Nuovi modelli di business

Fintech e Incumbent: è iniziata la fase della collaborazione

Fintech e Incumbent: è iniziata la fase della collaborazione

Il “Risiko bancario” che tanto agita le redazioni dei quotidiani continua a restare una suggestione, con alcuni dossier in attesa da anni di venire affrontati. Intanto, però, c’è un ambito in cui le attività di acquisizione e partnership hanno effettivamente visto un’accelerata.

Ed è quello del fintech. Che ha fatto registrare, negli ultimi mesi, alcune operazioni davvero interessanti.

Una nuova fase

La ragione è semplice: sul mercato, ci sono un sacco di buone occasioni per banche, compagnie assicurative e vendor tecnologici.

Il settore fintech e insurtech ha beneficiato di un decennio di tassi zero e liquidità abbondante, che ha permesso di sperimentare sul campo idee, modelli di business e tecnologie.

Gli errori sono stati molti, i fallimenti pure, ma non mancano i casi di successo e, cosa non banale, anche di profittabilità.

Ora che il vento è cambiato, molte realtà innovative sono alla ricerca di partnership. O di acquirenti.

Occasioni win-win

D’altronde, i vantaggi di una collaborazione sono evidenti a tutti da tempo: banche e assicurazioni tradizionali hanno una base clienti ampia e solidità finanziaria; fintech e insurtech possono portare modelli agili e tecnologie innovative.

Ecco quindi che per una banca investire in una fintech, o acquisirla, può essere la strada migliore per trasformare la propria offerta, aggiungendo valore ai servizi esistenti o creandone di nuovi. Una strada più facile da percorrere, in termini di costi ed effort, rispetto alla fusione con altri istituti.

Dove l’esperienza passata insegna che un semplice aumento delle dimensioni non comporta necessariamente la generazione di maggior valore, né di economie di scala significative.

Per non parlare dei costi di integrazione, sia dal punto di vista della formazione del personale e del confronto con la percezione dei brand bancari locali sul territorio, sia della tecnologia, specie quando la macchina IT della realtà acquisita ha visto troppe primavere.

Il tutto, ovviamente, soggetto all’Antitrust.

Rafforzare la specializzazione

Ecco allora che, anziché crescere in dimensione incorporando altre banche, si espandono offerta e competenze tramite le fintech, rafforzando in alcuni casi il valore chiave della specializzazione, già individuato da alcune banche medie e piccole come un fattore non solo di sopravvivenza, ma di generazione di valore.

Negli ultimi anni, ad esempio, Banca Valsabbina ha acquisito molte partecipazioni in fintech attive nel settore del credito, arrivando al 100% di Prestiamoci qualche mese fa.

Più di recente, Generalfinance, specializzata nel factoring per le PMI, ha acquisito il 96% di Workinvoice, uno dei primi player italiani a muoversi nello scenario del trading di fatture.

Con un modello sinergico che fa leva anche sui dati di CRIF e sulla rete distributiva di Banco Desio per offrire servizi avanzati alla clientela.

E va letto in questo senso anche l’investimento annunciato a fine luglio da UniCredit, che mira ad acquisire l’intero capitale sociale di Vodeno e Aion Bank, garantendosi l’accesso a una tecnologia core banking proprietaria cloud-based e a una suite completa di prodotti Banking as a Service. Oltre a una banca digitale, che ha anche qualche filiale in Europa, e a un team di 200 ingegneri.

La volontà di rafforzare le competenze tecnologiche interne è passata, anche in questo caso, dall’acquisizione di soluzioni innovative già presenti sul mercato.

Vale anche per i Vendor IT

Diverse altre banche hanno finora piazzato dei gettoni in molte altre startup, con quote di minoranza che permettono di seguire da vicino, e accompagnare, lo sviluppo e la crescita di idee ad alto potenziale.

Ed è probabile che vedremo ulteriori operazioni in futuro, anche da parte dei fornitori di tecnologia storicamente vicini al mondo bancario.

È sempre più frequente, infatti, il caso di aziende che vorrebbero sviluppare un certo servizio e finiscono per comprare una startup che, guarda caso, ha lavorato proprio sulla medesima idea.

La stessa logica di complementarietà ed espansione dell’offerta che sta guidando le mosse di alcune banche, quindi, si può ritrovare nelle scelte dei player IT.

Sempre restando nell’attualità recente, TeamSystem ha acquisito il 61% di Change Capital, fintech che offre una piattaforma proprietaria di servizi di mediazione creditizia, supportati dall’intelligenza artificiale. Con un catalogo di oltre 200 soluzioni finanziarie, dal finanziamento ai contributi a fondo perduto, che viene ora reso disponibile alle oltre 2 milioni di partite IVA clienti di TeamSystem.

Verso un’accelerazione delle acquisizioni?

Un appetito moderato ma costante. Così S&P Global, nel 2022, definiva l’interesse delle banche tradizionali all’acquisizione di quote di maggioranza nelle fintech (inteso in senso lato, quindi anche insurtech, wealthtech e così via).

Una espressione giustificata dai dati, che mostravano un numero limitato di operazioni (sempre a cifra singola) nel decennio precedente. E concentrate soprattutto nell’ambito degli investimenti e del risparmio.

Sul tema è uscito ad aprile 2024 uno studio di PACE, centro studi del Gruppo BNP Paribas in Francia, che si è concentrato sull’acquisizione di fintech da parte di banche nel periodo 2014 – 2024, focalizzando lo sguardo sull’Europa. E confermando, di fatto, l’idea di poche operazioni, ben selezionate, anche nel Vecchio Continente.

Lo dicono i numeri: in un decennio ci sono state circa 70 acquisizioni, svolte da 39 banche tradizionali.

Lo studio propone come termine di paragone la massiccia attività di scouting svolta da Visa e Mastercard nel medesimo periodo: i due big dei pagamenti, infatti, hanno acquisito 23 fintech.

Tra l’altro, il nostro Paese risulta nel terzetto dei mercati con il maggior numero di operazioni, insieme e Francia e Regno Unito.

Lo studio di BNP Paribas mette anche nero su bianco le ragioni di questa prudenza. La principale è decisamente tranchant: le banche sono in una posizione di vantaggio.

Il settore è iper regolamentato e per quanto le offerte dei nuovi player siano concorrenziali, la clientela è molto fidelizzata, quasi statica.

Pochi italiani (così come pochi francesi) cambiano banca. Più spesso, aprono un secondo conto, magari gratuito o a costi ridotti.

La banca tradizionale insomma, può permettersi di attendere e vedere se il modello di business di una fintech regge il test del mercato e dimostra elementi di valore.

Per non parlare delle difficoltà di integrare l’IT nuovo di pacco di una startup con i sistemi legacy di un istituto tradizionale.

A rendere ancora più prudenti le banche, già tradizionalmente avverse al rischio, sono alcuni casi di fallimento nell’integrazione con una fintech: a volte sono cambiate le strategie della banca, altre volte è fallita l’integrazione tecnologica e culturale, altre volte ancora il modello di business non era sufficientemente testato.

Una ragione in più per restare alla finestra e vedere chi riesce a stare in piedi anche dopo la fine dei tassi zero.

 

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di settembre 2024 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop