
La Corte d’Appello, richiamando una propria precedente sentenza dello stesso tenore (Corte d’Appello di Venezia, sent. n. 1591/2024), ha ritenuto il motivo di censura inammissibile, avendo il correntista limitato la propria impugnazione alla generica prospettazione di un errore di metodo compiuto dal Consulente tecnico d’ufficio, senza chiarire la rilevanza, nel caso concreto, dell’errore denunciato.
Scrive il Collegio: «la censura mossa dall’appellante, così come formulata, risulta del tutto generica, non avendo la parte dedotto – come pure era suo onere fare con riferimento al caso specifico – in quale misura il calcolo dovrebbe ritenersi errato, avendo comportato la metodologia seguita dal c.t.u. un effettivo errore in danno dell’appellante, diversamente da quanto sarebbe accaduto se avesse seguito integralmente il metodo del c.d. saldo rettificato, e dunque senza minimamente precisare la rilevanza pratica della doglianza, tanto più necessaria in presenza di rapporti di c/c con saldo sempre negativo per importi consistenti (v., in questi termini, già Corte d’Appello di Venezia, sent. n. 1591/2024). In conclusione, la genericità del motivo, che si limita al richiamo di regole giuridiche, non calate nella fattispecie concreta, non soddisfa le condizioni minime di cui all’art. 342 c.p.c.».
Secondo la Corte lagunare, quindi, non è sufficiente una generica prospettazione dell’erroneità del metodo costituito dal c.d. “saldo banca”, richiamando la giurisprudenza di legittimità sul punto: il correntista è comunque tenuto a precisare la rilevanza pratica dell’impiego del c.d. “saldo rettificato”. Corte d’Appello di Venezia, Prima Sezione civile, 30.12.2024 n. 2270.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di gennaio/febbraio 2025 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop.