Fabrick e Tink

Nell’open banking serve più collaborazione

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Giulio Rattone, CIO di Fabrick, e Marie Johansson, Country Manager di Tink in Italia

Nonostante gli ostacoli tecnologici e culturali, l’open banking italiano sta crescendo. «Anche se ostacoli, sia di tipo culturale sia di legacy, ancora non permettono di coglierne tutte le opportunità e di abilitare un modello di banca che sia realmente “aperta” – commenta Giulio Rattone, CIO di Fabrick – la PSD2 ha innescato una vera e propria rivoluzione che nel tempo sta evolvendo nella forma e sfociando nell’open finance per arrivare a coinvolgere non solo il mondo delle banche ma anche tutti gli altri settori».

Cliente al centro del nuovo modello

Un cambiamento che porta all’emergere di nuovi modelli di business e dinamiche di mercato, che si sviluppano grazie all’embedded finance (vedi l’articolo dedicato all’interno di questo speciale). «Il punto di partenza è il cliente finale e le sue esigenze – prosegue Rattone – su queste, grazie al modello di piattaforma, vengono ormai costruiti servizi e prodotti di tipo finanziario: dai pagamenti, al credito, agli investimenti».

Democratizzare i servizi finanziari

La centralità del cliente è l’anima della PSD2 (e, più in generale, della normativa europea, basti pensare al parallelo tra la portabilità dei dati dettata dalla Direttiva sui Pagamenti e il pieno controllo dei dati garantito dal GDPR) e guiderà quindi lo sviluppo dell’open banking. «L’obiettivo a lungo termine – afferma Marie Johansson, Country Manager di Tink in Italia – è quello di democratizzare il mondo dei servizi finanziari, rendendolo fruibile a molte più persone. Quest’anno, Tink ha rivelato un cambiamento incoraggiante nel modo di porsi delle banche italiane: secondo il nostro ultimo report, in Italia la propensione verso l’open banking è cresciuta dal 57% nel 2019 al 71% nel 2021. La maggioranza delle istituzioni finanziarie italiane, quindi, è desiderosa di abbracciare il vero potenziale dell’open banking anche se in Italia questa rivoluzione sta ancora muovendo i primi passi. I nuovi casi d’uso hanno faticato a decollare a causa di user flow macchinosi, ma ciò sta finalmente cambiando e ci aspettiamo di vedere tante storie di successo italiane nel prossimo futuro».

Banche italiane poco ambiziose

I dati che Tink ha rilasciato nel corso del 2021 sulla maturità dell’open banking nazionale segnalano anche un “falso ottimismo”. «In Italia il 23% dei dirigenti finanziari prevede che ci vorrà più di un decennio per completare gli obiettivi di open banking: il 43% ritiene che ci vorranno 5-10 anni e il 34% pensa che serviranno meno di 5 anni – chiarisce Johansson. Questo dato, all’apparenza positivo, riflette in realtà una portata più limitata delle strategie di open banking in questo mercato, dove ci si concentra più sulla parte che riguarda la compliance che su progetti di trasformazione su larga scala. Tempi così lunghi, d’altronde, non sono imputabili agli istituti finanziari quanto alle infrastrutture legacy o alle sfide tecnologiche che creano un freno».

Crescerà la collaborazione

Per il 2022, quindi, ci si aspetta un ulteriore sviluppo sia della consapevolezza delle banche sul potenziale dei modelli emergenti sia il lancio di nuovi servizi. «Nell’anno che sta per cominciare – prevede Rattone – assisteremo a un ulteriore consolidamento dell’open finance e vedremo lo sviluppo concreto di un numero sempre maggiore di progetti di open banking e open payment basati sul modello della collaborazione».

Servono più partnership

Una visione condivisa anche da Tink, che sottolinea come gli istituti finanziari hanno iniziato a cogliere l’importanza di costruire partnership con le Fintech per accelerare l’innovazione e dotarsi di tecnologia, competenze e visione. «Ma si può fare certamente di più – osserva Johansson. Nello specifico, oggi il 17% degli istituti italiani ha in corso una partnership Fintech per alimentare la propria strategia di open banking. Questi numeri sono destinati a crescere attraverso collaborazioni intelligenti che aiutino le banche ad affrontare processi di approvvigionamento e di onboarding, sempre nell’ottica di migliorare l’esperienza del cliente finale».

I pagamenti di nuovo in trasformazione

Se i vantaggi del nuovo paradigma sono sempre meglio compresi, cosa diversa è la scelta degli use case: da dove partire, con l’open banking? La risposta non può che essere: da ciò che crea maggior valore al cliente. «I servizi che maggiormente cresceranno sono quelli legati all’evoluzione del Payment Initiation Service Provider che diventerà sempre più di uso comune – spiega Rattone. Ad esempio, soprattutto in ambito e-commerce, saranno sempre più frequenti i pagamenti da conto corrente. Ci aspettiamo quindi una crescita della percentuale di mercato che passerà al modello cardless e account to account. Un altro filone che si affermerà è quello legato al riconoscimento dell’identità digitale per garantire esperienze utente senza frizioni. In generale, un numero sempre maggiore di aziende corporate amplierà il proprio raggio di azione ai servizi finanziari».

Liberare i dati

L’accessibilità dei dati finanziari è quindi l’altro presupposto per espandere l’offerta di prodotti e servizi. «Probabilmente – conclude Johansson – vedremo l’open banking alimentare più decisioni basate sul rischio, migliorare le sottoscrizioni e aumentare la produttività, fornendo al contempo più convenienza ai clienti che stanno aprendo un conto bancario, chiedendo un prestito o un mutuo; e l’influenza dell’open banking sul settore dei pagamenti è destinata a crescere nel 2022».

 

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di dicembre 2021 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop