La notizia che Francia e Spagna stanno implementando o valutando una “stretta” alle sponsorizzazioni delle criptovalute sta generando un’ondata di clic e di commenti.
Click-bait a parte, credo che le “soluzioni” che i governi stanno studiando o introducendo serviranno a ben poco. Anche perché il problema della comunicazione sul tema crypto è complesso e limitarsi agli “influencer” è inutile.
Guardando alle misure di Francia e Spagna (di cui parliamo più sotto) e seguendo il dibattito online (per i francofoni suggerisco la seconda metà di questo episodio del podcast La Martingale), nel rapporto tra comunicazione online e crypto ci sono almeno questi problemi aperti:
- Una comunicazione non sempre chiara e trasparente sui rischi, sulle condizioni applicate e sui costi del trading in criptovalute;
- Una eccessiva enfasi sulla possibilità di guadagnare grandi cifre in tempi rapidi e senza sforzo (tipicamente in combinazione con il punto precedente: solo grandi opportunità, niente attenzione ai rischi);
- Influencer che promuovono, volontariamente (ergo: per soldi) o involontariamente (perché, banalmente, credono in un progetto o ne hanno sentito parlare), una data criptovaluta oppure una strategia o un servizio di trading.
C’è un ulteriore problema, che non riguarda solo le criptovalute: l’educazione finanziaria e digitale dei clienti. Che cercano su YouTube un video su come investire il proprio denaro anche (non solo) perché della finanza tradizionale si fidano poco. Ma una volta online, non riconoscono se stanno guardando un contenuto affidabile o no.
Il legame tra promozione e influencer
Perché troppi “navigatori” sono ormai completamente assuefatti alle marchette (pardon: alle “collaborazioni”) che gli influencer instaurano con i brand.
La soubrette che si fa una foto con gli occhiali della tal marca in primo piano, il belloccio di turno che posa di fianco a un elettrodomestico (magari starete sorridendo, ma è diventato quasi un genere su Instagram) e via dicendo.
Quanti utenti di internet cercano l’hashtag #adv sotto un post? Quanti sanno riconoscere un link di affiliazione all’interno di un articolo o di un video? Ancora peggio: quanti conoscono l’esistenza, dei programmi di affiliazione?
Le misure di regolamentazione alla comunicazione sulle crypto di Francia e Spagna affrontano tutti questi problemi? No. Nel migliore dei casi, ne affrontano solo una parte. I francesi, poi, rischiano di infilarsi in un ginepraio con la libertà di espressione.
Spagna: approvazione necessaria per la pubblicità alle crypto
In Spagna è CNMV (acronimo Comisión Nacional del Mercado de Valores) a essere chiamata al controllo delle sponsorizzazioni delle criptovalute indirizzate a un pubblico potenziale superiore alle 100mila persone.
Non solo gli influencer, quindi, anche se gli articoli di molte testate si concentrano su di loro. La misura riguarda tutti i media, che potranno diffondere solo messaggi approvati. E l’approvazione va chiesta almeno 10 giorni prima dell’avvio della campagna.
Tra l’altro, anche le campagne indirizzate a un pubblico potenziale inferiore alle 100mila persone saranno revisionate dalla CNMV, dopo la pubblicazione, e potranno essere costrette a rettifiche.
Per essere approvata, una campagna deve specificare in modo chiaro nell’annuncio, tra le altre cose, che l’investimento è soggetto a rischio e che non è adatto a un profilo retail.
Niente enfasi sulle possibilità di rapidi e facili guadagni, come si diceva: il rischio legato alla volatilità delle crypto deve essere evidenziato. Esattamente come per gli altri prodotti di investimento. E già questo è un mezzo riconoscimento.
Il modello spagnolo ha alcuni difetti importanti:
- Si occupa solo delle pubblicità. Mentre di fatto oggi sui social media troviamo contenuti che trattano di temi finanziari, a volte sfiorando il confine della definizione di consulenza, senza averne i requisiti;
- Si applica solo in Spagna. Mentre internet, lo sappiamo, non ha confini. Tantomeno i contenuti pubblicati su YouTube, magari in altre lingue, e di cui possiamo avere una traduzione automatica nella nostra lingua, per quanto approssimativa, in un click.
Il dibattito in Francia
L’approccio francese è diverso. Alla fine del 2021 è stata annunciata una Task Force (addirittura!) incaricata di accertare se un influencer sta promuovendo una truffa.
La Francia va dritta al punto dei messaggi possono somigliare alla consulenza finanziaria, scavallando la definizione di “pubblicità” e guardando al loro contenuto. Dribblando così i post sponsorizzati ma non taggati come tali.
Hélas: in base a quali criteri si definirà che cosa è una truffa e chi è un influencer?
Il miliardario che twitta le magnifiche virtù della tal criptovaluta, è un influencer? Se ci ha appena investito un sacco di soldi, è una truffa?
Pensiamo al giornalista che pubblica la notizia del tweet, oppure che intervista un “guru” che prevede che la valutazione di una criptovaluta salirà alle stelle. Ci sono influencer in questa situazione? C’è una truffa?
E se la criptovaluta invece di salire alle stelle si rivela una truffa (uno scam, direbbe un crypto-fighetto), che succede?
Ancora: i crypto-entusiasti, quelli che “la finanza tradizionale è morta, la de-fi è il futuro”, potranno continuare a parlare di bitcoin e criptomonete?
Sto esagerando, ovviamente. Ma ci vuole buon senso, quando ci si mette a giudicare la possibilità di esprimere il proprio pensiero.
E l’eccessiva attenzione data a una categoria specifica, gli influencer appunto, lascia indisturbati i media e i giornalisti (categoria di cui facciamo parte) e ignora completamente il risparmiatore.
Trattato ancora una volta come un beota da proteggere da se stesso invece che come un cittadino da informare.