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Banche e FinTech: da competitor a partner necessari

Banche e FinTech: da competitor a partner necessari

Negli ultimi anni commentatori e operatori del settore hanno lungamente dibattuto intorno alla questione se FinTech e banche tradizionali fossero da considerare competitor o partner. È indubbio che il panorama finanziario contemporaneo sia complesso e variegato. Gli operatori finanziari tradizionali (i c.d. incumbent), infatti, prestano la propria attività in un mercato caratterizzato da un prolungato periodo di tassi di interesse molto bassi che hanno comportato una significativa riduzione dei margini di redditività. A ciò si aggiunga che essi sono, altresì, tenuti ad applicare un framework regolamentare divenuto via via più stringente esigente dopo l’ultima crisi finanziaria del 2008 - 2009.

La sfida dell’innovazione

In un contesto, dunque, già alquanto impegnativo, gli istituti bancari si trovano adesso a dover affrontare una nuova e delicatissima sfida derivante dal subentro dell’innovazione tecnologica nel settore finanziario e della conseguente digitalizzazione non solo dei servizi e prodotti finanziari, bensì anche dei processi e delle procedure organizzative interne. Il mercato finanziario, sia a livello nazionale che internazionale, è caratterizzato da un inesorabile processo di dematerializzazione dei servizi e prodotti finanziari (si pensi, ad esempio, al c.d. home banking e ai pagamenti digitali) nonché da un utilizzo della tecnologia – dall’intelligenza artificiale (i.e. il machine learning) agli avanzati meccanismi di data analytics – che sta ridefinendo limiti e frontiere. Anche agli occhi del Regolatore appare sempre più difficile, al giorno d’oggi, comprendere i confini tra attività riservate e attività liberamente prestabili.

A guidare sono le BigTech

La digitalizzazione del settore finanziario è guidata dalle BigTech, tra cui rientrano certamente i giganti tecnologici statunitensi GAFA (Google, Apple, Facebook e Amazon) nonché i cinesi BAT (Baidu, Alibaba e Tencent). Queste aziende, pur tenendosi sostanzialmente fuori da terreni regolamentati hanno, tuttavia, accelerato la trasformazione del settore finanziario, anche grazie a una visione customer centric in cui il modello di business si adatta velocemente alle mutate esigenze della clientela che chiede risposte e servizi immediati e sempre più personalizzati. In particolare, le BigTech – che dispongono di un elevato numero di clienti su scala globale e di illimitati mezzi finanziari – sono in grado di sfruttare i Big Data e modelli di data analysis al fine di individuare tendenze, preferenze e abitudini dei consumatori (talvolta con un approccio estremamente disinvolto rispetto alle tematiche di protezione dei dati personali).

Un nuovo approccio da parte delle banche

In un contesto così fluido, sebbene agli inizi del dibattito le FinTech siano state percepite come concorrenti degli operatori finanziari tradizionali (se non addirittura come una vera a propria minaccia per la sopravvivenza di questi ultimi) è indubbio che l’approccio sia ora sostanzialmente cambiato. Le banche oggi guardano al mondo FinTech con una prospettiva diversa. Si sono rese conto (con estremo ritardo?) che l’approccio passivo rischiava di renderle un attore marginale nel processo di cambiamento. Limitarsi a una mera osservazione delle dinamiche avrebbe, infatti, accelerato la perdita di quote di mercato e conseguentemente di clientela. Muovendo da questa premessa, le banche hanno compreso l’urgenza di intercettare i bisogni dei clienti e diventare ai loro occhi più tech-friendly proponendo servizi che, al pari delle FinTech, facessero leva su velocità di interazione, compressione e trasparenza dei costi (i.e. pay per use).

Un’alternativa all’in house

In questo mutato contesto gli incumbents cercano, dunque, di ridefinirsi nel presente per costruirsi un ruolo nel futuro. Il modello bancocentrico non sarà più ripetibile ma la presenza della banca (come fabbrica di prodotti e veicolo di commercializzazione di prodotti propri e di terzi nonché abilitatore tecnologico) non cesserà di esistere. In questa nuova prospettiva l’open banking, stimolato dalla direttiva sui servizi di pagamento (PSD2), ha accelerato un processo di cooperazione tra FinTech e incumbents. Le banche hanno infatti compreso come le FinTech costituiscano un mezzo per accedere a processi e soluzioni di innovazione tecnologica che sarebbe estremamente oneroso sviluppare “in house” (per mancanza di risorse tecniche e umane).

Tre modalità di cooperazione

Una volta metabolizzate le opportunità derivanti dalle FinTech si è così assistito a un fiorire di iniziative volte a costruire ponti tra i due mondi secondo tre modalità di cooperazione:

1. ingresso nell’equity;

2. utilizzo di fondi venture capital o strutture di cartolarizzazione;

3. ricorso all’outsourcing.

1. L’ingresso nell’equity

La prima forma di cooperazione prevede la sottoscrizione di partecipazioni, generalmente di minoranza, del capitale delle Fintech. Sovente questo intervento è accompagnato dalla strutturazione di accordi di collaborazione commerciale mediante i quali la banca si impegna a garantire il funding necessario per far decollare il modello di business della FinTech. In tal modo la FinTech riceve le risorse necessarie per sviluppare soluzioni innovative di cui possa beneficiare, anche, la banca stessa.

2. Venture capital o cartolarizzazione

Un secondo approccio, sempre volto a favorire il funding, prevede che le banche investano in fondi di venture capital o veicoli di cartolarizzazione che a loro volta trasferiranno il commitments alle FinTech per sostenerne crescita e sviluppo.

3. Outsourcing

Il terzo approccio è, invece, basato sulla sottoscrizione di accordi di esternalizzazione tra banche e FinTech (anche in modalità white-label), mediante i quali queste ultime assumono il ruolo di fornitori di servizi tecnologici (es. intelligenza artificiale, algoritmi avanzati per valutare il credit scoring, soluzioni per IBAN check, KYC a distanza etc.). In questo modo assistiamo a un trasferimento di know-how da FinTech a incumbents. È possibile prevedere anche la formula contraria laddove siano le FinTech ad avvalersi dell’esperienza della banca per presidiare ambiti ad alto tasso di regolamentazione (es. compliance, antiriciclaggio, sistemi IT robusti e conformi alle direttive delle autorità di vigilanza).

I tre approcci non sono necessariamente alternativi ma possono essere anche combinati e comprovano come parlare ancora di competizione tra FinTech e incumbents sia un retaggio del passato posto che la cooperazione oggi non è più un’opportunità ma una reciproca necessità.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di marzo 2021 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop