Ci sono decine di migliaia di piccole imprese che soffrono particolarmente l’impatto della pandemia e della crisi economica legata alle restrizioni. Sono aziende che operano in settori legali (o quasi, in un caso) ma esclusi dai codici etici delle banche e del FinTech. E che nell’improvvisa interruzione delle attività si sono trovate in difficoltà ancora maggiori, non riuscendo ad accedere a finanziamenti. Spesso, non riescono neppure ad aprire un conto corrente.
Tre settori in difficoltà
L’obiettivo di questa breve inchiesta è sottolineare le condizioni oggettive di difficoltà di aziende che operano legalmente e che hanno alle loro spalle, in molti casi, piccoli o piccolissimi imprenditori. Ed evidenziare alcune contraddizioni che, in alcuni casi, porterebbero a parlare più di moralità che di etica. Ci siamo soffermati su tre settori specifici, i cui negozi si vedono spesso nelle grandi città e, con alcuni limiti, anche nei piccoli centri: sale di giochi o scommesse, rivenditori di cannabis legale e “commercio al dettaglio di articoli per adulti”, per riprendere l’elegante giro di parole con cui i codici Ateco descrivono i cosiddetti sexy shop.
Niente prestiti, a volte neanche il conto corrente
Tre categorie accomunate da un problema: il difficile rapporto con il mondo bancario. Che, per ragioni diverse, le vede molto spesso escluse dalla possibilità di accedere a un finanziamento e, in alcuni casi, addirittura impossibilitate ad aprire un conto corrente. Con tutte le difficoltà che un’attività legale può avere a gestire la liquidità e pagare i fornitori senza avere un conto bancario.
L’apripista: Banca Etica
Ci sono banche, come Banca Etica ed Etica Sgr, che oltre 20 anni fa sono nate proprio per escludere dai finanziamenti settori quali gli armamenti, le fonti fossili e il gioco d’azzardo. Tra le attività non finanziabili troviamo anche la “mercificazione del sesso”, le imprese che violano i diritti umani, discriminano minoranze o categorie di popolazione o hanno rapporti con regimi che distruggono l’ambiente o non rispettano i diritti delle persone. Qui l’approccio etico è coerente e a tutto tondo: chiaro e nero su bianco, dall’inizio.
I codici etici di banche e FinTech
Molte banche hanno adottato codici etici analoghi. E anche il FinTech fa la sua parte. Revolut Business, ad esempio, non è disponibile a imprese correlate a una serie di attività, tra cui citiamo sale giochi, gioco d’azzardo e commercio di criptovalute. Anche la neobanca Qonto non è disponibile per le aziende il cui oggetto sociale include, tra l’altro, il “sesso” (che sul sito viene definito, a scanso di ogni equivoco, come la somma di pornografia, prodotti per adulti e prostituzione), il tabacco e la cannabis legale, le criptovalute, il gioco d’azzardo, la vendita di farmaci e integratori. Oltre a “professionisti” oggettivamente meno bisognosi di un POS e che richiedono pochi investimenti in macchinari, come i cartomanti. Anche per quanto riguarda la richiesta di credito, gli spazi concessi a queste aziende sono davvero limitati. La piattaforma di finanziamenti October, da noi interpellata su questo tema, ci ha confermato che i settori “sensibili” sono esclusi dalla piattaforma. Lo stesso vale per Credimi.
45mila addetti nel gioco pubblico
Il mondo delle sale scommesse e del gioco pubblico è non solo legale, ma addirittura concessionario della Repubblica Italiana. Complessivamente, occupa oltre 45mila persone distribuite in più di 10mila imprese: la grandissima maggioranza ha meno di 10 addetti e solo 14 superano i 250 dipendenti. Realtà piccolissime che hanno subito un duro colpo da lockdown e restrizioni. Perché il codice Ateco delle sale scommesse, ad esempio, non è bene accolto in banca: è motivo di rifiuto non solo di finanziamenti, ma spesso anche per l’apertura di un conto corrente, in base al codice etico. Che impone di evitare l’incentivo alla ludopatia. Il problema è aggirabile per esercizi che ospitano magari delle slot, ma hanno codici Ateco meno malfamati. Ci risultano casi di sale scommesse che non sono riuscite a ottenere prestiti per liquidità, anche solo per anticipare i soldi della Cassa Integrazione ai dipendenti.
AML e verifiche rafforzate
Non è solo il rischio ludopatia, in realtà, a rendere storicamente complesso il rapporto tra gioco pubblico e banche. Ma è uno dei più classici rischi in ambito bancario: il riciclaggio di denaro, vista anche l’elevata quantità di denaro contante. La normativa AML include le imprese di questo settore tra quelle soggette a verifiche rafforzate. Le medesime verifiche sono previste anche per altri settori, come energie alternative, gestione dei rifiuti, costruzioni, movimento terre e appalti pubblici. Ma la chiusura dei conti correnti, ovviamente legittima nel caso in cui ci siano anomalie nella gestione della cassa, sembra essere un problema più frequente per gli operatori di gioco pubblico. Nonostante siano attività concessionarie dello Stato, sottoposte a controlli da parte dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che si auto-regolamentano portando alla revoca di centinaia di autorizzazioni ai punti vendita ogni anno. Il settore, tra l’altro, secondo un articolo de Il Sole 24 Ore fa arrivare 602 milioni di euro al mese nelle casse pubbliche, sommando sale da gioco, sale slot, VLT, bar con macchinette e Bingo.
Il nodo della ludopatia
Il gioco pubblico subisce quindi un doppio stigma: al maggiore peso delle procedure AML si sommano il dovere etico e morale di non favorire fenomeni di ludopatia all’interno della popolazione. Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale sulla Ludopatia, riferiti al 2019, questo problema è stato diagnosticato a ben 1,3 milioni di connazionali. A giocare d’azzardo (che è una cosa diversa da una diagnosi) sono in totale tra gli 8 e i 10 milioni di italiani. Per farci un’idea della dimensione del fenomeno, la dipendenza da tabacco riguarda 11,7 milioni di persone: i morti per conseguenze del fumo, solo nel nostro Paese, sono tra i 70mila e gli 80mila ogni anno.
Il Food e l’obesità
Se vogliamo considerare l’impatto sulla società, sulle persone e sulla salute, però, forse dovremmo aprire una riflessione anche sul settore Alimentare. Quel “Food” che include il cibo, sì, ma anche gli alcolici. Parliamo di un fiore all’occhiello dell’export nazionale, parte integrante dell’identità culturale italiana. Partiamo dal cibo. Secondo i dati Istat nel 2018 il 25,2% degli italiani tra i 3 e i 17 anni era in eccesso di peso. Le iniziative per disincentivare il consumo di zuccheri e di grassi (ve la ricordate, la Sugar Tax?) sono cadute nel vuoto. Le nostre abitudini alimentari stanno cambiando e si avvicinano sempre più a quelle di Paesi in cui l’obesità è, da sempre, un problema serio. Da uno studio della Chan School of Public Health di Boston, pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine, scopriamo che i consumatori abituali di energy drink, negli USA, assumono quotidianamente 200 calorie in più della media. In Italia, i bevitori di energy drink sono passati dallo 0,5% della popolazione del 2003 al 5,5% del 2016. Ma il problema dello zucchero e dell’obesità, al momento, resta legato all’educazione degli utenti, tutt’al più a qualche considerazione sul cambiamento, in peggio, delle abitudini alimentari nazionali.
Alcolici: 8,7 milioni di italiani a rischio
E poi ci sono gli alcolici: secondo i dati Istat del 2019, il 20% di italiani consuma alcol ogni giorno e 8,7 milioni di connazionali sono a rischio di sviluppare patologie per eccessivo consumo di alcolici. Anche in questo caso, il problema della dipendenza non sembra porsi più di tanto, a parte qualche scialba campagna pubblicitaria, nonostante l’Italia abbia un primato: siamo il Paese UE in cui il primo contatto con gli alcolici avviene all’età più bassa, a 11 anni. Fenomeno legato sicuramente anche a una cultura più orientata al consumo famigliare di vino che di superalcolici. Ma che ha recentemente visto il diffondersi, specie tra i giovanissimi, di fenomeni come il binge drinking (bere molto alcol in poco tempo per ubriacarsi rapidamente, NdR). Il 14% dei giovani under 24, dice l’Istat, consuma alcol ogni giorno. E dei 40mila accessi al pronto soccorso per abuso di alcol come causa principale, il 9,7% riguarda adolescenti. E i primi dati di mercato ci dicono già che il consumo di alcolici, con la pandemia, è aumentato. Anche in questo caso, viene da chiedersi in base a quali criteri alcune dipendenze sono un problema di educazione degli utenti e quali, invece, vanno viste come sfruttamento da parte di alcuni settori.
La cannabis light e i dubbi legali
Per quanto riguarda la canapa, invece, il difficile confronto con il banking si spiega con delle oggettive ragioni legali. Che restano, nonostante il proliferare, da qualche anno, di negozietti dai nomi fantasiosi e dai colori giamaicani. Come ha spiegato ad AziendaBanca Giuseppe Croce, Presidente di Federcanapa, il settore si divide sostanzialmente in due. Da un lato le imprese che si occupano di canapa industriale, quindi fibre e semi, che non segnalano problemi con il settore bancario. Dall’altro ci sono le coltivazioni a fiore: e qui il discorso cambia parecchio. Il fatto è che la legge 242/2016 riconosce la libertà di coltivazione per alcune varietà che hanno un basso livello di THC (cioè del principio stupefacente della cannabis), ma non definisce chiaramente il limite di concentrazione di THC che permette di utilizzare la pianta nel suo complesso. Trasformando cioè anche foglie, fiori e resine.
Ci penserà l’Europa?
In un classico esempio di zona grigia all’italiana, diversi piccoli imprenditori si sono buttati in un settore in cui da molto tempo il legislatore rinvia un chiarimento normativo che permetterebbe di capire definitivamente che cosa è lecito e che cosa no. La proposta di Federcanapa di stabilire un limite di THC allo 0,2% (o minore, se previsto alla normativa di settore, nel caso della cosmetica, ad esempio, si parla dello 0%) non ha ricevuto riscontro. La risposta, ironicamente, rischia di arrivare dall’Europa: lo scorso 19 novembre la Corte di Giustizia Europea ha costretto il Governo Francese a fare dietrofront sul CBD (uno dei moltissimi principi attivi della cannabis) stabilendo che ha effetti terapeutici e salutistici, non stupefacenti. Il CBD è quindi soggetto alle regole del mercato unico: ed è probabile che in Europa si decida di prendere una linea comune sul tema.
10mila addetti nella filiera
Intanto, in Italia, nonostante l’incertezza sulla liceità del lavorazione del fiore e delle resine, nel 2019 si stimavano 2mila punti vendita e 800 aziende agricole specializzate, con circa 10mila addetti lungo la filiera (dati del Consorzio per la Tutela della Canapa Industriale) e un giro di affari di 40 milioni di euro annui (dato Coldiretti riferito al 2018). E nei negozietti che trovate in molte città si vende un prodotto che, non potendo essere commercializzato “per uso umano”, viene venduto “per uso tecnico” o, capolavoro dell’ipocrisia, come “pianta da collezione”.
Un settore da 1,7 miliardi di USD
A livello mondiale, nel 2019, gli estratti di cannabis con CBD e bassi livelli di THC hanno portato il mercato a crescere del 32%, per un valore di 1,7 miliardi di dollari americani (di cui 520 milioni in ambito cosmetico). La canapa sarebbe un’opportunità anche per gli agricoltori, ma prima servono regole chiare per il mercato, in modo da permettere di investire in questo settore: un’azienda italiana, ad esempio, si è vista rifiutare dalla banca la possibilità di ottenere in leasing un impianto a LED per la coltivazione indoor. Non è compreso in questo discorso la cannabis terapeutica, che in Italia è legale dal 2006: è acquistabile solo con ricetta medica e contiene THC tra il 5% e l’8% (quantità ben superiore allo 0,2% della cosiddetta cannabis light).
Niente favori ai vizietti
Ricadiamo invece nell’ambito della moralità quando parliamo di “commercio al dettaglio di articoli per adulti”. Un settore su cui è difficile ottenere dati precisi Unioncamere: nel 2019 parlava di 313 attività in tutta Italia, numero tutto sommato limitato e in calo già prima del Covid-19. Questa tipologia di negozi, comunemente nota come “sexy shop”, è costantemente al centro delle polemiche: la loro inclusione nel Decreto Ristori BIS, con il 200% del primo ristoro, ha permesso a tutte le altre categorie di sentirsi sminuita. Un celebre giornale online ha titolato di “favori ai vizietti”. In Regione Piemonte è avvenuta una scena opposta, con un duro scontro tra opposizione e maggioranza proprio sull’esclusione del Codice Ateco dei “sexy shop” dal bonus regionale da 1.500 euro erogato ai piccoli negozianti per sostenerli durante la pandemia. Tutte argomentazioni in cui emerge un certo moralismo.
L’online non dà fastidio (ma non ha controlli)
Perché parliamo di attività perfettamente legali, con molte difficoltà nel rapporto con il settore bancario e la netta chiusura da parte del mondo FinTech. Un settore che sconta l’associazione con il mondo della pornografia, nonostante la definizione di “articoli per adulti” racconti di una trasformazione importante del business (vedi box nella pagina seguente) verso oggetti e prodotti che nulla hanno a che fare con la pornografia di qualche decennio fa. Quella, ormai da anni, corre indisturbata su internet ed è facilmente accessibile a qualunque minorenne in possesso di smartphone, senza che ci siano degli esercenti all’ingresso capaci di tenere fuori i più piccoli e la loro curiosità.
La cannabis a casa: paghi col POS!
La pandemia ha colpito anche i negozi di cannabis legale. Non è facile trovare dati di sistema in questo settore, ma secondo la Guida Canapa Magica Italia (sic!) a Milano i negozi sono calati dai 51 del 2019 ai 49 del 2020 e, in tutta la Lombardia, il numero è sceso da 143 a 122. Il lockdown ha spinto la crescita dei servizi di consegna a casa, soprattutto nelle grandi città: non faremo nomi di servizi specifici, ma alcuni operatori segnalano un +240% di fatturato nel corso dell’ultimo anno. E sul sito specificano che il pagamento alla consegna, con mobile POS, dà diritto al cashback di Stato: accettano solo circuiti internazionali. Chissà chi è l’acquirer.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di gennaio/febbraio 2021 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop .