L’intelligenza artificiale e quella umana sono profondamente diverse. La prima gestisce perfettamente le regolarità e i modelli statistici, la seconda le eccezioni e le situazioni impreviste. Per questo, ci spiega Enrico Trevisan, Senior Partner di Simon Kucher and Partners, non ha senso chiedersi se utilizzare l’una o l’altra. Banche e istituzioni finanziarie dovrebbero piuttosto chiedersi: come farle lavorare insieme?
Alberto Grisoni. Enrico, sentiamo parlare da tempo di come unire umano e digitale nei modelli di servizio, soprattutto in banche e assicurazioni. Qual è il giusto equilibrio?
Enrico Trevisan. Non esiste un mix corretto per tutte le situazioni. Il primo passo è definire quali sono i punti di forza dell’intelligenza artificiale e quali, invece, gli ambiti in cui l’elemento umano, almeno al momento, prevale. Ma non dobbiamo dimenticarci che stiamo immaginando un modello di servizio destinato al cliente. E i clienti non sono tutti uguali.
AG. Andiamo con ordine: quali sono i punti di forza dell’intelligenza artificiale?
ET. Una macchina, o se preferisci un algoritmo, è instancabile: svolge operazioni di routine in modo ripetuto, senza perdere concentrazione, in modo sempre affidabile e obbediente. È scalabile ed economica: il costo marginale per servire un cliente in più è davvero molto basso. Ed è anche adattabile: se cambi l’algoritmo, puoi fargli fare qualcosa di diverso. Purché sia ripetitivo e formalizzabile in un set di regole o comunque educabile con una quantità sufficiente di dati.
AG. E l’intelligenza umana, invece?
ET. A oggi, il nostro cervello supera ancora l’algoritmo in termini di flessibilità: un operatore umano sa uscire dalle istruzioni che ha ricevuto, per riconoscere le specificità di un cliente e gestire una situazione imprevista grazie alla creatività e alla capacità di giudizio. L’intelligenza umana valuta anche il contesto, può ad esempio valutare se è il caso o meno di toccare un determinato tema con un cliente. Certo, può sbagliare: ma non sono in genere errori fatali, che bloccano cioè l’interazione con il cliente.
AG. Nelle analisi sul tema del rapporto tra umano e digitale, spesso si legge che la relazione con un’altra persona ha il vantaggio dell’empatia.
ET. È corretto: l’intelligenza umana permette di condividere preoccupazioni e insicurezze, allineando sentimenti e giudizi. Nella nostra evoluzione, abbiamo sviluppato euristiche, delle scorciatoie cognitive per capire rapidamente le persone che ci troviamo di fronte: non sono però scelte necessariamente razionali. La simpatia, quindi, la capacità di generare un atteggiamento positivo e di benevolenza, riduce le barriere dell’altro e ne aumenta la disponibilità a fidarsi. Anche la capacità emotiva e persino l’estetica sono strumenti utili per conquistare la fiducia dell’altro, nel nostro caso del cliente. E qui entra in gioco anche la capacità di persuasione: le persone cambiano opinione non in base a dati razionali, ma perché parlano con qualcuno che le convince grazie a segnali deboli di sicurezza.
AG. Gli esseri umani non possono fidarsi di un’intelligenza artificiale?
ET. In realtà ci sono moltissime situazioni in cui le macchine ottengono la nostra fiducia. Questo succede quando ci rendiamo conto che un dispositivo tecnologico, un software o una app funziona. Ma questo processo richiede tempo. La prima volta che useremo un’automobile a guida autonoma, ad esempio, difficilmente terremo le mani troppo lontane dal volante: vorremo potere intervenire, nel caso qualcosa andasse storto. Poi, con il tempo, inizieremo a rilassarci mentre il veicolo si sposta da solo. Il cambiamento sarà graduale.
AG. Per questo serve trovare un mix tra intelligenza umana e artificiale.
ET. L’intelligenza artificiale ha caratteristiche positive: se ci sono parti del customer journey ripetitive e standardizzabili, è imbattibile. E può diventare uno strumento di supporto all’intelligenza umana. Penso a tutte le conversazioni tra cliente e gestore, in cui molte informazioni non vengono registrate: si potrebbe costruire un sistema di interazione flessibile ma collegato a un funnel parametrabile. Oppure alle valutazioni oggettive e statistiche che l’AI può fornire al gestore sulle caratteristiche e i bisogni del cliente.
AG. L’AI può aiutare l’umano a generare fiducia?
ET. Può fornirgli gli strumenti per comunicare meglio con il cliente. Penso a rappresentazioni grafiche e simulazioni, ad esempio di un investimento o di un piano previdenziale: la macchina può rapidamente aggiornare i dati per personalizzare le previsioni sulla situazione specifica del cliente. Con un set mirato di materiali preparati ex ante e messi a disposizione del gestore, si possono fornire le informazioni rilevanti per il cliente, contribuendo alla trasparenza e alla comprensione dei prodotti. Senza trascurare il look and feel di queste presentazioni: la bellezza genera fiducia e un atteggiamento positivo.
AG. L’efficacia di questi strumenti, però, dipende dal cliente.
ET. La banca deve prendere in considerazione le diverse tipologie di clientela e le loro abitudini. L’apertura all’innovazione, ad esempio: non a tutti piace il digitale. O la capacità di muoversi in autonomia sui canali diretti: alcuni clienti preferiscono fare da soli, altri hanno bisogno di aiuto, oppure di stimoli da parte della banca.
AG. Possiamo fissare alcune regole generali da cui partire nel definire questo equilibrio tra umano e digitale?
ET. Il primo fattore è certamente legato a comodità e convenienza: un’operazione fatta in autonomia deve essere comoda per il cliente e poco costosa per la banca. Se devo investire una cifra importante prenderò un appuntamento con il gestore, mentre se devo accantonare 100 euro userò uno strumento online. Valuterei poi la complessità della scelta: per alcuni prodotti l’offerta e la diversificazione è limitata, in altri è sconfinata. Quando le alternative sono molte, penso ancora agli investimenti, la scelta diventa complessa e il cliente, se non viene guidato, rinuncia perché non capisce il prodotto. L’intelligenza artificiale, in autonomia o a supporto di un gestore umano, può aiutare a comunicare meglio, migliorare la trasparenza sui prodotti e ridurre l’incertezza del cliente.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di settembre 2021 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop .