La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi, per la seconda volta nel giro di pochi mesi, sulla questione relativa alle clausole dei contratti bancari che prevedono tassi di interesse indicizzati all’Euribor, la cui validità è stata posta in dubbio in seguito alle decisioni della Commissione Europea del 2013 e 2016 che hanno accertato che alcune banche straniere appartenenti al panel per la determinazione dell’Euribor, tra il 2005 e il 2008, hanno posto in essere comportamenti (essenzialmente uno scambio di informazioni) volti a restringere o falsare la concorrenza nel settore dei derivati sui tassi di interesse collegati a tale indice.
L’ordinanza della Cassazione del dicembre 2023
Con una prima pronuncia del dicembre 2023 (l’ordinanza n. 34889), la Suprema Corte ha riconosciuto alla decisione della Commissione Europea valore di prova privilegiata dell’illecito anticoncorrenziale posto a supporto della richiesta di accertamento della nullità dei tassi “manipolati” ai sensi della norma che vieta le intese restrittive della libertà di concorrenza comminandone la nullità (ossia l’art. 2 della c.d. Legge antitrust, L. n. 287/1990).
Il valore di prova privilegiata, osserva l’ordinanza, prescinde dal fatto che al cartello abbia o meno partecipato la banca finanziatrice, in quanto oggetto del divieto e della relativa nullità è qualunque contratto o negozio “a valle” che costituisca applicazione delle intese illecite concluse a “monte”.
Secondo la prevalente lettura che ne è stata fornita, l’ordinanza della Cassazione afferma la nullità della clausola di determinazione del tasso applicato in quanto parametrato all’Euribor fissato attraverso l’accordo manipolativo della concorrenza e ciò anche per quanto riguarda i contratti bancari (es. mutui, finanziamenti e leasing) stipulati con istituti di credito estranei all’intesa lesiva della concorrenza (che ha riguardato soltanto alcune banche straniere appartenenti al panel).
L’ordinanza ha avuto ampia attenzione mediatica, vista la particolare rilevanza dei possibili risvolti applicativi, e in molti si sono affrettati a proclamare il diritto di chi ha pagato interessi a tasso indicizzato all’Euribor “manipolato” (e quindi nel periodo 28 settembre 2005-30 maggio 2008) di ottenere la restituzione degli importi versati.
L’assenza di un orientamento univoco nella giurisprudenza di merito
I principi della Suprema Corte hanno però trovato applicazione tutt’altro che univoca da parte dei giudici di merito: ad alcune decisioni che hanno affermato la nullità della clausola contrattuale di determinazione dei tassi indicizzati all’Euribor “manipolato” se ne sono infatti affiancate altre che, anche sulla scorta di articolata motivazione, hanno rigettato le pretese di rimborso degli interessi pagati.
La sentenza della Cassazione del maggio 2024
In questo contesto, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12007 dello scorso 3 maggio, è tornata a pronunciarsi sulla validità delle clausole contrattuali di determinazione degli interessi indicizzati all’Euribor, chiarendo subito di non condividere le premesse dell’ordinanza n. 34889.
Secondo la recentissima pronuncia di Cassazione, infatti, affinché un contratto c.d. “a valle” di un’intesa restrittiva della concorrenza (quale sarebbe un contratto stipulato da una banca italiana rispetto al cartello accertato dalla Commissione Europea) possa essere considerato applicazione dell’intesa illecita “a monte”, occorre che chi invoca la nullità ai sensi della disciplina antitrust dimostri che la banca stipulante, al momento della conclusione del contratto, fosse o direttamente partecipe all’intesa illecita o consapevole dell’alterazione dell’Euribor e intendesse avvalersene nella determinazione del contratto.
Snodo argomentativo senza dubbio rilevante perché – essendo le banche italiane estranee alla condotta anticoncorrenziale – preclude di fatto la possibilità di pretendere, in modo del tutto automatico, il rimborso degli interessi versati invocando la nullità delle clausole di determinazione dei tassi ai sensi della normativa antitrust.
Pur escludendo la nullità tout court delle clausole contrattuali con interessi parametrati all’Euribor, la Cassazione ritiene che tali clausole potrebbero ritenersi viziate da nullità parziale per impossibilità di determinazione dell’oggetto delle clausole stesse, limitatamente al periodo in cui manchi il predetto dato, se viene superato da chi invoca l’invalidità della clausola un non facile onere della prova.
Oltre a dover dimostrare l’esistenza di una pratica volta ad alterare il parametro Euribor, occorre infatti dimostrare (a) che tale condotta abbia raggiunto il suo scopo e, quindi, che l’Euribor sia stato effettivamente “alterato” e di conseguenza non possa essere utilizzato nel rapporto contrattuale non potendo svolgere la funzione obbiettiva assegnata dalle parti al parametro stesso; (b) se, per quanto tempo e in quale misura, tale alterazione abbia inciso in modo significativo sulla determinazione del tasso di interesse previsto dalle parti nel singolo contratto.
Si tratta evidentemente di una prova non semplice da fornire anche tenendo conto del fatto che l’Euribor è un dato rilevato da un’agenzia terza (Thomson Reuters), rappresento dalla media dei tassi relativi a operazioni interbancarie, comunicati da un panel di banche europee ed è alquanto dubbio che l’intesa illecita accertata dalla Commissione possa aver effettivamente comportato un rialzo dell’Euribor.
Il cartello ha infatti riguardato un numero di banche limitato rispetto al numero complessivo degli istituti di credito appartenenti al panel.
Inoltre, dal computo dell’Euribor viene escluso il 15% dei valori più alti e più bassi comunicati e comunque la prassi illecita accertata dalla Commissione non era necessariamente finalizzata al rialzo dell’Euribor, essendo al contrario diretta alla fissazione dell’Euribor a seconda dello specifico interesse delle banche al momento della comunicazione, che poteva essere al fixing di un Euribor elevato – quando la banca riceve un importo calcolato in base a tale indice –, basso – quando deve pagare un importo calcolato in base all’Euribor –, o forfettario – quando non ha una posizione significativa in nessuna delle due direzioni.
Insomma, se dopo l’ordinanza della Cassazione del dicembre 2003 la strada per ottenere il rimborso degli interessi versati negli anni 2005-2008 appariva ad alcuni del tutto spianata, ora è senz’altro in salita.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di maggio 2024 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop.